Domande e risposte sul referendum del 15-16 giugno.
Un
materiale dal linguaggio semplice che può essere utilizzato per volantini
a doppia facciata o pieghevoli. A cura del Comitato per il sì di Cologno
Monzese, Milano.
Il 15 giugno andremo a votare sul referendum per l'estensione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Cosa significa? L'art.18 tutela i lavoratori dai licenziamenti ingiusti: in poche parole le imprese possono licenziare per svariati motivi (perché devono ristrutturare, perché vendono di meno, perché il lavoratore non ha rispettato le regole, ecc.) ma senza discriminazioni ed arbitrarietà individuali. Ad esempio non si può licenziare un dipendente perché sciopera o perché si rifiuta di fare gli straordinari o perché ha i capelli lunghi. L'art. 18 dunque impedisce il licenziamento senza giusta causa. Se ciò accade il lavoratore può ricorrere al giudice e questo deve reintegrarlo sul posto di lavoro. C'è però un problema: l'art.18 non vale nelle imprese fino ai 15 dipendenti. Il referendum si propone di eliminare questo limite. Quindi se si vota sì, il limite viene tolto (e dunque l'art.18 vale per tutti), se si vota no o non si va a votare, rimane. Noi siamo per il sì, e qui di seguito spieghiamo perché, rispondendo alle più tipiche contestazioni che ci vengono rivolte.
Se vince il sì ci rimetteranno i piccoli imprenditori.
A quel punto non assumeranno più nessuno, perché poi non potranno
più mandarli via.
L'art.18 non impedisce che si possa licenziare se l’azienda è
in crisi, se calano gli ordini, o se deve ristrutturare. Impedisce solo i
licenziamenti ingiusti.
E che cosa si intende per “licenziamenti ingiusti”?
Quelli “senza giusta causa”: è il caso di un lavoratore licenziato
perché non vuole fare uno straordinario, o perché ha protestato,
o semplicemente perché sta antipatico a un dirigente. Se invece il
lavoratore ha violato delle regole, allora l’articolo 18 non lo copre.
Che visione avete dei rapporti di lavoro nelle piccole aziende!
Io ad esempio lavoro in un posto dove il principale è in ottimi rapporti
coi dipendenti e non si mette certo a licenziare perché uno gli è
antipatico!
Bene, se è così perché preoccuparsi? L'estensione dell'art.18
non potrà certo danneggiare datori di lavoro amichevoli e ragionevoli.
Se costoro non ricattano il dipendente per ottenere quello che vogliono con
la minaccia del licenziamento, stanno in realtà già da sé
applicando l'art.18. Per loro la vittoria del sì, dunque, non comporterà
problemi.
Nel rapporto di lavoro nelle piccole imprese è fondamentale
la fiducia. Perché un datore di lavoro deve essere obbligato a tenersi
un dipendente che magari rispetta formalmente tutte le regole, ma nei confronti
del quale non ha fiducia?
Proviamo a invertire il problema. Perché un dipendente che rispetta
tutte le regole, i suoi compagni e i suoi superiori, lavora bene e ha superato
il periodo di prova o è stato confermato dopo il contratto di formazione/lavoro
dovrebbe essere licenziato? Se uno lavora e fa bene il suo lavoro non è
giusto che sia licenziato, solo perché il datore di lavoro dice di
non avere fiducia.
E' ridicolo che se un datore di lavoro ha un solo dipendente,
non lo possa licenziare quando vuole e deve tenerselo per 30 anni.
Ragioniamo in maniera pratica. Chi ha un solo dipendente o pochi di più,
assume con contratti di apprendistato, co.co.co, tempo determinato, o in nero,
salvo rarissime eccezioni. E in quelle situazioni l'art.18 non vale, perché
si applica solo ai contratti a tempo indeterminato.
Se un poveretto vuole investire una cifra per aprire una
piccola impresa, gli si dovrà pur dare qualche vantaggio.
Con tutte le forme di lavoro precario che ci sono in giro, gli imprenditori
hanno già notevoli vantaggi. Chiedere come vantaggio la libertà
di poter licenziare ingiustamente vuol dire che si vuole usare questo potere
per assicurarsi il silenzio del lavoratore di fronte alle violazioni di regole,
o a soprusi.
Il referendum ci porta fuori dall'Europa.
In alcuni Paesi europei il licenziato senza giusta causa è tutelato,
in altri no. Però: perché si cita sempre l'Europa solo quando
fa comodo? In Italia non ci sono delle tutele previste in altri Paesi d’Europa
dove, se uno è lasciato a casa a 50 anni e non riesce a trovare un
lavoro, riceve comunque un sussidio che gli permette di vivere dignitosamente,
anche per molti anni. In Italia questo non accade.
E allora parliamo di sussidi e non di articolo 18!
Se si parla di sussidi in più siamo d’accordissimo. Il problema
però è che non se ne parla. Inoltre: sarebbe sbagliato sopprimere
un diritto (quello di non essere licenziato ingiustamente) in cambio di una
tutela, cioé di soldi. Se passa questo principio qualsiasi libertà
sul posto di lavoro potrà essere monetizzata.
Per l'economia e l'occupazione è necessaria maggior
flessibilità.
C'è già troppa flessibilità, e in Italia è tra
le più elevate d'Europa. Ma il punto è un altro, il referendum
non ha incidenza alcuna sull'economia e i livelli di occupazione. Il referendum
interviene solo sui licenziamenti individuali ingiusti. Negli ultimi 10 anni
sono stati, purtroppo, 250 mila all'anno i licenziamenti collettivi per crisi,
ristrutturazione, razionalizzazione. I reintegri decisi dal giudice per licenziamenti
individuali senza giusta causa sono stati invece dell'ordine di 1000 all'anno.
Il rapporto è 1 a 250.
Bene, dunque perché vi preoccupate tanto?
Perché la sola esistenza dell'art.18 costituisce un freno alla possibilità
di licenziamenti ingiustificati. Nelle aziende sopra i 15 dipendenti gli imprenditori
sanno che è meglio non licenziare ingiustamente perché altrimenti
si va nelle grane. E sanno pure che è inutile minacciare il licenziamento
per ottenere dal lavoratore cose fuori dalle regole. Non a caso nelle imprese
sotto i 16 dipendenti non si sciopera e non c'è il sindacato. Non è
giusto che, pur facendo lo stesso lavoro, alcuni lavoratori godano di diritti
e altri no.
Il referendum divide il fronte di coloro che l'anno scorso
difendevano l'art.18.
Questo referendum si occupa di diritti che riguardano tutti, e dunque il problema
di dividersi non è dei lavoratori, ma delle forze politiche e sindacali.
Esse sono profondamente divise sulle questioni del lavoro, indipendentemente
dall'esistenza o meno del referendum. Tutti i sondaggi però hanno attestato
che la gran parte della gente è a favore dell'art.18 a prescindere
dall'orientamento politico. Questa è l'unità che conta e sindacati
e partiti devono adeguarvisi.
Se vince il sì aumenterà il lavoro nero.
Il lavoro nero in Italia è due volte superiore a quello di Francia
e Germania, pur in assenza dell'art. 18 nelle piccole imprese. Non solo la
vittoria del referendum non estenderà l'area del lavoro nero, ma, costruendo
sensibilità e solidarietà sociale in difesa delle regole, delle
tutele e dei diritti del lavoro, renderà possibile la lotta per contrastare
il lavoro nero.
Per tutelare i lavoratori delle piccole imprese è
meglio una legge del referendum.
Il referendum è uno strumento di democrazia diretta a disposizione
dei cittadini. Non si devono attendere accordi tra partiti o governi favorevoli:
la soluzione è a portata di mano, senza sorprese e senza giochetti
politici. Perché attendere una legge che forse non ci sarà mai,
quando il miglioramento può dipendere subito dal nostro voto?
L'estensione dell'art.18 non tutelerebbe comunque i lavoratori
con contratti atipici.
E' vero. L'effetto giuridico, in caso di vittoria del referendum, è
quello di ampliare i diritti solo al lavoro a tempo indeterminato. Ma dopo
anni di leggi che hanno reso precario il posto di lavoro, la vittoria del
sì segnerebbe una inversione di tendenza. Dopo una tale vittoria sarà
più facile chiedere tutele per tutte le forme di lavoro, anche perché
aumentarà il numero dei tutelati.