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Gli USA dunque hanno intenzione di dare la loro battaglia a tutti e due i livelli. Vogliono battere il nazionalismo che si esprime attraverso l'eislamismo radicale. Ma vogliono inq uella terra ostile costruire le loro fortezze. Le due cose sono abbinate alla stessa maniera di come durante la guerra fredda per loro faceva parte della stessa logica battersi contro l'unione sovetica e contro i partiti comunisti, anche se molti di questi non dipendevano affatto dall'unione societiva o erano addiruttura in duro contrasto coin questa.

i USa hanno prima puntato sull'Iraq e quindi gli si sono rivoltyati contro perché la conquista del Kuwait aveva dimostratyo che l'Iraq voleva giocare un ruiolo di potenza regionale. se fosse passato il principio che i piccoli stati petroliferi fantosccio potevano essere invasi, ben presto le varie piccole potenze dell'area Egitto e Iran si sarebbero date da fare in quel senso.

Le contraddizioni. Una guerra alimenta e rinfocola l'altra. Sconquassano gli stati ma sono gli stati che garantiscono la dominazione dell'impero

 

 

 

Europa "vassalla"?

L'amministrazione Bush intende utilizzare la forza e basta per imporre il suo ordine imperiale. Vi è una corrente impriale USA invece quella che fa capo ai delmocratici che hanno votato contro la mozione degli USa, che pensa invece ad altre soluzioni. Pensa che la forza debba essere accompagbata da una attenta politica di alleanze. Non pensa che i palestinesi debbano essere sconfitti ma ridotti in un bantustan, ci tengono a tenersi stretto l'Egitto e vogliono tenere sotto pressione l'Iraq senzxa rischiare. essi pensano che i rischi sino eccessivi. Perché la linea Bush è passata? Per la stessa ragione per cui a suo tempo passò la linea di intervento nel Vietnam: fiducia nella forza delle armi. Gli imperi hanno sempre avuto una sterminata fiducia nelle possiblità delle propria potena americana. Nel mondo vi sono varie potenze che non intendono sottomettersi agli USA: una di queste ha caratteristiche imperialiste ed è l'Europa. essa entro giugno arriverà alla formulazione di una costituzione europea che presumibilmente arriverà a costituire un salto politico significativo. Da troppo tempo in Europa ci si va lamentando dell'eccessivo arretratezza militare. L'europa ha dimnostrato che è sufficente una semplce decisione politica per egagliare gli USa nei campi tencologici, basti pensare alla velocità con scui Eurobus ha raggiunto la Boeing. Il Giappone non ambisce a granchè perché preso dalla sua crisi struutrale. Ma per la Russia e la Cina il discorso è diverso: si tratta di due Paesi che dal punto di vista econoco somno dipendenti dalle finanze o dal mercato capitalista moniale, ma sul piano della potenza ambiscono ad un ruolo proprio in prospettiva pari a quello di Europa ed USa. Gli USa non hanno una potenza econolica pari alla loro potenza militare, questa seconda è molto più forte della prima. E dunque usano questo vantaggio.

In un passo della dotrtrina Bush riportata dal New York Times ma poi sparita nella versione resa pubblica si affermava che: "Il presidente non ha alcuna intenzione di consentire a qualunque potenza straniera di recuperare l'enorme vantaggio conquistato dagli Stati uniti con la caduta dell'URSS più di un decennio fa. Le nostre forze armate saranno forti abbastanza da dissuadere i potenziali avversari dal perseguire una politica di riarmo che speri di sorpassare o di eguagliare la poitenza degli stati Uniti. "

C'è stato uno sforzo per eliminare "i passi che avrebbero potuto prestarsi all'accusa di arroganza", scrive il New York Times, ma nonostante ciò, l'idea di fondo, cioé la supremazia americana in campo militare, ne esce intatta.http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqsei/strategia/strategia.html

Condoleezza Rice sul Financial Times "Se gli Stati Uniti si impegnano a mantenere una sufficiente forza bellica , noi crediamo che una cmompetizione sul terreno militare possa essere dissuasa , iniziando allora a canalizzare ogni spinta alla competizione, per esempio delle grandi potenze, in altre aree.

In altri termini gli USA si preparano ad affrontare conflitti futuri con l'obiettivo di scongiurarli o vincerli in virtù della rafforzata superiorità tecnologica. Non ci sarà più spazio (o ve ne sarà molto meno) per le missioni di pace che richiedono l'impegno di migliaia di uomini in compiti di basso profilo militare ma le forze armate verranno destinate a missioni esclusivamente operative e di deterrenza. Una valutazione che sembra essere condivisa da Londra che proprio in questi ultimi tempi ha riacceso le polemiche in ambito europeo circa il ruolo limitato di una forza d'intervento della UE autonoma dalla NATO. La nuova dottrina USA significa che il peacekeeping, anche in ambito ONU, resterà soprattutto a carico dei paesi europei http://www.analisidifesa.it/numero12/do-bush.htm Gianandrea Gaiani

questa potenza militare deriva loro dai lasciti della seconda guerra mondiale e dal confronto con l'Unione Sovietica. Ma si è trattato di una divisione dei compiti che trovava l'europa assai consenziente. Si è trattat di una divisione dei compiti. L'europa ha delegato agli USa la difesa del mondo libero, e quindi l'aspetto militare, aspettandosi però dagli USa che non approfittasse troppo di questo ruolo per accaparrarsi mercati. Cosa che in realtà ha fatto. Negli anni sessanta e settanta gli USa avevano mantebevano al potere una serie di dittature sanguinarie, ma ciò non ha mai impedito alle multinazionali europee di espandersi in aòerica latina, anche a spese degli USa come è accaduto con l'industria automobilistica in brasile. Dopo le caduta del Muro di berlino però, si è aperta una fase di competizione mondiale che va sotto il nome di globalizzazione. Gli europei percepiscono sempre piàù il pericolo della delega statunitense sul terreno militare. se ne sono accorti quando gli USa hanno preso decisioni proprie nella guerra nei balcani, oppure quando hanno deciso i dazi sull'acciaio. Gli USa si trovano davanti a due opzioni: un atteggiamento di stretta alleanza con l'europa pensando in questo modo di moderarne le ambizioni e scoraggiarne il ritiro della delega, oppure l'esercizio peino del suo provilegio militare, anche a costo di scontrarsi con il resto del mondo, dfidiciosa che di fornte ad una poetnxa vincitrice anche tutti gli altri finiranno per accordarsi così come accadeva quando con l'Impero romano.

L'indecisoone strategica dell'europa non è affatto indice di "sudditanza" come purtroppo troppo spesso si legge anche a sinistra. C'è da asorridere quando si leggono certi scritti sulla tradizione di pace dell'europa, il continente più sanguinario che mai la storia umana abbia conosciuto. E' un errore considerare che Blari è "servi" degli USA. Blair ha seplicemente scelto di integrare la potenza militare USa per ricavarne tutti i vantaggi possibili. Non si può dire che sia un a scelta avventata dal punto di vista dell'imperialismo inglese. Chi si meraviglia che gli inglesi bombardano l'Iraq dinmenticano forse che l'Iraq è stato nel corso di questo secolo invaso per ben tre volte dagli inglesi e che sino agli anni sessanta dettavano legge in quel paese. La Gran Bretagna semplcilente si appooggia sulla potenza USa per salvaguare i suoi antichissimi inetressi nell'area. Anche Israle come sentilenna dell'Occidente del resto è un'invenwzione tutta inglese. La Francia e la Germania sono più caute non certo per pacifismo ma per la semplice ragione che capiscono perfettamente il gico USa: non intendono far loro costruire un'altra fortezza a difesa dei propri intressi, e saranno disposte a cedere solo in cambio di succosissime contropartite tese a far sì che il nuvo Iraq non sia sun protettorato solo USa ma dell'intero Occidente. quanto all'Italia essa vive la classica indecisione strategica delle sue classi dominanti: non essendo ecomcamente potenti come inlegei, tedesci e francesi, essi tentennano continuamente tra i possibli tutori: se l'europa fosse già un'entità politica probleòi non ve ne sarebbero , ma non sapendo bene chi sarà il vincitore di questa contesa tra colossi, è indecisa, come lo era durante la prima guerra mondiale, o alla vigilia della seconda. e questo spiega perchè appare la nazione più eurpeista e comnteòmporaneamente quella più filoamericana. Non vi è alcuna coerenza in ciò. Da qui anche l'indecisione socialdemocratica: il suo problema è rendersi accettabile di fronte alle proprie calssi domianti, ma essendo queste struutralemte indecise, sono prive di qualsiais disegno strategico. E' questo il vero significato della politica diessina di aspettare di vedere quel che dice l'ONU, una soluzione non condivisa da nessuno, ma che in sostanza signifca: vediamo chi vince e noi stiamo da quella parte.

Ogni guerra è preceduta e accompagnata dai bombardamenti dell'ideologia. Non si tratta certo di una novità del mondo "globalizzato", o di una caratteristica di un secolo dominato dal volume della comunicazione. Semplicemente ogni politica imperiale deve essere accompagnata da una falsa coscienza della propria azione, cioé da un insieme di idee che costituiscono la forma che serve a cementare le alleanze e il consenso sociale necessario a correre dei rischi, subire perdite, perdere la tranquillità. La gran parte delle persone preferisce la pace alla guerra, e sarebbe disposta a sacrificare anche qualche privilegio pur di mantenerla. L'azione dell'ideologia serve dunque a convincerla che i vantaggi superano gli svantaggi. L'operazione non è molto difficile nei Paesi che dominano il mondo dato che le conseguenze di guerre combattute su suoli lontani tocca relativamente la sua gente. E' uno dei, tanti, privilegi imperiali che accomuna la nostra esistenza a quella della plebe romana che acclamava con i trionfi il ritorno dei generali dopo una qualche vittoria su un popolo ribelle.

 

Since then we have begun to slip down the slope. Along with pre-emption, retaliation is also forbidden by international law. States can reply to hostile actions by other states but they may not take reprisals or other punitive military steps unless the hostile action to which they are responding is manifestly part of a military campaign which is intended to continue. A one-off attack is not sufficient justification. So if, after the destruction of Osirak, Saddam Hussein had sent MiGs to bomb Israel's own nuclear reactor, that would also have been illegal.
States have often tried to mingle retaliation and pre-emption and cover their real motives with the justification of self-defence. After a suspected (now proven) Libyan government agent planted a bomb in a Berlin disco which killed an American serviceman in 1986, Reagan ordered US aircraft to bomb Libya. He called his action "pre-emptive" on the grounds there was already a pattern of Libyan terrorist actions. In 1998 after bomb attacks on US embassies in Kenya and Tanzania, Bill Clinton fired cruise missiles on the al-Shifa pharmaceutical plant in Sudan. He argued that it was making chemical and biological weapons for Osama bin Laden, who was assumed (now proven) to be behind the embassy bombings. Clinton said there was "compelling evidence" that the Bin Laden network was planning to mount further attacks against Americans, and he was thereafter entitled to act.
But, apart from a few western governments which approved or kept quiet, most states condemned the Reagan and Clinton air strikes. They did not accept them as legitimate self-defence under the UN charter.
After the September 11 attacks in New York and Wash ington last year we slipped further down the slope. The UN security council gave the US approval to take military action against the assumed perpetrators under Article 51. The council still did not accept a right of retaliation but it argued that the September 11 attacks were so massive that they could be perceived as a declaration of intent by the perpetrators to strike again. Washington was therefore entitled to strike back in self-defence. The argument is controversial, but unless it is challenged by a substantial number of states it will stand as a legitimate new interpretation of international law.
Now we have the latest move downhill. In a speech last weekend in the midst of World Cup fever and the Kashmir crisis, President Bush launched his new concept of pre-emption. His speech can claim to be the most chilling statement of his presidency so far. In effect, he retroactively approved the Israeli strike on Osirak and said the US has the right to strike, pre-emptively, at any nation which it decides is developing weapons of mass destruction or supporting terrorism. It is carte blanche for a war on the world.
Bush Sr once talked about the need for "the vision thing". His son's West Point speech is "the doctrine thing". US officials say it will be fleshed out in a national security strategy document this summer. In this column yesterday Hugo Young highlighted the British defence secretary's recent statement that Britain will not hesitate to use nuclear weapons pre-emptively. This was Nato policy during the cold war against a potential advance by conventionally armed Warsaw Pact troops. Nato would, if necessary, cross the nuclear threshold first. Now Geoff Hoon talks of using nuclear weapons against the threat of a chemical and biological attack, but he limited himself to the case where British troops are in a war zone and need protection from imminent danger.
The Bush doctrine is more sweeping. Even without an imminent threat, US troops in the area or hostilities under way, he claims the right to launch military strikes. "Our security will require transforming the military you will lead," he told cadets at West Point. "The military must be ready to strike at a moment's notice in any dark corner of the world. All nations that decide for aggression and terror will pay a price."
Many nations have exploited the "war on terrorism", either to gain favour with Washington or clamp down on dissent. The Bush doctrine goes further. The US president is hijacking the anti-terrorist agenda and crashing it into the most sacred skyscraper in New York: the headquarters of the UN. If his doctrine is not rapidly rejected by other states, preferably those which call themselves Washington's allies, Article 51 of the UN charter will have suffered a mortal blow. Comment
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The Bush doctrine makes nonsense of the UN charter
In a chilling u-turn, the US claims the right to strike pre-emptively
Jonathan Steele
Friday June 7, 2002
The Guardian http://www.guardian.co.uk/bush/story/0,7369,728870,00.html

 

Washington is calling on the imagery of the Second World War for the third time since the end of the Cold War, after having resuscitated Hitler successively in the shape of Saddam Hussein and then Slobodan Milosevic. Continuing down the road of these playground ethics, George W. Bush has designated three of the “rogue states” (as they are called in Washingtonese), Iraq, Iran, and North Korea, along with their “terrorist allies,” as an “Axis of Evil.” The phrase originated in his first State of the Union speech to Congress on January 29, 2002, in which the president used the term “evil” five times. A study of all the occurrences of this word and its various derivatives in public speeches in the United States since September 11 would certainly come up with staggering results.http://www.monthlyreview.org/0902achcar.htm The Clash of Barbarisms
by Gilbert Achcar