Per una calda primavera.
	 
	Lo scontro sociale tra i lavoratori e la destra che molti pronosticavano per 
	l'autunno si sposta alla primavera. L'esito di questo scontro segnerà 
	i caratteri essenziali del prossimo periodo. L'importanza dello sciopero del 
	15. REDS. Febbraio 2002.
 
   
   Lo 
	scontro sociale tra i lavoratori e la destra che molti, tra i quali noi (Il 
	caldo agosto editoriale0109.html), pronosticavano per l'autunno si sposta 
	alla primavera. Già stiamo assistendo alle prime scaramucce. L'esito 
	di questo scontro segnerà i caratteri essenziali del prossimo periodo. Lo 
	scontro sindacale In 
	palio comunque non ci sono "solo" quelle riforme, ma, come dicevamo, 
	lo scalpo della CGIL, e la sua riduzione al ruolo oggi ricoperto dal sindacalismo 
	spagnolo nei confronti di Aznar. Le 
	direzioni dei sindacati confederali hanno reagito all'attacco proclamando 
	prima uno sciopero di due ore, quindi una serie di scioperi categoriali e 
	regionali. Il messaggio recepito dalla destra, visto che in ballo c'era la 
	possibilità di uno sciopero generale, è stato: non stanno facendo 
	sul serio. In realtà nella zucca della direzione cofferatiana la ritrosia 
	nel proclamare lo sciopero generale non sta tanto nella volontà di 
	non farsi isolare da CISL e UIL, quanto dalla convinzione tutta burocratica 
	che lo sciopero generale non va "sprecato", ma deve essere il punto 
	culminante di una mobilitazione che va per gradi successivi. Spieghiamo meglio 
	questa mentalità: i dirigenti CGIL immaginano che i lavoratori vadano 
	progressivamente "scaldati", come un allenamento prima della partita. 
	Per la burocrazia la struttura è tutto e il movimento è niente, 
	le masse sono pedine da muovere contro l'avversario con pazienza e abilità 
	per poi dare al momento buono scacco matto. Questo atteggiamento è 
	originato da due fattori, tra loro legati: il primo è la paura della 
	spontaneità delle masse: una lotta ordinata e guidata infatti incanala 
	lo scontento senza sbavature non controllabili. La seconda è la paura 
	dell'avversario. La burocrazia cigiellina, all'interno della quale comincia 
	a serpeggiare qua e là il panico, si domanda: cosa c'è dopo 
	uno sciopero generale? Le burocrazie sindacali sono abituate a governi (non 
	solo l'ultimo centrosinistra, ma anche il vecchio pentapartito) che dopo uno 
	sciopero generale tiravano fuori sedie e tavolo alla ricerca di un compromesso. 
	A volte per vedere spuntare il tavolo bastava anche l'accenno allo sciopero 
	generale. Ma ora vi è un governo estraneo a queste tradizioni, e che 
	ha mostrato chiaramente che è disposto anche ad incassare uno sciopero 
	generale. E in effetti se la direzione Cofferati non lancia un chiaro segnale 
	alla borghesia che dopo uno sciopero generale ce n'è un altro e poi 
	un altro ancora, e che se la destra non cede riscoppierà un periodo 
	di conflittualità sociale non controllabile, l'avversario non cederà 
	nemmeno di un millimetro. Solo la prospettiva dell'esplodere di una conflittualità 
	vera e diffusa può fermare la destra e impaurire i suoi sponsor. L'opposizione 
	esiziale La 
	prospettiva Dobbiamo 
	svegliare i lavoratori dal torpore nel quale sono immersi. E per questo le 
	RSU devono smetterla di essere terminali delle organizzazioni sindacali e 
	svolgere un ruolo autonomo che obblighi le confederazioni alla determinazione, 
	alla lotta e alla resistenza nel tempo. L'assembela delle RSU (vedi L'assemblea 
	delle RSU svoltasi a Milano l'11 gennaio sindacato0202assRSU.html) è 
	un primo segnale positivo in questo senso, anche se non può sfuggirci 
	che questo aggregato, in crascita, assomiglia ancora troppo ad una sorta di 
	intergruppi, e non tocca ancora il cuore della classe lavoratrice. La direzione 
	è quella, nella consapevolezza che è solo un inizio e il lavoro 
	da fare per coinvolgere la massa delle RSU è ancora tutto davanti a 
	noi. La 
	sinistra sindacale interna alla CGIL deve smetterla di essere un gruppo di 
	pressione tutto interno agli apparati e che pensa sia una grande vittoria 
	far passare un qualche ordine del giorno in un direttivo di cui i più 
	ignorano, a giusto titolo, l'esistenza. La sinistra sindacale ha mezzi, distaccati, 
	risorse per aiutare la costruzione di quel movimento che è necessario 
	per vincere una partita che Cofferati immagina di giocare come a scacchi mentre 
	l'avversario tira invece al piccione. Infine: 
	lavorare sulla CGIL è un compito anche per chi ne sta fuori, e milita 
	nel sindacalismo di base. Questo sindacalismo ha rappresentato un momento 
	importante di resistenza negli anni del centrosinistra. Ma oggi appare imprigionato 
	in quel ruolo e ripete come un disco rotto le invettive contro la concertazione, 
	senza essersi accorto che la concertazione non c'è più. Oggi 
	dobbiamo fermare Berlusconi, questo è il compito. Ma il sindacalismo 
	di base pare non averlo compreso. Non riusciamo in altro modo a comprendere 
	la sciagurata decisione di organizzare per il 15 febbraio, sciopero generale 
	del pubblico impiego e della scuola, una manifestazione sindacale separata 
	da quella di CGIL, CISL e UIL. Come pensiamo che la massa dei lavoratori possa 
	comprendere una tale decisione? Si tratta di una decisione dettata esclusivamente 
	da ragioni di organizzazione (non ci si venga a dire che la direzione della 
	FIOM, tanto lodata dal sindacalismo di base, ma non da noi, è terribilmente 
	più a sinistra di quella del pubblico impiego): pensano, essendo radicati 
	per l'appunto tra gli statali e non nelle fabbriche, a una sorta di prova 
	di forza, una prova di forza tutta interna al sindacalismo e che non ha nulla 
	a che vedere con la lotta contro la destra. Una decisione negativa perché 
	il 15 dobbiamo scendere in piazza anche per esigere dalla burocrazia sindacale 
	l'indizione di uno sciopero generale nazionale. O pensiamo che Berlusconi 
	sarà fermato da uno sciopero generale del sindacalismo di base? Ne 
	hanno (abbiamo) già fatti tanti, gran parte per giusti motivi, ma non 
	sono mai riusciti a far astenersi più dell'uno per cento della classe 
	lavoratrice. Se dunque uno sciopero generale vero, che spaventi cioé 
	i nostri avversari, non può che essere proclamata dalla CGIL, dovremo 
	pur essere lì per esigerla: sui treni, nei cartelli, negli striscioni, 
	e in piazza. La voce dello sciopero generale deve essere quella più 
	udita tra le centinaia di migliaia di lavoratori che convergeranno a Roma. 
	Ma il sindacalismo di base non vi si unirà: sarà in un'altra 
	piazza dove non ci saranno da convincere lavoratori e dove non vi saranno 
	burocrati da mettere con le spalle al muro. Per riempire i buchi faranno così 
	appello al movimento antiglobal cercando di riempire la piazza di studenti, 
	contribuendo così alla divaricazione tra movimenti, che invece dobbiamo 
	fare in modo che in ogni modo convergano nella lotta contro la destra. Ci 
	spiace per questi compagni che altre volte abbiamo sentito molto vicino a 
	noi: Berlusconi non ha paura di loro, se ne starà incollato alla tv 
	a vedere quanta gente le confederazioni porteranno in piazza, e su quello 
	misurerà il tiro dei suoi prossimi attacchi. Perché 
	in primavera si dispiegherà per intero l'attacco della destra non solo 
	contro i lavoratori, ma anche contro la scuola, mentre con il movimento antiglobal 
	i conti sono ancora aperti. Lavoratori, scuola, movimento no global, studenti...: 
	questi piani di mobilitazione viaggiano oggi separati, eppure sono sostanzialmente 
	tutti contemporaneamente attaccati. Berlusconi vuol vincere la partita con 
	una mano sola. Se uscirà indenne da questa primavera, allora avremo 
	in Italia il regime. Sia chiaro: non una dittatura ma qualcosa di simile al 
	governo Reagan o Thatcher, qualcosa in grado di cambiare in profondità 
	la società italiana per decenni, ben oltre le "riforme" che 
	il piccolo tiranno progetta di portarsi a casa in primavera. Si tratta di 
	un boccone così ghiotto che anche la grande borghesia che vede con 
	sufficienza Berlusconi è disposta a farsi umiliare dal nostro (come 
	prevedevamo in Nel Paese dei fichi d'India politica0201ruggiero.html, ma era 
	una previsione facile facile...). Noi 
	dobbiamo lavorare perché, nell'unità, questi piani si incontrino, 
	in primavera, per far da barriera alla rottura della diga, che incombe.
	Come avevamo già analizzato in un altro articolo (Le elezioni del 13 
	maggio politica0501elezionimag.html), la destra è stata sostenuta dalla 
	borghesia per annullare quello che i ricchi chiamano "il potere di ricatto 
	del sindacato". Quando essi attaccano sul piano personale Cofferati, 
	pensano in realtà alla CGIL, e quando pensano alla CGIL, si riferiscono 
	ai lavoratori. Nei suoi primi mesi il governo Berlusconi ha dato un qualche 
	colpetto per saggiare la determinazione dell'avversario: ha trovato una grande 
	disponibilità di CISL e UIL a farsi infilzare, una certa tendenza della 
	CGIL ad alzare la voce ma tenendosi ben lontana dal corpo a corpo. Così 
	da novembre in poi, approfittando del clima da Occidente unito e vittorioso 
	portava uno dopo l'altro i suoi attacchi. Con la finanziaria ha, tra gli altri, 
	attaccato il pubblico impiego, e con la riforma dell'art. 18 (vedi Difendiamo 
	l'art. 18 sindacato0112art18.html) e la riforma delle pensioni (vedi Pensioni: 
	siamo arrivati al dunque sindacato0201pensioni.html e La decontribuzione affonda 
	l'Inps e... massacra le pensioni pubbliche sindacato0202pensioni.html) l'insieme 
	dei lavoratori. Come se non bastasse ha impostato l'attacco sulla scuola (vedi 
	La riforma scolastica della destra. scuola0201scuoladestra.html) e al sistema 
	giudiziario. A parte la finanziaria, si tratta di progetti e leggi delega 
	destinati ad andare in porto, appunto, a primavera. La destra non manca d'audacia: 
	non si è preoccupata nemmeno di sfilare CISL e UIL dando loro qualche 
	contentino, bastava poco, in fondo.
	Berlusconi si sente particolarmente forte anche per la qualità dell'opposizione. 
	Margherita e DS si guardano bene dal prendere posizione a favore dei lavoratori. 
	La Margherita non fa una gran fatica: essa nasce come partito borghese e non 
	ha alcun legame con le classi subalterne. Nessuno vota Margherita perché 
	immagina di difendere i propri interessi di lavoratore. Molti però 
	votano Margherita perché essa appare più radicale dei DS sul 
	terreno della lotta "democratica" a Berlusconi. Per i nuovi elettori 
	che si affacciano alla politica e che non hanno il ricordo del PCI e delle 
	vecchie lotte sindacali, i DS appaiono un confuso partito sempre alla ricerca 
	del dialogo con il governo. Non è un caso che l'elettorato dei DS è 
	"popolare" ma sempre più "vecchio" e dunque anche 
	per ragioni anagrafiche in continua diminuzione. La maggioranza Fassino-D'Alema 
	vorrebbe candidare il partito a forza di ricambio delle classi dominanti, 
	ma le sue radici popolari sono come una condanna: ad ogni svolta a destra 
	corrisponde una pari perdita di voti, senza con ciò guadagnare medaglie 
	da parte delle classi dominanti, che hanno già sin troppi partiti privi 
	di legami sindacali e quindi meno facili alle pressioni della base, disposti 
	a rappresentarli. Da qui i continui oscillamenti di questa corrente: qualcuno 
	va a Porto Alegre mentre altri corrono ad assicure i militari; un giorno salutano 
	l'intervento giacobino di Borrelli e l'altro animano un convegno in cui sposano 
	una bella fetta delle posizioni della destra sulla giustizia; pugnalano gli 
	scioperi dei lavoratori e poi firmano ordini del giorno a loro favorevoli. 
	Tutta la loro furbizia di vecchi figiciotti rincitrulliti funziona solo in 
	periodi di pace sociale. Cioè, in Italia, quasi mai. Appena la lotta 
	si riaccende, o per iniziativa dal basso o per quella dell'avversario, sbandano 
	vistosamente e non sanno che pesci prendere. L'opposizione sociale di Cofferati 
	li imbarazza e li infastidisce: li fa apparire nudi nella loro inutilità, 
	e in più li costringe a prendere posizione sul terreno di classe, che 
	loro considerano così noioso, rozzo e retrò. Il "correntone" 
	del resto non è certo portatore di una vera linea alternativa. Ha perso 
	l'occasione di differenziarsi seccamente da Fassino ai tempi della guerra, 
	e ciò è gli costato il congresso perché a quel punto 
	era parso indistinguibili agli occhi della base, provocando la ricaduta dei 
	più nell'indifferenza, dopo un breve brivido estivo, quando sembrava 
	che Berlinguer potesse davvero imprimere una svolta a sinistra.
	I lavoratori hanno partecipato in massa alle occasioni di lotta offerte loro 
	dalle burocrazie sindacali: non una sola manifestazione è andata buca. 
	Cresce nei posti di lavoro una diffusa volontà di lotta. Ma, non possiamo 
	prenderci in giro, non troviamo alcun segno di mobilitazione spontanea. La 
	chiave della situazione è oggi più che mai la CGIL. Solo la 
	CGIL è in grado di fermare Berlusconi. La borghesia lo sa meglio di 
	noi, per questo concentra su questa organizzazione il suo fuoco polemico. 
	Questa constatazione non ci porta certo ad aspettare pazientemente le disposizioni 
	burocratiche di Cofferati. Come abbiamo già detto nella burocrazia 
	sindacale comincia a serpeggiare il panico e già si preparano in quello 
	stesso sindacato gli sciacalli pronti a spartirsi le spoglie di una CGIL sconfitta. 
	Li abbiamo visti all'opera i dalemiani della CGIL, padroni ad esempio della 
	struttura dei chimici, lamentarsi un po' nell'ombra delle "esagerazioni" 
	di Cofferati, e godendo della "sconfitta" dei metalmeccanici. La 
	CGIL non è certo una struttura in grado di reggere uno scontro prolungato 
	con la destra, abituata com'è ad essere un sindacato che "fa accordi". 
	Il destino mesto delle Comisionas Obreras costrette a fare da zerbino ad Aznar 
	è lì dietro l'angolo. Lavorare sulla CGIL, perché è 
	la chiave per dare lo stop a Berlusconi, non significa dunque affatto lasciare 
	le cose così come stanno, perché così come stanno le 
	cose andranno a finire male. Occorre muoversi.