Le risorse della speranza.
Le due principali catastrofi che attualmente sono di fronte al mondo arabo, la guerra guidata dagli USA contro l'Iraq e la guerra di Israele ai Palestinesi, dominano il dibattito politico. A una tavola rotonda organizzata dal settimanale egiziano Al-Ahram, Edward Said e altri analisti politici hanno discusso delle sfide che gli arabi fronteggiano oggi. Da Al-Ahram. 27 Marzo. Traduzione di Bruno Moscetti.


 

La tavola rotonda con Edward Said, un certo numero di analisti politici e lo staff del settimanale Al-Ahram ha avuto luogo mentre il bombardamento americano dell'Iraq lanciava ombre oscure sulle discussioni in corso sul futuro del mondo Arabo.

"E' un momento topico a causa di questa guerra estremamente impopolare che un piccolo gruppo dentro l'amministrazione americana ha deciso di intraprendere contro l'Iraq e, in un certo modo, contro l'intero mondo arabo. E' mia forte opinione, sebbene non ne abbia prova nel senso classico del termine, che essi vorrebbero cambiare l'intero Medio Oriente e l'intero mondo arabo, forse eliminando alcuni paesi, distruggendo alcuni cosiddetti gruppi terroristi che a loro non piacciono e installare regimi amici agli Stati Uniti. Io penso che questo sia un sogno che ha basi molto piccole nella realtà. La conoscenza che essi hanno del Medio Oriente, a giudicare dalla gente che li consiglia, è, a dir poco, non aggiornata e largamente speculativa", argomentava Said.

La questione su chi consiglia l'attuale amministrazione americana sulla politica mediorientale è stata ricorrente durante tutta la discussione.". Le due più grandi influenze esterne sulla politica mediorientale", Said sottolineava, "sono Bernard Lewis e Fouad Ajami. Bernard Lewis non ha messo piede nel Medio Oriente da almeno 40 anni. Sa qualcosa della Turchia, mi è stato detto, ma non sa nulla del mondo arabo".

Lewis ha sviluppato una teoria dei "cerchi concentrici" che sembra essere influente a Washington, ma contro la quale Said e altri critici inveiscono.

"Secondo tale teoria il M.O. è diviso in tre cerchi: uno esterno di regimi profondamente antipatici e di gente anti-americana, un secondo cerchio di gente pro - americana e di regimi anti-americani, e un terzo cerchio interno di regimi e persone pro-americani che sarebbe il Golfo. Gli altri sono Egitto, Giordania e Marocco per il secondo, e Siria e Libia probabilmente per quello esterno. In altre parole, c'è un mondo Arabo non omogeneo, ed è compito della politica americana cambiarlo così che tutti, regimi e persone, diventino pro-americani".

"Ajami ha detto molte volte che ci saranno lanci di fiori sulle strade di Bassora e Baghdad quando gli Americani arriveranno. Questo è il mondo in cui viviamo. C'è un profondo disprezzo per altre idee, sicuramente tremenda ostilità in Europa, e in un gran numero di persone e istituzioni americane, sulle quali ho scritto nell'ultimo numero di Al-Ahram, che si oppongono alla guerra ed a queste politiche. E, per quanto posso dire, sono impervi perché c'è una mentalità da fortezza che è storicamente caratteristica della cabala e dei regimi golpisti".

I scenari per l'Iraq post-guerra, probabilmente post-Saddam, erano anche parte del dibattito, visto l'effetto della guerra sull'intera regione.

Said: "Non penso che la pianificazione per il periodo dopo Saddam sia molto sofisticata. (Il sottosegretario di Stato USA Marc) Grossman e (Il sottosegretario alla Difesa Douglas) Feith hanno testimoniato al Congresso circa un mese fa e sembrava non ci fossero stime e/o idee su quali strutture stessero per schierare; non avevano idee sull'uso delle istituzioni esistenti, sebbene vogliano de-Baathizzare le parti alte e tenere il resto". "La stessa cosa è vera sull'esercito. Essi certamente non hanno alcun impiego per l'opposizione sulla quale hanno già speso milioni di dollari. E, per quanto posso giudicare, stanno improvvisando. Naturalmente il modello è l'Afghanistan. Penso essi sperino che le NU arrivino e facciano qualcosa, ma date le recenti posizioni Russe e Francesi, dubito che questo succeda con tanta semplicità".

Sinan Antoon, uno studioso iracheno, ha sottolineato che il costo della attuale guerra in Iraq, inclusa l'assistenza umanitaria, è stato stimato in 150 miliardi di dollari, che dovrebbero essere pagati dagli sul petrolio iracheno e da altre risorse congelate. L'opposizione immagina che gli americani si siano incontrati con gli affaristi del petrolio e si siano accordati per la privatizzazione del petrolio iracheno.

Said dubita che le cose siano così semplici, dicendo che passeranno anni prima che gli introiti del petrolio irakeno inizino ad arrivare. "non stiamo parlando di tre o quattro anni, stiamo parlando di adesso", ha detto. "C'è una grande crisi economica. Siamo passati negli USA in un anno e mezzo da un surplus nel bilancio ad un grosso deficit, che è destinato a crescere esponenzialmente nei prossimi due anni. Non c'è moneta. Penso che la guerra sia un tentativo disperato di cercare di recuperare un po' di fiducia nell'economia e nel paese. Non stiamo parlando di 150 miliardi di dollari dal petrolio iracheno, stiamo parlando di triliardi di dollari. I calcoli del costo decennale della guerra salgono alle stelle".

Mursi Saad El-Din poi ha chiesto a Said se la partecipazione degli Inglesi all'invasione, dato il loro ruolo nello stabilire la dinastia Hascemita nel 1917 e il ruolo originale giocato da Gertrude Bell nel disegnare la mappa della regione, gli permetterebbe di giocare un ruolo nella riabilitazione dell'Iraq. "Non ho informazioni", ha risposto Said, "ma è mia opinione che gli Americani vogliano fare l'intera cosa. Non credo che essi vogliano gli Inglesi o le NU. Penso che l'idea è di fare tutto da soli e magari fare uso degli esperti Inglesi, ma il lavoro serio verrà fatto dagli Americani: le nomine nei ministeri, far funzionare il governo, ecc. E gli Inglesi avranno un ruolo molto piccolo".

Un anziano analista politico di Al-Ahram, Salama Ahmed Salama, ha chiesto a Said il suo punto di vista sul conservatorismo della attuale amministrazione americana e come la giudichi. E' questo un momento transitorio? "E' la peggiore amministrazione che abbia mai visto lì dal 1951. L'intero trend amministrativo è molto artificioso fatto essenzialmente di tre correnti. Una è quella Cristiana, che è isolata dal resto del paese. Ma parliamo di 70-80 milioni di persone. Questa è il principale elettorato di Bush. Secondo, il movimento neo-conservatore, che si è sviluppato dalla fine degli anni '60. Ma ora è molto più ristretto e dedicato. Questo perché abbiamo persone come (Richard) Perle e (Paul) Wolfowitz in posizioni di potere, perché hanno fatto un'alleanza con i gruppi isolazionisti di destra all'interno dell'America. E queste persone sono più forti dopo l'11 settembre. Sono di destra, anti-immigrazione, anti-diversità nei campus e altrove, e hanno un elettorato molto ristretto dalla paura e dal disprezzo. Il terzo gruppo è l'estabilishment di Washington, quei think tank in Washington che hanno studiato e sono diventati venditori di politica senza pari. Posso farvi i nomi di dieci riviste che pubblicano cose senza alcuna distinzione. Sono un gruppo interamente locale che dipende dal governo. E penso che è un gruppo estremamente pericoloso ma, in ultima analisi, in un vicolo cieco".

"L'opposizione alla guerra è, penso, un opposizione a tutto questo. E' un'opposizione ai fondamentalisti che sono, per esempio, contro la teoria dell'evoluzione. E queste sono le persone che spingono per la guerra. E questo è la ragione per cui penso che il movimento contro la guerra, a dispetto della lealtà per i ragazzi all'estero, come dicono i Democratici, crescerà. Credo che Bush non avrà un secondo mandato. Infatti io e molti altri siamo convinti che Bush cercherà di negare le elezioni del 2004: abbiamo a che fare con un golpista, cospiratore, deviato paranoico che è molto antidemocratico".

"Ecco perché penso che i candidati Democratici nelle primarie l'anno prossimo includeranno gente come Howard Dean, Tennis Kucinich e magari anche Ralph Nader. Penso che queste siano cose molto importanti per noi, specialmente ora data la guerra e quelle che, sono sicuro, saranno le sue complicazioni. Penso che questo sia il compito degli intellettuali, fornire risorse alla speranza. Essi non possono essere scoperti nei tradizionali meandri del potere".

"E non dimenticate, abbiamo una recessione economica estremamente drammatica. Con moltissime persone senza lavoro c'è un'ampia percezione che il sistema della sicurezza sociale debba essere privatizzato, e questa guerra così diventa una sorta di follia. Bush spende già qualcosa come due miliardi di dollari al giorno. Chi pagherà per questo? Ecco perché penso che le reazioni francesi e tedesche e degli altri siano così importanti. Essi non vogliono essere parte del cosiddetto sforzo per la ricostruzione. E guardano a ciò che fu fatto in Afghanistan. Essi non hanno fatto niente. Bombardarono il posto senza aiutare nessuno. Così, penso che è un momento molto importante per questo".

Aziza Sami ha sottolineato la crescente percezione che i regimi arabi abbiano raggiunto "la fine della loro storia" in qualche senso; nessuno sa cosa succederà ora nel mondo arabo. Per molti, la sola opzione sembra essere un tipo di movimento del popolo, una reazione proveniente dal settore non statale. In questo senso lei ha chiesto a Said se i sistemi politici formali arabi hanno realmente raggiunto la fine delle loro vite e se c'è un modo in cui le masse arabe possano iniziare a trovare nuove direzioni.

"Non penso che qualcuno stia realmente cercando una risposta a questo", ha risposto Said. "I regimi hanno modo di rimanere in piedi, in particolare in momenti imperiali come questi".

Comunque, Said ha portato l'attenzione su ciò che ha chiamato "una deplorevole ed emergente corrente in America e Inghilterra" del neo-imperialismo, il pensiero che c'è un'accettabile e benigna forma di imperialismo, così come effettuato dagli Stati Uniti. Questo, spiegava, ha anche portato delle revisioni nella storia del vecchio impero Britannico da parte di storici quali Nial Ferguson e David Armitage, i quali argomentano che l'impero non era così brutto, dato che portò ordine e che certi paesi beneficiarono da essi.

Said: "L'avvento di questo nuovo imperialismo, con la mentalità golpista e cabalista che credo esista a Washington, e con l'altamente dubbio risultato delle elezioni del 2000 nelle quali Bush ha perso il voto popolare ma ha vinto la presidenza, ha suggerito a molte persone il completo fallimento della democrazia Americana. Sempre più persone stanno pensando in termini di democrazia diretta, come sulle strade, e in termini di varie maniere alternative di vedere al governo in questo nuovo mondo con una singola potenza globale che ha l'abilità di proiettare la sua potenza militare in tutto il mondo e sostenere due, tre, quattro guerre nello stesso momento. Questa è la visione di Rumsfield: non solo guerra preventiva ma anche simultanea. In una tale posizione, siamo tutti sulla stessa barca, quelli di noi che non ci credono, Americani o no".

"E penserei che la stessa cosa si applica qui per quanto ne so e possa giudicare. Quello che dico è che c'è una mancanza di ruoli. I poteri che sono nei paesi arabi sembrano essere capaci al massimo di contenere le dimostrazioni. Ma penso che ci siano abbastanza movimenti dal basso, movimenti per i diritti umani, movimenti ecologisti, movimenti etnici che favoriscono, in America, la disunione dell'America, che è molto importante. E forse lo stesso è vero qui. In altre parole, penso che il sistema westfaliano, che ha regolato il sistema del mondo degli stati, non funzioni più. E penso che è sbagliato internamente. C'è stato un desiderio da parte della destra negli Stati Uniti, dai tempi dell'amministrazione Clinton, di attaccare violentemente il pensiero indipendente e qualsiasi cosa che sfidi l'ordine prevalente, e naturalmente questo è aumentato dopo l'11 settembre".

L'analista politico Mohamed Sid-Ahmed ha sottolineato che dopo l'11 settembre sembrò che il confronto principale fosse fra l'America imperiale e il terrorismo. Ma qualcosa di nuovo si è sviluppato da allora, rovesciando il gioco. I movimenti di massa che iniziarono con Seattle, il movimento anti-globalizzazione che ha acquistato dimensioni globali da allora, e Porto Alegre, e le più recenti dimostrazioni mondiali contro la guerra in Iraq, stanno cambiando l'equilibrio, mettendo l'amministrazione Bush sulla difensiva. Questo è un fenomeno, argomentava, che ha implicazioni a tutto campo, ivi compresa l'immagine dell'Islam come "terrorista" e "estremista" che sta cercando di seguire un Islam moderato. Said ha concordato ma ha aggiunto che il problema per gli estranei è che ciò che si vede sono i regimi ufficiali. "Il resto del mondo identifica gli Arabi con i loro regimi. Lì non sembra esserci niente altro. E non credo che abbiamo, nel mondo Arabo, sviluppato un modo di indirizzare queste controcorrenti in una maniera organizzata o quantomeno significativa. Dopo l'11 settembre ci sono stati i tentativi di gruppi di, chiamiamoli intellettuali egiziani, che volevano rispondere e scrivere lettere e mostrare che non siamo tutti Osama Bin Laden. Ma ciò non è proprio la stessa cosa. Il problema sono i regimi stessi che, dopo tutto, rivendicano di rappresentare i loro popoli. C'è una crisi di rappresentazione, che penso sia difficile da superare".

"Quello che è molto interessante è la percezione e questa è una nota di fondo a quello che Mohamed Sid-Ahmed ci ha detto, che l'opposizione agli USA nel mondo arabo, in europa e altrove non è un opposizione all'Islam. E' contro una base molto più ampia, che è molto importante. Io per primo credo che è importante, per quelli di noi che non sono parte di questo sistema statale, essere capaci di rivolgersi a quella che chiamo "l'altra America", perché ci sono vaste possibilità di mutuo beneficio, e Porto Alegre è un modello per questo".

La situazione e gli eventi in Palestina hanno naturalmente trovato posto nella discussione, dominando alla fine la tavola rotonda. Mohamed El-Sayed Said ha sollevato parecchi argomenti correlati al nazionalismo palestinese, riferendosi al caos che ha caratterizzato l'Intifada palestinese dal suo inizio, che "riflette la crescente distanza fra l'intellighensia e l'elitè politica da una parte e le nuove generazioni dall'altra, in particolare nei campi profughi a Gaza ma anche in Cisgiordania. Credo che questo sia un argomento di grande preoccupazione dato l'immenso sacrificio pagato, almeno finora, senza reali guadagni politici".

Egli è anche allarmato dalla leadership palestinese di medio grado che ha smarrito la sua strada nel corso dell'Intifada: "abbiamo un'Intifada senza una vera testa, e ci sono delle domande su come ridare mente e ragione a un così grande atto di resistenza. Anche lo slogan generale di 'Intifada per la Liberazione' è stato esagerato al punto del suicidio…. Dato che stai chiedendo effettivamente ai Palestinesi di completare il loro ciclo e di avviarsi verso la loro destinazione finale, gli stai chiedendo qualcosa che essi non potrebbero fare, anche in termini numerici. Un tale caos è disastroso quando sei in lotta", ha insistito.

Finalmente El-Sayed ha sollevato il problema delle finanze. "I fondi arabi e i soldi arabi erano parte della corruzione palestinese sin dall'inizio. Ora sappiamo che i Palestinesi hanno bisogno di assistenza economica e di aiuto, così come possiamo seguitare l'assistenza economica e finanziaria per rinforzare il corpo politico della comunità palestinese, il movimento nazionale palestinese ?"

Said era anche preoccupato della militarizzazione dell'Intifada, ma "uno degli elementi principali nella creazione della mubadara (iniziativa democratica) di Mustafà Barghouti e Haydar Abdel-Shafi e altri, è precisamente la questione della leadership dell'Intifada e la sua militarizzazione".

Egli ha comunque ammesso che era una questione sensibile per i Palestinesi dato che nessuno voleva essere visto capitolare di fronte all'occupazione israeliana, specialmente davanti a persone quali Ariel Sharon che continuava a rilasciare dichiarazioni quali "li spezzeremo". Nessuno vuole mollare, ha spiegato. "La parte curiosa di tutto questo è che non ci sono strumenti per arrendersi; non abbiamo nemmeno quella capacità. Voglio dire che Arafat si è effettivamente arreso, e nessuno sembra essere interessato. Ecco perché tutti stanno battendo altre strade".

"Penso che la questione dei soldi e i nuovi contatti è emersa da questo mubadara. C'è stato un grande interesse dall'Europa riguardo questo mubadara precisamente perché è stato guidato e rappresentato da parecchie centinaia di persone che hanno tutte una reputazione per trasparenza e che sono dedicate alle loro organizzazioni, siano esse mediche o di sollievo. Questo è impressionante".

"Per quel che riguarda i gap fra i campi e l'intellighensia, ci sono altri due gruppi che sono estremamente importanti: i Palestinesi che sono Israeliani, un milione circa, e gli Shatat, i Palestinesi della diaspora. Ora, dovunque tu vada ci sono persone che dicono che dobbiamo organizzarci e stiamo iniziando a farlo. In posti come la Gran Bretagna c'è un movimento di solidarietà molto forte. Penso che (essendo fondamentalmente anarchico) stia lavorando attraverso altri gruppi tipo campagne di privazione, campagne anti-guerra, gruppi dei diritti umani. Non possiamo affrontare Stati Uniti e Israele faccia a faccia, perché sono troppo forti, non ne abbiamo i mezzi. Per me la risposta è nell'emergere di una mentalità non convenzionale che è capace di rompere con tutti i vecchi slogan".

Finalmente i partecipanti sono tornati ai scenari per l'Iraq post-guerra, ammettendo che l'immagine è offuscata. "Non credo che nessuno abbia idea" ha concluso Said, "Tutti i scenari disponibili per il Medio Oriente che ho visto sono pieni di supposizioni. Uno scrittore che raccomando alla vostra attenzione è Thomas Powers. E' il miglior scrittore sulla situazione attuale. Ha scritto un articolo intitolato "L'uomo che sarà Presidente dell'Iraq" per il New York Times e pensa che non c'è dubbio che una volta che l'amministrazione Americana sarà entrata in Iraq, essi andranno in Iran. Se ciò succederà, chi gli impedirà di pensare la stessa cosa in Siria? Ci sono tutti i tipi di scenari che coinvolgono Israele. L'amministrazione americana vuole un nuovo asse di amici: Israele, Turchia, India. Questo è il nuovo pensiero strategico. Cosa causerà questo regime in Iraq al mondo arabo? Queste sono le cose in discussione; la dominazione non araba in Medio Oriente. Molti iracheni, come Kanan Makiya, hanno parlato di de-arabizzazione del mondo arabo, non solo dell'Iraq. Non so veramente cosa dire perchè tutto potrebbe andar male. Non so come sarà questa guerra".

Ma il popolo iracheno rimarrà sottomesso, si chiedeva Sami. "Non lo so. Penso che l'amministrazione americana lo creda. Prendete le mie parole alla lettera: il governo americano ha pochi ammiratori nel Medio Oriente. Gli esperti anziani del Medio Oriente al Dipartimento di Stato, dei quali l'ultimo è forse Robert Burns, sono stati esautorati. O non ci sono più o non hanno alcuna influenza. E i nuovi, come Thomas Friedman non sanno la lingua e viaggiano nel mondo arabo ricevuti in camere come questa e danno all'amministrazione consigli su ciò che gli arabi dicono e così via".

"Le nostre voci non sono mai ascoltate. Al-Ahram è una delle poche cose che la gente legga, e ha un certo effetto, lentamente. La stampa americana è così asservita e spaventata che anche quando Robert Burns ha tenuto il suo grande discorso al Senato un mese fa non è stato riferito. Non c'era nulla sul New York Times. E' incredibile, c'è una tale atmosfera di paura che l'unica cosa rimasta sono le radio alternative, le pubblicazioni alternative e se tu le segui e ti ci appassioni, penso che lì c'è l'azione. Ecco perché Al-Ahram è una risorsa fantastica. Molti americani lo leggono. Loro leggono i vostri giornalisti come alternativa a quello che hanno in America".