Contratto dei metalmeccanici 2003 .
Dietro
i contenuti del contratto firmato solo da Fim e Uilm si intravedono le caratteristiche
che definiscono il modello di sindacato dei prossimi 20 anni. Un sindacato
dei servizi, presente nei luoghi dove si decidono le strategie aziendali,
noncurante del consenso dei lavoratori. Di Duilio Felletti. Giugno 2003.
Rinaldini, nel suo intervento all’assemblea generale dei delegati della Fiom tenutasi a Brescia, in seguito alla firma separata del contratto dei metalmeccanici da parte di Fim e Uilm, ha affermato, in un passaggio del suo discorso, che la Fiom non può che "continuare la lotta per la conquista di un contratto vero"; e che questa strada non ha alternative se non quella di "diventare come loro…".
Inutile dire che questa affermazione è stata accolta con un’ovazione.
Inoltre tutti gli interventi che si sono succeduti hanno avuto al centro la rivendicazione, molto forte, del senso di appartenenza a un’organizzazione che non ha accettato di omologarsi.
I contenuti dell’accordo sono, a distanza di un mese, sufficientemente conosciuti a chi si interessa di questioni sindacali, per cui con questo articolo, esaminando i contenuti principali dell’accordo, vorremmo cercare di capire meglio chi sono questi "LORO" di cui ha parlato Rinaldini, a cui "NOI" non dovremmo mai assomigliare.
Cercheremo in pratica di rispondere alla domanda che è più o meno questa: com’è il nuovo sindacato che, a colpi di accordi separati, Cisl e Uil stanno cercando di costruire?
Vediamo di rispondere a questa domanda ragionando sui i fatti: cioè il contratto firmato.
IL SALARIO
Con il contratto i lavoratori hanno ottenuto un aumento a regime di 69 Euro, riferito al lavoratore inquadrato nel 5° livello.
Nell’ultimo mese del 2004, cioè a fine contratto, i lavoratori si troveranno in busta paga altri 21 Euro come anticipo del contratto successivo.
Fim e Uilm, che sommano questi 21 Euro con i 69 Euro della vigenza contrattuale (e che nella loro piattaforma ne avevano chiesti 92), sostengono candidamente, sapendo di dire una falsità, che invece l’aumento è di 90 Euro.
Ma al di la di come lo si voglia vedere, la matematica dimostra comunque che con questo aumento, sia per la sua entità che per le modalità di elargizione non compenserà il salario dall’erosione dell’inflazione.
Infatti, secondo dei conti fatti da alcune RSU, se si fosse portato a casa un aumento di 115 Euro si sarebbe, né più e né meno, semplicemente tutelato il potere d’acquisto dei salari, senza rubare nulla, e rispettando la famosa politica dei redditi.
Che la cifra doveva essere quella è dimostrato anche dal fatto che gli stessi sindacati hanno ottenuto per altre categorie delle quantità di quella grandezza.
Ricordiamo che gli impiegati statali hanno ottenuto 108 Euro, i ferrovieri 115 Euro, i netturbini 129 Euro, gli insegnanti 147 Euro.
La situazione appare ancora di più nella sua crudezza se prendiamo per buoni (e lo sono) i conti fatti dallo Slai Cobas, secondo cui l’aumento per i lavoratori sarà a regime di 28 Euro netti.
Essersi poi riferiti al livello operaio più alto (il 5°), quello cioè in cui sono inquadrati la minoranza degli operai metalmeccanici, rappresenta un escamotage che serve per non dire che in realtà la maggior parte degli operai prenderanno un aumento ancora più basso, essendo per lo più inquadrati al 4° livello.
Fim e Uilm, quindi, perché negano l’evidenza? Sono semplicemente stupidi o volutamente hanno inteso perseguire una linea sindacale di svuotamento di contenuto del contratto nazionale volta a sancire la fine della sua funzione di difesa e valorizzazione del salario?
Noi siamo convinti che sia quest’ultima la ragione che ha portato questi sindacati ad incamminarsi lungo questo percorso.
Fim e Uilm hanno in mente, e stanno cercando di realizzare, un sindacato che nei prossimi 10/20, anni perseguirà la valorizzazione del salario in forma decentrata e non tramite il contratto nazionale di lavoro.
E se le cose stanno così vengono spontanee alcune considerazioni.
Innanzi tutto, scomparendo il principio del recupero per via contrattuale, del potere d’acquisto eroso dall’inflazione, il riferimento per le richieste di aumento sarà l’andamento complessivo delle aziende nelle diverse aree geografiche (nella migliore delle ipotesi) o addirittura, potrebbe essere presa a riferimento l’andamento della singola azienda.
Il sindacato quindi sarà un ente che esisterà e avrà forza solo nelle situazioni in cui la produzione di profitto determinerà i margini per richieste salariali, e dove invece vi sarà crisi di accumulazione la presenza del sindacato non avrà alcun senso, e i lavoratori saranno abbandonati a se stessi.
Il modello che Fim e Uilm ci prospettano, è quello di un sindacato che rappresenta esclusivamente i settori di classe lavoratrice che più degli altri entrano nei meccanismi della produzione e fanno propri i principi della massimizzazione dello sfruttamento.
È la fine del sindacato che a prescindere dalla crisi, e dall’appartenenza geografica, fissa nel contratto nazionale la soglia minima a cui tutti i lavoratori devono poter avere diritto.
LAVORATORI ATIPICI, PRECARI E FLESSIBILI
La flessibilità e la precarietà del posto di lavoro, e tutte le nuove tipologie contrattuali previste dalla riforma Biagi e dal Patto per l’Italia sono diventate a tutti gli effetti legge, e in fase di trattativa per il rinnovo del contratto la Federmeccanica ha esplicitamente sostenuto di volere pari-pari trasferire nel testo del contratto quanto stabilito dalla legge.
Poiché questa legge, come abbiamo già argomentato, introduce meccanismi che produrranno precari a vita, la Fiom si è trovata gioco-forza nella situazione del "muro contro muro" visto che nelle sue richieste vi era la definizione di un tempo limite (8/10 mesi) oltre il quale il rapporto di lavoro doveva essere trasformato in "tempo indeterminato".
L’obbiettivo della Fiom era quindi diametralmente opposto.
Fim e Uilm invece accettando questa logica hanno inteso da un lato dare alla controparte padronale un segnale di disponibilità alla gestione delle flessibilità e delle nuove tipologie contrattuali, e dall’altro ai lavoratori lanciare il messaggio secondo cui l’epoca del lavoro a tempo indeterminato è finita, con tutto quello che ciò comporterà.
Il nuovo sindacato quindi, non è più un soggetto che difende il posto di lavoro ma si trasforma in un garante che le procedure di flessibilizzazione, finalizzate all’ottimizzazione dello sfruttamento vengano correttamente applicate.
È come se un ipotetico sindacato dei rematori di una antica nave romana, decidesse di essere garante che le frustate date ai rematori vengano inferte "secondo delle regolare concordate".
Non male come prospettiva!
ORARIO DI LAVORO
Storicamente i lavoratori hanno sempre rivendicato riduzioni di orario di lavoro.
Le richieste si concretizzavano nella fissazione dell’orario settimanale, nel tetto delle ore giornaliere, nel diritto al riposo settimanale, nella limitazione delle prestazioni straordinarie, festive e notturne.
Negli anni 70, 80 e primi 90 la Fim è sempre stata paladina di questa rivendicazione, agitando con convinzione l’obiettivo delle 35 ore a parità di salario, indicando il 2000 come anno in cui il lavoro settimanale doveva essere effettivamente di 35 ore.
Lo stesso obbiettivo veniva però visto con diffidenza dalla Fiom che invece, ritenendo le 40 ore settimanali un tetto difficilmente "sfondabile" ha sempre puntato sulla centralità del salario. Ma alla fine comunque la Fiom si è sempre accodata alle rivendicazioni della Fim con il risultato che nelle ultime tornate contrattuali si sono ottenute riduzioni di orario sotto forma di permessi retribuiti (complessivamente 112 ore l’anno) che il singolo lavoratore, o anche collettivamente, poteva utilizzare per ritagliarsi nell’anno periodi brevi di vacanza.
Non diciamo niente della Uilm, in quanto questo sindacato non ha mai voluto caratterizzare la sua politica rivendicativa su questo terreno.
Sul fronte padronale, la questione dell’orario di lavoro, come sappiamo, ha rappresentato nel passato e rappresenta tutt’oggi, un elemento importante, che ha sempre cercato di gestire (accentuandone la flessibilità) in modo da non compromettere, i livelli di competitività delle aziende.
Per questa ragione l’UE, che notoriamente è sempre attenta ai richiami di lorsignori, ha ritenuto di emanare delle direttive a cui tutte le imprese europee dovrebbero attenersi, e a cui i governi nazionali in accordo con i sindacati dovrebbero, nei prossimi mesi, ispirarsi per legiferare in merito.
Stando così le cose, la Federmeccanica ha ritenuto, e sostenuto, che il contratto avrebbe dovuto semplicemente applicare quanto previsto dalla normativa europea e dalla legge italiana.
Il risultato finale è stato quindi, quello di stoppare le seppur minime richieste sindacali di miglioramento dei meccanismi di utilizzo delle riduzioni di orario già previste dai precedenti contratti.
Si è stravolto quindi ciò che storicamente è sempre accaduto: che cioè invece di migliorare con i contratti quanto previsto dalle leggi, si è fatto l’inverso, si è andati a peggiorare il contratto dando applicazione alla legge.
La Fiom si è opposta mentre Fim e Uilm hanno accettato questo tipo di impostazione che nel merito prevede l’aberrazione del superamento dell’orario settimanale di lavoro e l’introduzione del principio di orario medio settimanale.
In sostanza, ampi spazi a diversi carichi settimanali di ore lavorate, purché alla fine, in fase di consuntivo di fine anno risulti che i lavoratori della singola azienda abbiano lavorato mediamente 40 ore.
Fim e Uilm si propongono così come sindacati disponibili a rinnegare un patrimonio storico di lotta per ridiscutere tutto alla luce delle leggi del mercato e mettendo in secondo piano le istanze dei lavoratori.
ENTI BILATERALI
Il contratto sancisce la presenza degli enti bilaterali nelle fabbriche metalmeccaniche.
Si tratta di luoghi in cui sono rappresentati sia la direzione che il sindacato, e che per le funzioni che dovranno svolgere, godranno anche di finanziamenti.
Gli enti bilaterali interverranno a pieno titolo nel campo della certificazione del rapporto di lavoro, nella gestione della formazione e del diritto allo studio, nelle questioni legate alla sicurezza, e si lasciano volutamente aperte altre strade per aumentarne il coinvolgimento.
Gli enti bilaterali saranno le reali strutture in cui i sindacati nei prossimi anni saranno presenti nelle aziende.
Si tratta in definitiva di un organismo di cogestione aziendale, con l’aggravante che non è previsto nessun meccanismo elettivo dal basso.
È l’inizio della fine delle RSU, che a questo punto si troveranno a non poter svolgere nessun ruolo di rappresentanza e di interlocuzione con la controparte.
Il tanto sognato, dai padroni, sindacato nei consigli di amministrazione, sta diventando realtà.
INQUADRAMENTO
Il sistema di classificazione dei lavoratori nelle categorie attualmente in vigore è vecchio di 30 anni, e da tempo veniva dal basso una domanda di riforma dell’inquadramento.
È cresciuto, specie negli ultimi anni, il malcontento dei lavoratori che si sono trovati a svolgere mansioni anche altamente specializzate senza nessun riscontro sul piano del riconoscimento della crescita professionale, semplicemente perché una serie di nuove mansioni non sono, oggi, previste sul contratto nazionale.
Negli ultimi 10/15 anni i delegati delle RSU si sono trovati in crescenti e oggettive difficoltà nell’affermare il diritto dei lavoratori a vedersi riconoscere passaggi di categoria anche ai livelli più bassi.
Pertanto, dall’altra parte hanno avuto buon gioco le Direzioni aziendali nel concedere passaggi (o negarli) in modo assolutamente discrezionale.
Era necessario riaffermare il ruolo del sindacato in questo importante campo, per cui la Fiom ha espressamente chiesto che si andasse in tempi rapidi alla riscrittura delle declaratorie, cioè delle descrizioni delle attività a cui far corrispondere le diverse categorie: sia per gli impiegati che per gli operai.
Le proposte di Fim e Uilm invece erano molto vaghe e di scarso impatto riformatore.
Per cui la Federmeccanica, dopo i soliti tira e molla, alla fine ha accolto la richiesta di costituire una commissione che avrà tempo 3 anni e mezzo per elaborare nuove declaratorie; questo significa per questa vigenza contrattuale che durerà fino alla fine del 2006, le cose resteranno così, con annesso il libero arbitrio padronale, che come tutti i lavoratori sanno è solito usare il passaggio di categoria per premiare i dipendenti più asserviti.
Perché Fim e Uilm hanno accettato un accordo così infimo? Semplicemente perché in questo modo si apre un ulteriore spazio di partecipazione del sindacato, e un rafforzamento del ruolo degli enti bilaterali.
LA QUESTIONE DELLA DEMOCRAZIA
La scelta di Fim e Uilm di non consultare l’insieme dei lavoratori (così come è accaduto nello scorso rinnovo separato) rappresenta il fatto più grave di tutta questa vicenda.
I lavoratori vengono volutamente espropriati dalla titolarità del contratto.
Ai lavoratori, a cui si chiede di scioperare per sostenere le richieste sindacali, vengono poi espropriati dal diritto di giudicare se la ragione della propria lotta abbia sortito un risultato più o meno positivo.
Fim e Uilm non hanno nemmeno convocato assemblee dei propri iscritti sui luoghi di lavoro; per la ragione evidente della paura di essere smentiti dalla base.
Siamo quindi di fronte a un contratto deciso dal primo momento all’ultimo esclusivamente dalle burocrazie sindacali.
Invano la Fiom ha, a più riprese, chiesto l’effettuazione di un referendum, mettendo in campo anche la sua disponibilià a firmare l’intesa in presenza del mandato derivante dal referendum.
Ma Fim e Uilm si sono dimostrate inflessibili, senza dare a questo atteggiamneto una spiegazione che avesse un minimo di dignità.
Fim e Uilm si propongono come sindacati che non prevedono la presenza fattiva dei lavoratori. A questi si chiede semplicemente il pagamento della tessera, almeno fino a che gli enti bilaterali non avranno una autonomia economica che deriverà loro dai finanziamenti pubblici e dalle tariffe che applicheranno per i servizi che produrrano.
Un sindacato senza lavoratori è un sindacato che per ragioni che tutti possono comprendere, è un sindacato che non lotta; e se non lotta, collabora.
RIASSUMENDO
Cisl e Uil hanno colto l’occasione del rinnovo di questo contratto dei metalmeccanici, dove si doveva decidere non solo della parte economica per i prossimi due anni, ma anche di quella normativa per i prossimi quattro anni, per trasformare in fatti ciò che da anni continuano ad affermare sulla questione dei nuovi modelli contrattuali, il ruolo del sindacato, e altre amenità.
Ora è tutto molto chiaro:
Il sindacato che prefigurano è in sostanza una struttura che si propone di essere PER i lavoratori non DEI lavoratori.
Una struttura che vive di vita propria e, quindi, prende decisioni senza preoccuparsi del consenso, per la semplice ragione che il consenso non determina la sua esistenza.
La sua esistenza deriva dalla sua capacità di dare un servizio ai lavoratori, esattamente come farebbe un qualsiasi ente pubblico (ACI, Anagrafe, ASL).
Per vivere questo sindacato deve limitarsi a mantenere in piedi il contesto che gli permette di vivere, e pertanto non può permettersi di produrre rivendicazioni e lotte che ne potrebbero determinare l’instabilità.
Quindi si sancisce la fine del contratto nazionale di lavoro, e gli aumenti salariali che in qualche modo sono incompatibili con la stabilità delle aziende.
Gli aumenti dovranno essere commisurati alle performaces aziendali e pertanto il ruolo del sindacato deve essere quello di controllore delle varie situazioni per essere poi in condizioni di fare richieste in piena responsabilità.
Lo sciopero è quindi un ferro vecchio, le assemblee inutili liturgie, le RSU ridicoli parlamentini, e via di questo passo.
CHE FARE?
Questo modello di sindacato rappresenta il pericolo maggiore che oggi i lavoratori hanno di fronte, ed è compito della parte più cosciente della classe batterlo, cercando le giuste alleanze e le forme di lotta più efficaci.
Dopo la firma separata la Fiom ha deciso di iniziare la lotta per la conquista di "un contratto vero", ha quindi proclamato degli scioperi, e si sta attrezzando anche sul piano legale per far fronte alle vicissitudini che potrebbero derivare ai lavoratori nell’applicazione di questo contratto.
Intende inoltre attivare la cassa di resistenza in quanto le previsioni sono di una lotta di lunga durata.
La Cgil ha dato il suo pieno appoggio alla lotta dei metalmeccanici.
Ci sono già stati scioperi spontanei e manifestazioni di piazza che hanno visto il coinvolgimento di un numero significativo di lavoratori; vi sono quindi tutte le premesse per dire che questa volta il sindacato sta facendo sul serio.
Pensiamo che gli obiettivi da portare a casa siano sostanzialmente due: il referendum e il tavolo della trattativa.
Ed è inutile nasconderci che questi obiettivi si perseguono solo se si riesce a coinvolgere gran parte dei lavoratori e delegati appartenenti a Fim e Uilm.
Non si tratta quindi attuare iniziative unitarie, si tratta invece di chiedere in modo spregiudicato alla base Fim e Uilm di aderire alla lotta della Fiom e di prendere le distanze dai rispettivi gruppi dirigenti, perché da quella parte non può venire nulla di buono.
La Cgil deve interrompere qualsiasi iniziativa unitaria con le altre confederazioni e lanciare un segnale preciso di autonomia, e, nella consapevolezza di essere il sindacato maggiormente rappresentativo, deve rivendicare relazioni con le controparti governativa e padronale, sulla base di proprie proposte (anche sulle pensioni, lo stato sociale, le politiche industriali, ecc) e stipulare accordi che poi sottopone al vaglio dei lavoratori.
La Cgil deve dimostrare con i fatti che crede nelle sue enunciazioni e che le pratica.
In tal senso, bene ha fatto Epifani a schierare la Cgil dalla parte del Sì al referendum sull’articolo 18: questa scelta ha sicuramente rafforzato la confederazione e creato crisi tra i lavoratori iscritti agli altri sindacati.
Inoltre una vittoria dei Sì costituirà certamente un’importante iniezione di fiducia, che potrebbe preludere a una nuova stagione di lotte.
La Fiom da parte sua, più che sfiancare i lavoratori in lotte di immagine, deve tenere -in questa fase- rapporti molto stretti con i propri attivisti e utilizzare tutti gli spazi che ha a disposizione per parlare alla sua gente, per evitare per quanto sarà possibile fenomeni di riflusso di cui si vedono già le prime avvisaglie, anche tra i funzionari.
Le lotte devono essere invece, magari poco appariscenti, ma di grande efficacia, dolorose per i padroni, concentrandole nei punti nevralgici del sistema produttivo e sostenendo i lavoratori con la cassa di resistenza.
Non ci sembra che al momento vi siano credibili alternative.