Contratto metalmeccanici 2003.
Fim, Fiom e Uilm vanno allo scontro con il padronato in ordine sparso e presentano piattaforme separate. La lotta per un giusto salario e contro la precarizzazione crescente del rapporto di lavoro sono gli elementi che caratterizzeranno da una parte l’iniziativa dei lavoratori, e dall’altra la capacità dei sindacati di rappresentarli. La democrazia, come elemento di garanzia di partecipazione dei lavoratori. Di Duilio Felletti. Dicembre 2002.


Alla fine di quest’anno va in scadenza il contratto nazionale dei metalmeccanici: la più importante categoria dei lavoratori dell’industria.
I sindacati si apprestano quindi a definire con le loro proposte le condizioni dei lavoratori nei prossimi quattro anni per quanto riguarda la parte normativa, e per i prossimi due per quanto riguarda la parte salariale.
È noto che il rinnovo di questo contratto si presenta in modo assolutamente anomalo in quanto Fim, Fiom e Uilm hanno deciso di andare al confronto con le controparti padronali con tre piattaforme rivendicative distinte.
Questo fatto era da tempo nell’aria, in seguito alla tumultuosa soluzione del precedente rinnovo del biennio salariale che ha visto la mancanza della firma della Fiom e la mancata consultazione finale dei lavoratori.
Ricordiamo che dopo quello strappo la Fiom ha immediatamente proclamato ulteriori scioperi (16 ore complessive con una manifestazione a Roma) con l’obbiettivo di riaprire le trattative, e ha raccolto nelle fabbriche 360mila firme per chiedere che l’intesa venisse sottoposta a referendum.
Né gli scioperi e tanto meno le firme sono servite a cambiare la situazione, per cui il contratto firmato nel 2000 è stato operativo per tutti i lavoratori, e questo oggi ha rappresentato comunque la base di partenza su cui i sindacati hanno ragionato nel definire le nuove piattaforme.
Vi è inoltre da dire che era difficile pensare che, su questa questione, la lotta potesse proseguire fino all’ottenimento di un risultato, in quanto poi il movimento ha dovuto fare i conti con l’attacco che congiuntamente la Confindustria e il Governo hanno sferrato contro i diritti fondamentali dei lavoratori (art. 18, mercato del lavoro, pensioni), e in ultimo con la questione della Fiat.
È innegabile comunque che se non ci fosse stata la lotta della Fiom che ha tenuto il movimento in piedi, i sindacati (compresa la Cgil) non sarebbero stati in grado di tenere sul fronte della lotta in difesa dell’articolo 18.
Inoltre, grazie alla lotta della Fiom si è visto concretamente che esiste e permane tra i lavoratori un settore che si è radicalizzato su contenuti da cui non intende transigere, e su questi contenuti continua a chiedere ai sindacati di esprimersi e di sviluppare iniziative di lotta.
Questi settori di lavoratori sono principalmente costituiti da operai e impiegati giovani che sono entrati in fabbrica dopo periodi con contratti atipici, sono pagati in modo sicuramente insufficiente rispetto il livello di sfruttamento a cui sono sottoposti e (questo è un grosso elemento positivo) nella loro breve storia lavorativa non hanno conosciuto la sconfitta. Il sapore della sconfitta è invece ben conosciuto dalle generazioni precedenti che sono state cacciate in un riflusso che dura ormai da oltre vent’anni.
A fronte di questo settore di lavoratori molto combattivi, come vedremo, i sindacati (in particolare la Fiom) sono stati costretti a rivedere le proprie tradizionali posizioni rivendicative mettendo al centro le questioni che questo movimento ha posto con forza: il salario, la stabilità del posto di lavoro, e la democrazia sindacale.

Ci proponiamo in questo articolo di mettere a confronto nei loro punti fondamentali le diverse piattaforme, cercando di fare emergere le risposte che i sindacati hanno cercato di dare alle domande che vengono dai lavoratori e le diverse logiche che sono alla base delle proposte.

La questione della democrazia

La Fiom
Scottata dalla precedente esperienza, prima ancora di definire i contenuti della piattaforma, la Fiom ha voluto mettere le mani nel piatto sul problema del "chi decide cosa e come", scrivendo sul documento come le decisioni dovranno essere prese.
Ed è stato il mancato accordo con gli altri sindacati su questa importante questione che ha portato Fim, Fiom e Uilm a produrre diverse piattaforme rivendicative.
In un comunicato, di cui riportiamo il punto più importante, diffuso prima della stesura della piattaforma, la Fiom ha detto con chiarezza la sua posizione.
"Le lavoratrici e i lavoratori hanno il diritto di decidere sugli accordi che li riguardano, con il loro voto. Questo pronunciamento democratico non può essere espropriato dalle decisioni interne alle organizzazioni sindacali. Gli accordi non si applicano solo agli iscritti delle organizzazioni che li firmano, ma a tutti. Senza la democrazia sindacale non c’è vera unità, ma la pratica disastrosa degli accordi separati".
Il percorso della Fiom prevede quindi un referendum (a cui tutti i lavoratori dovrebbero partecipare) in cui la piattaforma dovrebbe venire approvata, e un ulteriore referendum per la ratifica dell’intesa finale.

La Fim
Questo sindacato invece dice chiaro e tondo che il referendum deve essere evitato, sia per il mandato alla trattativa sia per l’esito finale, e che la decisione finale deve essere ad appannaggio di una assemblea nazionale dei delegati da eleggere partendo dai posti di lavoro.
In pratica la Fim, puntando a un restringimento della platea dei lavoratori che devono decidere, tende a impedire un pronunciamento diretto.
Con questo tipo di atteggiamento, che la Fiom non potrà mai accettare, la Fim mette, nei fatti, già in conto la possibilità di giungere ad un accordo separato.
A differenza della Fiom, la Fim non ha messo per iscritto sul suo documento rivendicativo il percorso di consultazione dei lavoratori, quindi è plausibile ipotizzare che anche la timida apertura sull’assemblea nazionale dei delegati espressa verbalmente potrebbe non venire praticata se la situazione la dovesse sconsigliare.

La Uilm
Ha prodotto una proposta di democrazia che dice tutto e niente; nel senso che semplicemente si dice aperta a tutte le soluzioni purché siano condivise dai sindacati nel loro insieme.
Non dice cosa farà qualora si dovesse andare ad accordi separati. Ma è facile immaginarlo.

Come vediamo siamo in presenza di una proposta (Fiom) che mette al centro il potere decisionale di tutti i lavoratori e una (Fim) che invece mette al centro la struttura sindacale e il diritto esclusivo dei lavoratori iscritti ai sindacati di decidere. Quella della Uilm non è una proposta.
Ci sembra quindi corretta la posizione della Fiom anche perché ci sembra quella più capace di mettersi in sintonia con quei settori di lavoratori che lottano, e che possono essere conquistati al sindacato solo dando loro la percezione di contare realmente, e che le decisioni finali sono realmente nelle loro mani.
È chiaro che questa, per la burocrazia della Fiom, è un’arma a doppio taglio, e che, nel tempo, potrebbe anche rivoltarsi contro; va però giudicato favorevolmente questo spazio rappresentato dal referendum, che costituisce un elemento fondamentale di democrazia che al sindacato può solo fare bene.

Sul salario

Come sappiamo, per effetto dell’accordo concertativo del luglio del 1993 la richiesta di aumento salariale dovrebbe comprendere una quota tale da recuperare il potere d’acquisto perso nei due anni trascorsi e un’altra quota con cui si dovrebbe fronte all’inflazione che viene programmata per i due anni successivi.
Ma veniamo alle proposte dei sindacati, che su questo terreno si differenziano in modo molto vistoso.

La Fiom
Punta ad un aumento di 135 euro mensili, comprensivo dell’aumento per l’inflazione prevista per il 2003-2004 e del recupero del mancato potere d’acquisto del precedente biennio: nel complesso la rivendicazione rappresenta un aumento di salario intorno all’8,5%, e sfonda i tassi di inflazione programmata per i prossimi due anni.
Nei 135 euro è compresa inoltre una quota (30/35 euro) che non è legata alle dinamiche dell’inflazione ma deriva dal cosiddetto "buon andamento del settore". In pratica la Fiom ritiene che vi sia una certa quantità di denaro che non è stata distribuita con la contrattazione aziendale e che pertanto debba essere data a tutti i lavoratori seppure in forma forfettaria.
Nella Fiom si è sviluppato, inoltre, un dibattito che non si è ancora concluso, e che vedrà la soluzione in ambito referendario (cioè: decideranno i lavoratori); vale a dire se i 135 euro devono essere dati a tutti i lavoratori a prescindere dalla categoria di appartenenza (aumento uguale per tutti) o se invece dovranno essere riparametrati (meno di 135 euro alle categorie più basse, e di più a quelle più alte) in un rapporto 100/157.

La Fim
Anche la Fim sfonda il muro dell’inflazione programmata, definita dal Governo, che viene ritenuta non credibile e propone un aumento mensile di 86/87 euro da dare in modo differenziato tra le categorie in un rapporto 100/217.
Non è previsto nulla per il buon andamento del settore.
Prevede invece un 2% in più da dare a quei lavoratori che entro l’ultimo semestre della vigenza del contratto non abbiano fatto un contratto aziendale.

La Uilm
Gli aumenti salariali previsti non si discostano molto da quelli previsti dalla Fim e la distribuzione ricalca il metodo della Fim.
Per i lavoratori che non riescono a fare un contratto aziendale propone di dare comunque 250 euro l’anno.

Appare evidente la sterzata della Fiom rispetto alla sua tradizionale politica salariale, che, nonostante le spinte che venivano dalla sua base, si è sempre collocata su posizioni moderate; così pure appare evidente la differenza con Fim e Uilm sia nelle quantità che nella forma.
L’eventualità prospettata dalla Fiom di aumenti uguali per tutti, o nella peggiore delle ipotesi, di aumenti che vanno a schiacciare la scala parametrale è significativo di quanto questo sindacato stia cambiando. Salta all’occhio la dichiarazione esplicita fatta dal gruppo dirigente di voler rompere con la politica dei redditi (così tanto difesa a suo tempo da Cofferati, Epifani e soci) che, avrebbe portato a "una profonda divaricazione nell’andamento dei redditi, tra i livelli più alti e più bassi della categoria".
Da qui la scelta di una politica salariale che "si ponga il compito di recuperare il potere d’acquisto perduto e di ridistribuire produttività per tutta la categoria, a partire dai livelli più bassi. La Fiom considera così conclusa la fase della politica dei redditi."
La Fim e la Uilm hanno fatto proposte totalmente interne alla logica dell’accordo del 1993, e questo spiega l’estrema esiguità degli aumenti salariali. Secondo Fim e Uilm un maggior recupero salariale dovrà avvenire con la contrattazione aziendale (o di "secondo livello"), che come sappiamo deve servire a ridistribuire con il "premio di risultato" i soldi che derivano da un aumento della produttività, e quindi dello sfruttamento. Alla base quindi vi è l’accettazione della logica padronale secondo cui il salario deve dipendere dall’andamento dell’azienda e non dai bisogni dei lavoratori.
È partendo da questo principio che la Confindustria negli ultimi due anni porta avanti una campagna martellante sulla fine della validità del contratto nazionale di lavoro, e dell’opportunità invece di percorrere una nuova strada, quella cioè dei contratti aziendali, o al massimo territoriali e regionali.
La Confindustria chiede anch’essa la fine della politica dei redditi, ma come abbiamo visto lo fa da destra (cioè per dare ai lavoratori ancora meno); e la Fim e la Uilm stanno nei fatti prestando il fianco a questa manovra.
L’eventualità prospettata dalla Fiom degli aumenti uguali per tutti è stata motivata dal fatto che 10 anni di politiche concertative e di inflazione programmata hanno nei fatti prodotto una caduta del potere d’acquisto che si è concentrata principalmente sui livelli più bassi della categoria, in quanto ai livelli più alti i padroni non hanno mai smesso di fare mancare aumenti di merito, incentivi, bonus di fine anno che nei fatti hanno consentito un più che congruo recupero del potere d’acquisto del salario di questi lavoratori.
L’aumento dato in quantità uguale servirebbe quindi a fare un minimo di giustizia rispetto il passato e il futuro, visto che, quando una certa merce di prima necessità aumenta di una certa cifra, che è uguale per tutti, anche il recupero salariale deve necessariamente essere uguale per tutti.
Il fatto che però questa opzione venga sottoposta a referendum, sta chiaramente a significare che non tutta la Fiom è d’accordo, ma al suo interno vi è una componente (probabilmente maggioritaria) che non condivide questo tipo di scelta.
Questo referendum serve quindi a capire quanto il nuovo pesa nella Fiom, e quindi i limiti entro cui le vecchie burocrazie possono ancora muoversi.
Staremo a vedere.

Sulla lotta alla precarietà del rapporto di lavoro

Le proposte dei sindacati tendono a porre un limite allo strapotere che i padroni oggi hanno nelle mani nella gestione del rapporto di lavoro, che ha fatto sì che nella categoria dei metalmeccanici quasi la metà delle assunzioni passi attraverso un periodo, più o meno lungo di lavoro precario (interinale, a termine, formazione e lavoro, ecc….)

La Fiom.
La sua proposta di limitazione nell’uso di lavoro atipico è molto articolata, ma in buona sostanza tende a creare una fuoruscita dal precariato, e l’accesso al tempo indeterminato, dopo un periodo di 8 mesi di rapporto di lavoro anche non continuativo.
Vi è la proposta di garantire al lavoratore il godimento di tutti i diritti dei lavoratori dipendenti, anche in relazione alla malattia, all’infortunio e alle ferie, come pure quello di poter impugnare il mancato rinnovo del contratto, in taluni casi, in mancanza di giusta causa.
Nella piattaforma sono anche contenute proposte di estensione dell’articolo 18 per i lavoratori con contratti atipici.

La Fim
La Fim punta invece a definire nuove regole sull’uso dei lavoratori atipici, cercando di agire sulle quote massime consentite (non più di un certo numero sul totale degli occupati) per modificarle al ribasso.

La Uilm
Non si discosta in linea di principio da quanto proposto dalla Fim. Propone in aggiunta, di caratterizzare maggiormente il rapporto di lavoro atipico, come momento di formazione, per cui vede di buon occhio il coinvolgimento degli enti bilaterali.
Ricordiamo che gli enti bilaterali sono delle strutture composte pariteticamente da rappresentanti sindacali e rappresentanti padronali e che hanno il compito di prendere decisioni (che riguardano ovviamente l’azienda), di varia natura; una sorta di consiglio per la cogestione. Gli enti bilaterali sono in verità sempre esistiti in alcune categorie (esempio gli edili) ma sono stati rilanciati ed estesi in modo deciso con la firma del Patto per l’Italia.

La precarietà del rapporto di lavoro è un risultato delle politiche concertative, e quindi la situazione attuale, in cui il contratto a tempo indeterminato sta diventando sempre più un’anomalia, rappresenta la logica conseguenza degli accordi firmati negli ultimi 15 anni da Cgil, Cisl e Uil.
Tali accordi erano motivati dalla convinzione che solo dando la possibilità ai padroni di disporre della mano d’opera con maggiore flessibilità sarebbe stato possibile innescare un processo di crescita degli investimenti e di sviluppo economico.
Quanto questa "filosofia" si sia dimostrata tragicamente sbagliata lo dimostrano le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
Una massa di lavoratori sottopagati, ricattati con l’illusione del posto fisso, e facilmente licenziabili.
Bene ha fatto la Fiom a prendere di petto il problema mettendo il dito sull’elemento fondamentale: il lavoratore dopo un certo periodo (8 mesi, appunto) deve essere assunto; il resto sono chiacchiere che servono solo a confondere ancora le acque e a creare spazi per i padroni per andare avanti lungo la strada della maggiore precarizzazione.
Ci sembra logico che dei sindacati (Fim e Uilm) che hanno dimostrato di non essere in linea di principio per la difesa del diritto al mantenimento del posto di lavoro (salvo la giusta causa) non abbiano speso una parola su questo importante problema.

Vi sono poi altre questioni che vengono affrontate nelle piattaforme che però non costituiscono elementi di divisione, quanto invece caratteri distintivi derivanti dalle diverse tipologie della base sociale dei tre sindacati.
Questi elementi come la riduzione dell’orario di lavoro (scomparso da tutte e tre le piattaforme), la valutazione delle professionalità e il ruolo degli impiegati, la formazione individuale, ecc.. hanno sempre caratterizzato il dibattito interno dei sindacati, ma alla fine vi è sempre stata una sintesi unitaria, e, di conseguenza, una piattaforma unitaria, proprio perché in discussione non c’era il modello di sindacato.
Ora invece, ci sembra di poter dire, siamo a una svolta, di cui è difficile prevedere lo sbocco prossimo; quello che è in ballo è capire se, in questa fase della crisi del capitale, in cui la cassa integrazione e i licenziamenti sono in continuo aumento, e parallelamente aumenta la precarietà e lo sfruttamento del lavoro, il sindacato deve lottare o deve collaborare, e se per fare una cosa o l’altra, ha le forze e la capacità.
La chiave di lettura delle piattaforme deve essere questa.

La Fiom propone un sindacato conflittuale e, di conseguenza, necessariamente collegato ai lavoratori che per lottare devono poter contare su una stabilità del posto di lavoro e la certezza del salario.
Coerentemente con questa logica propone inoltre la costituzione di un fondo di resistenza che consenta alle lotte la maggiore incisività possibile.
La Fim e la Uilm rilanciano invece, "forti" della firma del Patto per l’Italia, il ruolo concertativo del sindacato in attesa di tempi migliori.
Noi crediamo che la scelta della Fiom sia quella giusta, e l’unica in grado di dare prospettive in avanti al movimento operaio nel suo insieme.
Federmeccanica da parte sua, mostra di temere un inasprimento delle lotte che potrebbero essere affievolite solo nell’ambito di una trattativa unitaria, e in questa direzione cerca di spingere l’insieme del movimento sindacale, ma nello stesso tempo ha già fatto capire che non intende in nessun modo, in questa fase, uscire dalle regole del 1993 che in questi 10 anni le hanno consentito una crescita dei profitti a ritmi giapponesi dei tempi migliori.
Non ha comunque perso l’occasione, Federmeccanica, per bocca dei suoi principali dirigenti, di prendere posizione contro la linea del maggiore sindacato dell’industria, lanciando segnali non troppo velati a Fim e Uilm di una sua disponibilità a isolare la Fiom e ad andare alla firma di un accordo separato.
Come possiamo ben vedere quindi, un colpo all’asse (Fiom) e un colpo al cerchio (il sindacato nel suo insieme): un atteggiamento fermo ma improntato alla prudenza.

L’evoluzione che potrà avere tutta le vicenda è difficile immaginare.
Le scadenze più vicine ora sono rappresentate dal referendum sulla piattaforma della Fiom che si svolgerà nei primi 15 giorni di dicembre e l’evoluzione della vertenza Fiat.
Pensiamo che se la stragrande maggioranza dei lavoratori darà un segnale di adesione al referendum, e se il sindacato dovesse riuscire a giungere a un accordo sugli esuberi alla Fiat che salvaguardi i posti di lavoro, per il padronato potrebbe aprirsi una stagione veramente difficile.
In caso contrario toccherà ai lavoratori rimboccarsi le maniche, perché il lavoro da fare sarà veramente lungo.