Contributo alla discussione sulla questione sindacale.
Riceviamo questo contributo che ricostruisce criticamente alcune fasi del sindacalismo di base, a partire dalla vicenda Sincobas. Di Antonio Stefanini. Settembre 2003.


Antonio Stefanini è stato dal 1991 al 1995 nella segreteria CGIL FP di Livorno, poi è entrato nello Slai e quindi, a seguito della scissione, ha contribuito a costituire il Sincobas. Nel settembre 2002 ne è uscito per rientrare in CGIL. E' tra i delegati più votati della sua Rsu (Comune di Livorno).

Sono ormai più di 15 anni che, a più riprese e in diversi settori, viene tentata la costruzione di una alternativa a CGIL-CISL —UIL. Solo per citare le esperienze più note degli anni ’80 - ’90: le Rdb-CUB nei ministeri, i Cobas che iniziano la loro storia nella scuola, la CNL nei trasporti, lo SLAI nel settore privato (Alfa di Arese ed ex Alfa sud in particolare).

E’ proprio in questo periodo infatti che si realizzano gli accordi del luglio ’92 e luglio ’93 che cancellarono la scala mobile dei salari. Le lotte spontanee che si ebbero, in opposizione agli accordi in questione, furono il terreno fertile su cui si sviluppò lo SLAI, per la prima volta uno "strumento sindacale di collegamento delle lotte e non un sindacato già confezionato".

Lo SLAI (nato dall’incontro di gruppi operai dell’Alfa di Arese e di Pomigliano) rappresentava il tentativo di uscire dalla logica dei mini apparati del sindacalismo di base, per porsi invece come strumento aggregante a partire dalle lotte e dal confronto nei luoghi di lavoro. In questa direzione una caratteristica dello SLAI era la partecipazione alle elezioni delle RSU, anche nelle situazioni dove vigeva l’assurda regola della quota di un terzo dei seggi assegnato a CGIL-CISL-UIL a prescindere dal dato elettorale. La partecipazione era considerata, in ogni caso, un dato importante che permetteva un confronto con gli altri lavoratori sul terreno della contrattazione e della partecipazione ad una struttura di delegati, anche se eletta in modo distorto.

Alcuni buoni risultati ottenuti in diversi posti di lavoro, il suo allargamento territoriale ottenuto anche tramite il lavoro di molti iscritti al PRC e, al contempo, il progressivo avvicinarsi di Rifondazione all’area governativa, in un rapporto stretto con il centro sinistra, provocarono una suggestione politicista - favorita anche dal particolare estremismo dei compagni napoletani- che determinò la spaccatura dello SLAI e la nascita del Sincobas. In sostanza, questo nuovo strumento, nasceva come tentativo di recuperare il progetto originario dello SLAI in un momento in cui, in una situazione politica e sociale difficile, gli spazi d’azione divenivano sempre più stretti.

Questa esperienza, nata nel gennaio ’96, riuscì da una parte a recuperare un buon pezzo del lavoro fatto come SLAI negli anni precedenti e dall’altra ad allargarsi a situazioni nuove.

Il tentativo fatto dal Sincobas, il suo rifiutare il terreno politico come terreno di costruzione sindacale, hanno fatto del Sincobas stesso, per alcuni anni, il soggetto sindacale di base più interessante della galassia "extraconfederale". E’ questo un periodo di avvicinamenti e brusche separazioni, di tatticismi fra gruppi dirigenti per rosicchiare piccole posizioni o adesioni; in sostanza, di tutto ciò che in termini unitari si dichiara di voler realizzare, si concretizza solo l’unità fra Sincobas ed SdB. Tutto questo la dice lunga sui reali intenti unitari dei vari gruppi dirigenti del sindacalismo di base.

Il quadro delle forze organizzate del sindacalismo di base, che si ha verso la fine degli anni ’90, è quello che, in maniera po’ schematica, viene dato nella tabella seguente:

 

CUB-RdB

Confederazione
Cobas

SLAI

Sincobas

Unicobas

CNL e Trasporti (Comu-Ucs-Sulta, ecc.)

iscritti

18.000

6.000

3.500

4.000

1.200

12.000

punti di forza

vigili del fuoco, INPS, ricerca

scuola

Arese Pomigliano

ATM Milano

forza delle idee

scuola

trasporto urbano, FFSS, Fiumicino

altre presenze

sanità e pubblico impiego

pubblico impiego

Settore privato

pubblico impiego e settore privato

 

 

attendibilità dei dati

certo

circa

certo

circa

certo

circa

N.B. i cobas scuola iniziano ad iscrivere i lavoratori solo in previsione delle elezioni delle RSU, fino a questo momento i cobas non hanno nessuna contabilità delle adesioni. I dati di questa tabella sono indicativi, ma il margine di errore realisticamente non è superiore al 15 %.

Alla fine degli anni ’90 prende corpo, a livello continentale, la costruzione della rete delle Marce europee. Il ruolo svolto dal Sincobas nella costruzione della rete delle Marce europee, contro la disoccupazione e l’esclusione sociale, che è stata il primo passo verso la costruzione del movimento No global, è stato molto importante. E’ proprio in questa fase, caratterizzata da una obiettiva difficoltà a costruire un sindacato alternativo, difficoltà "compensata" da un relativo inserimento nei movimenti sociali, che si determina il distacco, nella concretezza dei fatti più che nella teoria, del Sincobas dal suo progetto originario.

La direzione nazionale è sempre più proiettata sulle iniziative sociali, le manchette su Manifesto e Liberazione si moltiplicano evidenziando un attenzione più al cosiddetto "ceto politico" che non alla massa dei lavoratori (si spendono appunto soldi per le manchette sui due giornali comunisti, non letti certo dalla massa dei lavoratori, ma non si produce materiale centrale adeguato per le elezioni delle RSU nel pubblico impiego), insomma il terreno sindacale viene progressivamente abbandonato o meglio relegato alle capacità locali senza una centralizzazione delle esperienze. Il Sincobas si trasforma da strumento transitorio per la costruzione di una alternativa a CGIL CISL UIL a piccolo strumento sociale impegnato, nei social forum, a focalizzare la contraddizione capitale-lavoro; contraddizione che viene spesso messa in secondo piano, sia per la natura sociale dei soggetti che compongono il movimento, sia per l’affermarsi di teorie "innovative" stile disobbedienti. Lavoro egregio non c’è che dire, ma ciò rappresentava e rappresenta solo una parzialità, e neppure la più importante, rispetto ai motivi che hanno portato decine e decine di quadri ad impegnarsi nella costruzione di una alternativa sindacale.

Altra questione è la vicenda dell’unificazione con la Confederazione Cobas. Ad ottobre del 2000 prese corpo il processo unificante che avrebbe dovuto portare, entro la primavera sucessiva, ad un solo soggetto Cobas. L’assemblea nazionale di Roma del 1° maggio 2001 fu il punto più alto di questo progetto, progetto che subito dopo iniziò a segnare il passo.

I Cobas sono stati oggettivamente molto disinvolti nel gestire gli aspetti formali dell’unificazione, ma sicuramente la rigidità organizzativa del Sincobas non ha favorito i processi; inoltre "rendersi conto" -solo a percorso avviato- delle caratteristiche politiche negative del soggetto con il quale si stava realizzando l’unità, non ha certo fatto apparire il Sincobas come la parte più dinamica del soggetto che si voleva costruire, ma il suo esatto contrario.

Una volta iniziato il percorso unitario il conflitto politico interno non doveva essere impostato sul fatto che gli esponenti Cobas dovevano parlare pubblicamente solo su mandato degli organismi dirigenti, ma su proposte a positivo, su che sindacato costruire, su una valorizzazione delle esperienze sindacali rispetto a quelle prettamente politiche, ecc. L’accentuazione degli aspetti formali da parte del Sincobas faceva apparire come pretestuoso il contrasto politico in atto, dando quindi forza a chi sosteneva che era solo una questione di leader. I Cobas venivano accusati di voler costruire un soggetto politico, fatto questo reale (favorito da una lettura estremista dei fatti di Genova), ma questo avveniva in mezzo a mille contraddizioni sia territoriali che categoriali: nella scuola c’era e c’è molta insoddisfazione per la gestione della direzione Cobas e in diverse situazioni, non ultima la Toscana, le contraddizioni sono evidenti fra la politica tesa ai massimi sistemi del centro nazionale e la necessità di essere presenti nei luoghi di lavoro sul terreno squisitamente sindacale.

Il Sincobas non riusciva a vedere queste contraddizioni: riaffermava giustamente la scelta di campo per la costruzione di un soggetto sindacale, ma si sbilanciava sul terreno sociale, schierandosi con i Disobbedienti e facendo del lavoro nei social forum il terreno principale di costruzione. Schierarsi in quella situazione, con uno dei due filoni in cui si è diviso ciò che resta dell’autonomia operaia degli anni ’70 (filone Cobas e Disobbedienti) ha significato scegliere un soggetto politico contro un altro ed oltretutto, come già detto, accentuare il carattere politico e sociale dell’azione del Sincobas a dispetto delle puntualizzazioni sulla volontà di voler costruire una alternativa sindacale.

In questa situazione si doveva considerare che la Confederazione Cobas, se si toglie la scuola, aveva sì e no 1.000 iscritti, il Sincobas circa 4.000. Da questi rapporti di forza emerge chiaro che poteva avere esito positivo e doveva essere percorsa la strada del confronto-scontro delle idee (in sostanza una battaglia politica per l’egemonia come si sarebbe detto in altri tempi), cosa che avrebbe permesso a settori della scuola, già in sofferenza rispetto al politicismo della dirigenza Cobas, di prendere coscienza dei problemi ed al Sincobas di giocarsi la partita sul terreno dell’egemonia politica, senza dare l’impressione che fosse solo un problema di logiche di potere.

Ciò non è accaduto. C’è stato invece un arroccamento settario anche nel Sincobas, e a novembre 2001 non ci fu l’adesione alla manifestazione nazionale della FIOM, che portò 200.000 lavoratori in piazza a Roma (solo il Sincobas di Livorno aderì), e si seguì il resto del sindacalismo di base nella logica dello sciopero separato, in altra data, sciopero di cui ovviamente non si è accorto nessuno.

Ha prevalso una logica di piccolo apparato accerchiato, si sono praticate espulsioni che è un eufemismo dire che hanno lasciato "perplessi" molti iscritti, e il risultato è sotto gli occhi di tutti: il Sincobas ha ridotto in maniera consistente le proprie forze organizzate (Torino, Livorno, Napoli), le stesse elezioni per le RSU nel gruppo FIAT hanno segnato un arretramento significativo e, cosa ancor più importante, nessuna alternativa minimamente consistente è stata costruita sul piano sindacale e la CGIL, col suo rinnovato protagonismo e con tutte le difficoltà dell’attuale situazione politica e sociale post referendum, non sente certo il pericolo di una alternativa alla sua politica contraddittoria.

Anzi la CGIL si è rafforzata, fra mille contraddizioni, ma si è rafforzata. Un rafforzamento dato da una battaglia generale basata su episodi forti (manifestazioni nazionali, scioperi generali ecc.) e non sulla conflittualità e sulla organizzazione permanente nei posti di lavoro. Se si esclude la FIOM, per la quale andrà fatto un discorso a parte, continuano ad essere firmati contratti negativi per i lavoratori, ma la CGIL appare ugualmente un punto di riferimento per la difesa dei diritti. La battaglia sull’art.18 e la scelta referendaria hanno consacrato la CGIL come terminale sindacale della componente socialdemocratica dei DS.

In sostanza questo sindacato ha dovuto rispondere alla propria natura, ai propri dati genetici, così come hanno dovuto farlo molti dirigenti che, a prescindere dalla scelta di campo che avevano fatto nell’89 dopo la Bolognina, si sono dovuti rischierare non sul nome di un partito ma sulla sostanza dell’alternativa fra socialdemocrazia e liberalismo democratico.

Quali prospettive?

La CGIL in generale e la FIOM in particolare, di fronte agli attacchi di governo e confindustria, hanno oggettivamente svolto un ruolo fondamentale di tenuta del tessuto sociale. Sono stati canali tramite i quali si è espressa la resistenza dei lavoratori alle politiche liberiste.

E’ vero che, da una parte, non si sono prodotti organizzazione e conflittualità permanente nei luoghi di lavoro, ma è anche vero che ogni passo che la CGIL ha fatto e fa nella direzione del conflitto rende sempre più difficile il tornare indietro come se niente fosse successo. Le critiche che spesso sono riecheggiate a sinistra alla "svolta" di Cofferati è che questa si sarebbe realizzata solo come reazione al governo Berlusconi ed un ritorno dell’Ulivo al governo avrebbe riportato le cose come ai tempi di Prodi e D‘Alema.

Una costruzione logica di questo tipo è l’esasperazione del soggettivismo:

  1. a prescindere dai motivi che li determinano, che ovviamente vanno analizzati e capiti, è fondamentale comprendere il ruolo oggettivamente svolto da una organizzazione, le dinamiche che apre e la fiducia che immette nella massa dei lavoratori;
  2. pensare che "Cofferati" (anche se ora dovremmo dire Epifani) "possa -in caso di vittoria elettorale dell’Ulivo- riportare tutto come prima" è il rifiuto della dialettica. Primo perché i processi sociali hanno dinamiche proprie e sono molti i fattori che, nel bene e nel male, interagiscono fra loro, dai nuovi livelli di coscienza creatisi nel corso di questa fase di lotte, allo sviluppo di una dialettica conflittuale nei DS (che qualcuno, molto semplicisticamente, afferma essere il gioco delle parti); in secondo luogo per il ruolo della sinistra interna che dovrebbe contribuire a rompere i ponti con il passato rendendo irreversibile ciò che di positivo è stato fatto.

In una situazione di questo tipo è fondamentale il ruolo della sinistra CGIL. Esistono ampi spazi in CGIL in generale e in Cambiare Rotta in particolare. Sarebbe inoltre auspicabile una seria riflessione fra i militanti impegnati nei sindacati di base. Non è pensabile che il conservatorismo organizzativo congeli forze che potrebbero essere utilizzzate in maniera molto più proficua.

Iniziamo a discutere e questo sarebbe già un grosso passo in avanti.