La direttiva Bolkestein: a che punto siamo?
Il
Parlamento Europeo, il 16 febbraio 2006 ha adottato in prima lettura la proposta
di Direttiva sui servizi nel mercato interno (la Direttiva Bolkestein).
Il testo adottato, risultato di un "compromesso" tra il Partito
Popolare Europeo e il Partito Socialista Europeo, è sensibilmente diverso
dalla proposta iniziale della Commissione.
Quella che segue è un'analisi delle modifiche apportate.
Reds - Marzo 2006
I poteri della Commissione (leggermente ridimensionati)
Con la proposta iniziale, la Commissione aveva introdotto un articolo che
di fatto metteva le legislazioni nazionali sotto il controllo della Commissione
stessa.
Quell'articolo obbligava ogni Stato Membro a comunicare alla Commissione i
suoi progetti di modifiche regolamentari o legislative rese necessarie ai
fini dell'applicazione della direttiva.
In base alle proprie valutazioni, la Commissione poteva a sua volta adottare
una decisione che chiedesse a
quello Stato di sopprimerle.
Questo Articolo, che rafforzava i poteri della Commissione, è stato
soppresso.
I servizi pubblici
I servizi d'interesse generale (SIG) sono esclusi dal campo di applicazione
della Direttiva, ma essa si applica ai servizi d'interesse economico generale
(SIEG) "vale a dire ai servizi che corrispondono a una attività
economica e che sono aperti alla concorrenza".
In realtà, la distinzione tra SIG e SIEG è molto fuorviante.
In effetti, la Commissione stessa in un suo rapporto nel 2001 stabiliva che
"non è possibile stabilire a priori un elenco definitivo di
tutti i servizi di interesse generale da considerarsi come non economici"
e che pertanto "costituisce attività economica qualsiasi attività
consistente nell'offrire beni e servizi su un dato mercato". Con
una tale definizione, tutto, eccetto le attività "di governo"
dello Stato, può essere considerato come "attività
economica" e quindi assoggettato alle regole della concorrenza.
Quindi, quello che i sostenitori del "compromesso" presentano come
una grande vittoria, si rivela così molto poco rilevante.
Sono comunque elencati una serie di servizi, generelmente controllati e gestiti
dalle amministrazioni pubbliche, che vengono esclusi dalla Direttiva; come
pure vengono esclusi, e definiti con maggiore precisione i servizi di trasporto,
compresi i trasporti urbani, i servizi portuali, i taxi e le ambulanze, ma
in compenso vengono invece compresi nella direttiva i trasporti di denaro
o di persone defunte.
Il nuovo testo prevede inoltre che la direttiva non si applichi alle telecomunicazioni,
ai servizi postali, al trasporto e distribuzione dell'elettricità e
del gas. Ma queste deroghe, non avranno alcuna conseguenza pratica perché
questi settori sono in realtà già oggetto di direttive di liberalizzazione
a livello europeo. Invece i servizi legati al trattamento dei rifiuti, alla
depurazione delle acque e di fornitura e distribuzione dell'acqua, vengono
inseriti tra quelli su cui verrà applicata la direttiva. Evidentemente
questi servizi non sono stati considerati di interesse generale.
Il diritto del lavoro
Le formulazioni vaghe della direttiva originale, vengono ora precisate.
Il diritto del lavoro è esplicitamente escluso dalla direttiva. "La
presente direttiva non si applica al diritto del lavoro, cioè alle
disposizioni legali o contrattuali riguardanti le condizioni d'impiego, ivi
compresa la salute e la sicurezza sul lavoro, e i rapporti tra datori di lavoro
e lavoratori, e non vi incide in nessun modo. In particolare, la direttiva
rispetta pienamente il diritto di contrattare, concludere, estendere ed applicare
i contratti collettivi, e il diritto di sciopero e quello di assumere iniziative
sindacali in conformità alle norme che regolano i rapporti di lavoro
negli Stati membri. Non incide neppure sulla legislazione nazionale in materia
di sicurezza sociale negli Stati membri".
Questo per quanto riguarda i lavoratori dipendenti; resta il problema dei
"lavoratori indipendenti". E visto che i falsi lavoratori indipendenti
tendono a moltiplicarsi, questo rappresenta un grosso problema.
E' ormai un fenomeno ricorrente che in certe imprese europee, vengano trasformati
i lavoratori dipendenti in "indipendenti" per sottrarsi agli obblighi
del diritto del lavoro. Già ora vi sono imprese subappaltatrici di
grandi gruppi che fanno venire gli operai dai paesi ultimi arrivati nella
UE, presentandoli come lavoratori indipendenti. Vengono così aggirate
tutte le disposizioni di tutela dei lavoratori contenute nella Direttiva,
tanto più che la Direttiva stessa è volutamente molto vaga nel
definire il concetto di "prestatore".
È una porta spalancata ai "finti indipendenti".
Il controllo sulle imprese
È un punto fondamentale. Il progetto iniziale di direttiva rendeva
impossibile, di fatto, il controllo delle imprese da parte dei pubblici poteri.
Il controllo era di competenza dei paesi d'origine e una molteplicità
di norme mirava a rendere impossibile per lo Stato in cui la prestazione veniva
erogata, gettare il minimo sguardo sulla loro attività.
La linea adottata dal Parlamento Europeo modifica sensibilmente questo dato.
Non è più il paese d'origine, ma lo Stato membro di destinazione,
quello a cui compete il controllo dell'attività del lavoratore sul
proprio territorio.
Uno Stato potrà quindi richiedere ad un'impresa di avere un proprio
rappresentante sul posto e potrà imporle il rispetto delle procedure
previste dalla direttiva.
Però è assai poco probabile che questa disposizione rappresenti
un ostacolo per le aziende per il pieno sfruttamento della forza lavoro disponibile.
D'altra parte, il problema del controllo sulle imprese, pur risultando possibile
giuridicamente, in pratica sarà difficilissimo da attuare e infatti
già oggi viene regolarmente aggirato sia per quanto riguarda il diritto
del lavoro sia per le norme di protezione dei lavoratori dipendenti.
Il regime di autorizzazione non cambia molto rispetto alla direttiva iniziale.
Questo perchè nella direttiva vengono elencate una serie di questioni
da tenere conto all'atto della concessione dell'autorizzazione, che nei fatti
rappresentano elementi a cui i padroni possono appigliarsi per non concederla,
o per renderla praticamente non utilizzabile dagli organismi di controllo.
Insomma, passi la ragione imperativa d'interesse generale, ma che non ostacoli
gli scambi. Si profilano delle belle battaglie giuridiche davanti alla Corte
di Giustizia.
Il principio del paese d'origine
Era il cuore della direttiva. L'espressione "principio del paese d'origine
(PPO) scompare dalla direttiva.
L'Art. 16, che nella direttiva originale era dedicato al PPO, è stato
riformulato e il suo titolo diventa "Libera prestazione di servizi".
È importante analizzare in dettaglio tale articolo per capire le conseguenze
delle modifiche apportate.
Il principio del PPO è sostituito dalle seguenti disposizioni: "Gli
Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di servizi di fornire un
servizio in uno Stato membro diverso da quello nel quale hanno sede. Lo Stato
membro nel quale è fornito il servizio garantisce il libero accesso
all'attività di servizio come pure il suo libero esercizio sul suo
territorio"
È la libera prestazione di servizi.
Segue un elenco di provvedimenti vietati, temperato solamente dalla possibilità
di uno Stato di "imporre dei requisiti riguardanti la prestazione
dell'attività di servizio, per ragioni di ordine pubblico, di tutela
ambientale e di salute pubblica".
Nel dibattito parlamentare i Verdi, la GUE e una parte del PSE avevano chiesto
di indicare chiaramente che il diritto del paese di destinazione, e cioè
il diritto del paese in cui viene fornita la prestazione del servizio, si
applica alla "libera prestazione di servizi". Ma è stato
respinto.
Quale sarà allora il diritto da applicare?
La situazione è dunque molto complessa e darà luogo ad un'incertezza
giuridica foriera di molti ricorsi alla Corte di giustizia.
Vi sono diverse normative europee che regolano la materia, ma proprio perchè
sono molte è prevedibile che verranno prese a riferimento quelle che
maggiormente converranno alle parti in gioco. Sembra un paradosso: l'eliminazione
del PPO ha nei fatti creato una situazione peggiore, senza regole, che renderà
ancora più aspra la concorrenza nell'utilizzo dei prestatori di servizi.
Dietro l'affermazione generica della difesa dei diritti degli sfruttati a
farsi sfruttare e degli sfruttatori di sfruttare, senza nulla aggiungere,
vi è la "libera contrattazione" tra le parti dove la legge
è quella del minor costo, minori diritti e minori garanzie.
Conclusioni provvisorie
La direttiva adottata dal Parlamento europeo ha eliminato gli aspetti più
ultra-liberisti del testo proposto dalla Commissione. E questo è il
primo risultato della mobilitazione dell' opinione pubblica.
La direttiva resta comunque inaccettabile: il diritto del lavoro nazionale
potrà essere aggirato, la possibilità di un controllo reale
sulle imprese non è garantita, non è chiaramente definito quale
diritto si applica alla prestazione di servizi, l'ambito di applicazione della
direttiva comprende una parte di servizi pubblici.
Ma è la logica stessa della direttiva che bisogna mettere in discussione.
Direttiva liberalizzatrice, essa precisa che "le disposizioni in
materia di procedure amministrative non mirano ad armonizzare le procedure
stesse ma hanno lo scopo di eliminare i regimi autorizzativi, le procedure
e le formalità" .
Il rifiuto dell'armonizzazione comporta la concorrenza tra gli Stati il cui
risultato altro non è che una generale corsa al ribasso.
La direttiva rappresenta dunque un ulteriore passo avanti nella costruzione
dell'Europa da parte del mercato.
Bisogna respingerla.
Bisogna organizzare le mobilitazioni necessarie, a livello nazionale ed europeo,
affinché venga ritirata