I precontratti: un rimedio peggiore della malattia.
Il
gruppo dirigente della Fiom alle prese con la lotta sul terreno dei precontratti
azienda per azienda, non appare in grado di dare prospettive credibili alla
categoria. Alcune considerazioni a freddo dopo 6 mesi dalla firma separata
del contratto dei metalmeccanici e dopo lo sciopero del 7 novembre. Di Duilio
Felletti. Dicembre 2003.
Dopo
la firma separata del contratto dei metalmeccanici del 7 maggio, a sei mesi
da questo fatto, vi sono gli elementi sufficienti per fare alcune riflessioni
sulla nuova fase di lotte sindacali che si è aperta, e fare alcune
valutazioni sulle scelte del gruppo dirigente della Fiom.
Questa firma segue quella precedente di due anni fa quando la Fiom non sottoscrisse
il rinnovo del biennio salariale ed anche in quell’occasione la Fiom
proclamò in due momenti diversi 16 ore di sciopero con una manifestazione
a Roma.
A queste iniziative i lavoratori risposero dando una convinta e massiccia
adesione.
I lavoratori pensavano veramente che con la lotta sarebbe stato possibile
rimettere in discussione tutto e reiniziare una trattativa che si voleva con
un esito diverso.
Ciò non accadde e questo fatto ha rappresentato un precedente che ha
pesato molto sull’esito dell’ultima tornata contrattuale.
Infatti, se nel rinnovo di due anni fa i padroni potevano avere qualche dubbio
sulla opportunità della scelta della firma separata, nel secondo rinnovo
questo dubbio non l’hanno più avuto e hanno invece ritenuto che
era il momento di affondare il colpo.
Come pure la spregiudicatezza di Fim e Uilm (che rappresentano insieme meno
di un quinto della categoria) di andare all’ accordo separato ha trovato
un solido presupposto nella sconfitta della Fiom maturata nella precedente
occasione.
Da parte sua il gruppo dirigente della Fiom, all’indomani della firma,
e dopo le prime ore di sciopero proclamate in segno di protesta, ha dovuto
prendere atto che questa volta, anche per effetto della precedente sconfitta,
i lavoratori non avrebbero aderito con la stessa convinzione di due anni prima.
Infatti, se escludiamo la grande assemblea nazionale dei delegati che si è
tenuta immediatamente, pochi giorni dopo la firma, in piazza della Loggia
a Brescia, gli scioperi articolati indetti dalla Fiom hanno avuto un seguito
molto scarso.
Possiamo quindi dire che questa nuova fase delle lotte dei metalmeccanici
è caretterizzata da una sostanziale mancanza di fiducia dei lavoratori
in se stessi circa la possibilità di ottenere dei risultati concreti
sul piano contrattuale.
Vista la situazione, che è resa ancora più pesante dalla sconfitta
del referendum sull’articolo 18, il gruppo dirigente della Fiom ha ritenuto
quindi di doversi muovere su diversi piani oltre a quello delle lotte fabbrica
per fabbrica: quello legale e quello dei cosiddetti “precontratti”,
con annessa costituzione della cassa di restenza a sostegno dei lavoratori
in lotta, valutando volta per volta l’opportunità di proclamare
momenti di lotta di tutta la categoria.
Il piano legale dello scontro si è concretizzato nello scambio di lettere
con le organizzazioni padronali in cui la Fiom dichiarava di non riconoscere
il contratto firmato da Fim e Uilm e che pertanto intimava la controporte
a non applicarlo, escluso però la parte economica, che la Fiom ha dichiarato
di considerare come un anticipo di quanto realmente dovuto ai lavoratori.
Da parte sua la Federmeccanica, senza scomporsi più di tanto, si è
limitata a confermare la validità del contatto firmato in tutte le
sue parti.
In pratica tutto è finito lì, e il contenzioso oggi sta percorrendo
i bui corridoi dei tribunali, con gli esiti finali che chiunque può
immaginare.
Per quanto riguarda le lotte articolate, sono state proclamate circa 30 ore
di scioperi che hanno avuto un parziale seguito, con le punte più alte
in corrispondenza di momenti di mobilitazione di piazza, quando cioè
i lavoratori hanno avuto l’opportunità di rendere visibile la
loro protesta.
Localmente invece non hanno avuto una grande adesione, come pure il dichiarato
blocco delle prestazioni straordinarie si è risolto solo in una affermazione
senza conseguenze apprezzabili.
Da qui la scelta del sindacato di investire prioritariamente le proprie energie
sul terreno dei cosiddetti precontratti.
I precontratti sono degli accordi che le varie RSU (al cui interno la Fiom
ha una secca egemonia) stipulano in azienda, e che hanno al centro i contenuti
che la Fiom non è riuscita a ottenere sul piano nazionale: aumenti
salariali aggiuntivi, garanzie contro la precarietà del rapporto di
lavoro, non applicazione dei provvedimenti legislativi del Governo in materia
di orario e di mercato del lavoro.
Le firmatarie dei precontratti sono state soprattutto aziende che si sono
trovate in una congiuntura favorevole e che pertanto non si sono potute permettere
di scontrarsi con il sindacato, pena la perdita di commesse anche molto importanti.
Le altre aziende che invece stanno navigando in ben altre acque non si sono
minimamente sognate, e tanto meno lo faranno nelle prossime settimane, di
dare soldi ai lavoratori oltre quanto stabilito dal miserabile contratto firmato
da Fim e Uilm.
Secondo dati della Fiom a oggi sono circa 330 le aziende che hanno firmato
precontratti (circa 60mila dipendenti), e in altre 2000 sono state presentate
piattaforme rivendicative nel merito.
Il 75-80% dei precontratti sono stati firmati in Emilia Romagna.
Questi dati, pur non essendo travolgenti, sono stati valutati positivamente
dal gruppo dirigente della Fiom, anche perché ottenuti in poco tempo
(nei due mesi successivi la firma separata), al punto da portarlo a decidere
che il terreno dei precontratti poteva essere quello in grado di sbloccare
la situazione anche sul piano generale.
Ma qual è il ragionamento che sta dietro la politica dei precontratti,
a cui sembrano essersi convertiti anche i dirigenti sindacali tradizionalmente
più agguerriti?
Più o meno questo: “ Poiché i lavoratori tutti insieme
non sono riusciti a battere il fronte del rifiuto dei padroni, perché
questi hanno mostrato un grande livello di compattezza e unità di intenti,
trovando anche una sponda in Fim e Uilm, se riusciamo a scardinare questa
porta che ci è stata chiusa in faccia, ad aprire un varco in questo
muro che ci è stato innalzato davanti, ottenendo risultati che mettono
in contraddizione tra loro i padroni, o tra loro e la loro struttura di rappresentanza,
noi abbiamo provocato un indebolimento del fronte padronale, che in questo
modo sarà costretto a riaprire le trattative con l’insieme del
sindacato, che, avendo i rapporti di forza favorevoli, da questo scontro non
potrà che venirne fuori vittorioso ”.
La parola d’ordine è dunque: precontratti ovunque è possibile.
A distanza di sei mesi saremmo in grado di dire se questo ragionamento ha
una sua validità se riscontrassimo nei fatti almeno un tendenziale
spostamento dei rapporti di forza nella direzione auspicata dalla Fiom (indebolimento
del fronte padronale).
Ma così non sembra. Verifichiamo invece un’altra cosa.
Dopo un primo momento di discreta conflittualità attorno ai precontratti,
e dopo i primi risultati importanti ottenuti, vediamo invece che la categoria
nel suo insieme tende a rallentare la spinta di lotta, tant’è
che la cassa di resistenza che doveva essere l’elemento unificante,
e quindi doveva essere attivata per sostenere la lotta dei lavoratori in questo
percorso, non è effettivamente mai decollata.
Si è innescata invece una pericolosissima spirale verso il basso, in
cui i padroni che non hanno firmato i precontratti oggi si sentono maggiormente
spinti a resistere in uno scontro che percepiscono chiaramente sempre meno
violento e che tenderà naturalmente a spegnersi, perché i lavoratori
che hanno ottenuto i precontratti si sono nei fatti detti fuori dal fronte
della lotta, producendo un indebolimento del movimento complessivo dei lavoratori,
e un ulteriore indebolimento dei settori già deboli di per sé.
Sta accadendo in sostanza il contrario di quanto auspicavano i dirigenti della
Fiom: i risultati ottenuti nelle realtà che si sono trovate a gestire
rapporti di forza favorevoli non hanno agito da traino rispetto alle realtà
più deboli.
Non solo: con i precontratti è passata nei fatti la logica padronale
secondo cui le richieste della Fiom erano incompatibili con la congiuntura
economica generale ma parzialmente accettabili nelle singole realtà
dove la situazione è più favorevole: in pratica una logica che
svuota di contenuto il principio del contratto nazionale di categoria, secondo
cui i contenuti di una piattaforma, una volta ottenuti, devono intendersi
a vantaggio di tutta la categoria, e non solo dei lavoratori che prestano
la propria attività in aziende in cui l’accumulazione dei profitti
conosce una fase positiva.
Il successo dello sciopero e della Manifestazione a Roma del 7 novembre stanno
a indicare che nella categoria esiste ancora una parte consistente di tute
blu che non si rassegnano alla capitolazione, ma che nello stesso tempo non
hanno davanti delle prospettive precise e degli obbiettivi concreti su cui
investire le proprie energie.
Sono sfilati in corteo per le vie di Roma 200mila lavoratori, e la domanda
che da questi veniva era chiaramente quella del ritorno alla lotta generale,
come unico strumento in grado di smuovere la controparte padronale e in grado
di attirare la solidarietà di settori più vasti del mondo del
lavoro e della società civile.
È a questa domanda che i dirigenti della Fiom devono dare una risposta
credibile.
Ma per dare questa risposta devono prendere atto che i precontratti, non sono
serviti a dividere i padroni, sono serviti invece a dividere i lavoratori.
È sconcertante vedere invece come la Fiom, ma ancora di più
la Cgil, al di là dei proclami, cerchi invece nuovi terreni di intervento
e tenda a incanalare la lotta dei metalmeccanici “diluendola”
dentro a obbiettivi che oggettivamente portano la lotta dei metalmeccanici
in secondo piano, per puntare invece ad un recupero del rapporto unitario
con la Cisl e la Uil, e per tornare ad interloquire con la Confindustria e
il Governo.
Ecco quindi la scelta di rinviare lo sciopero dei metalmeccanici, che doveva
tenersi 15 giorni prima, per non accavallarlo allo sciopero indetto dalle
tre confederazioni contro la riforma delle pensioni e in difesa della riforma
Dini, come pure l’aver accettato di investire tempo ed energie in momenti
fumosi (ma unitari) di lotte per lo sviluppo del sud o contro il terrorismo
e nelle manifestazioni di sabato (6 dicembre a Roma sempre sulle pensioni)
che non fanno male a nessuno ma rappresentano un buon ambito sfogatorio.
Se in certi obbiettivi e in certe lotte ci si crede veramente, si dovrebbe
fare l’esatto contrario: se è vero che sulla questione del contratto
dei metalmeccanici si è prodotto un grave strappo e vi sono dei problemi
seri che riguardano la democrazia e i contenuti, come è possibile pensare
di andare avanti insieme a Cisl e Uil, come se nulla fosse, affrontando altre
questioni? Ci si è già dimenticati come è andata la vicenda
dell’articolo 18? E il Patto per l’Italia? Che cosa ci mette al
riparo dal pericolo che certi fatti si ripetano?
Perché la parola d’ordine del referendum sull’accordo dei
metalmeccanici è stata progressivamente abbandonata? Eppure è
questa la strada in grado di tenere insieme la categoria, perché mentre
indica un obbiettivo credibile e ragionevole, è capace di aggregare
anche lavoratori e delegati della Fim e della Uilm, e per questa via condizionare
e mettere in difficoltà i gruppi dirigenti di questi sindacati.