Dal Chiapas a Belém
Resoconto del Comitato di appoggio ai Sem Terra sul II Meeting contro il neoliberismo organizzato a Belém. Dallamailing list Internazionale di ecn. Febbraio 2000.


 

BELÉM. La più grande manifestazione di solidarietà con il movimento zapatista svoltasi fuori dal Messico. Così è stato definito il II Incontro americano per l'umanità e contro il neoliberismo, tenutosi a Belém do Pará, nell'Amazzonia brasiliana, dal 6 all'11 dicembre scorso. All'incontro - che fa seguito a quello svoltosi nella Selva Lacandona, in Chiapas, nel 1996 - hanno partecipato 2700 persone provenienti da 23 Paesi dell'America Latina, del Canada e dell'Europa, e da 24 dei 27 Stati del Brasile. Molti gli indigeni presenti, rappresentanti di 31 diversi popoli (l'incontro, si è detto, ha registrato la maggiore partecipazione indigena nella storia del Brasile): tra loro, rigorosamente in passamontagna malgrado il caldo, anche due rappresentanti dell'esercito zapatista, Abramo e Lucia. L'incontro è stato convocato su iniziativa dei comitati brasiliani di solidarietà con gli zapatisti, centrali sindacali, organizzazioni popolari indigene e nere, movimenti sociali, istituzioni ecclesiastiche come la Conferenza episcopale della regione, il Cimi (Centro indigenista missionario), la Commissione pastorale della terra, la pastorale operaia, i partiti di sinistra, a cominciare dal PT, il Partito dei lavoratori, vero organizzatore dell'incontro, che, con Edmilson Rodrigues (della corrente di sinistra del partito), regge il municipio di Belém. All'incontro ha partecipato anche il teologo della liberazione Giulio Girardi, il quale, di ritorno da Belém, ha riferito le sue impressioni. «Per cogliere il senso di quest'incontro - ha spiegato - occorre situarlo nel contesto del movimento di solidarietà con il movimento zapatista, della mobilitazione continentale indo-afro-latinoamericana contro il neoliberismo e infine della storia del Brasile». Riguardo al primo punto, il convegno ha centrato un doppio obiettivo: «quello di rafforzare l'attenzione internazionale sull'Ezln, che costituisce la miglior difesa contro l'esercito e il governo federale, e quello di consolidare la rete di resistenza e di comunicazione promossa dal movimento zapatista. Da questo punto di vista, l'incontro rappresenta un'importante apertura all'internazionalismo da parte del Brasile, sempre piuttosto concentrato sulla sua problematica interna». Secondo Girardi, l'incontro va anche inserito «all'interno della mobilitazione intercontinentale di cui le controcelebrazioni per il quinto centenario della conquista dell'America sono state l'avvio. Nella tavola rotonda sui "500 anni di resistenza indigena, nera e popolare in Brasile e nelle Americhe"- ha proseguito Girardi - ho avanzato la proposta che il II congresso americano assuma la responsabilità di rilanciare e rafforzare la lotta continentale iniziata nel '92, il suo progetto storico e la sua strategia unitaria. Una proposta che il documento finale ha accolto pienamente, mettendola in relazione al movimento nazionale "Brasile, 500 anni di resistenza indigena, nera e popolare", lanciato lo scorso aprile in contrapposizione al progetto governativo di celebrare nel 2000 il quinto centenario della scoperta del Brasile».
Infine, ha rilevato Girardi, «l'incontro ha permesso di avere una panoramica della sinistra brasiliana e delle sue divisioni, che hanno rappresentato il problema più grave dell'incontro». Il primo segno di divisione è emerso già nella fase organizzativa, con la decisione del Movimento dei Senza Terra di ritirare la propria adesione. Secondo il leader del MST João Pedro Stedile, questo incontro, perché fosse realmente rappresentativo e servisse a costruire una concreta organizzazione di forze, avrebbe dovuto riunire le articolazioni già esistenti a livello continentale, come Via Campesina per i contadini, o come quelle dei movimenti popolari, della Chiesa progressista, dei partiti di sinistra riuniti nel Foro di San Paolo. La natura, il luogo e la data dell'incontro avrebbero dovuto essere decisi dopo una consultazione tra queste forze. Poiché questo non è avvenuto, il Movimento ha ritirato la propria adesione. Gli zapatisti, ha spiegato Girardi, «affermano invece di non aver mai voluto affidare la realizzazione dell'incontro solo alle grandi organizzazioni, e che se queste non hanno partecipato è perché non hanno accolto l'invito. Pensano inoltre che il Mst fosse preoccupato di non compromettere la sua immagine pubblica partecipando a quello che la stampa ha definito "un incontro di guerriglieri"». Durante il convegno, le divisioni si sono manifestate soprattutto «con la presenza di una minoranza di anarchici e trotzkisti che ha contestato fin dal primo momento la gestione dell'incontro da parte del Pt, cercando invano di promuovere un incontro parallelo e accusando il partito di strumentalizzare l'evento». «Inconformità» con le modalità di organizzazione è stata espressa da un gruppo di lavoro in un documento dal titolo «Solo la verità è rivoluzionaria - Contributo al documento finale del II incontro», secondo cui «la predominanza di conferenze verticali ed essenzialmente diagnostiche hanno monopolizzato tempo prezioso che avrebbe dovuto essere prioritariamente dedicato a militanti, allo scambio di esperienze ed alla concreta articolazione di lotte collegate fra loro». Verticismo, politica gridata in cerca dell'applauso, predominio di componenti partitiche sono anche le critiche espresse da altri partecipanti. Nella seduta di chiusura, la contestazione è esplosa alla lettura della dichiarazione finale, presentata dal comitato organizzatore come un tentativo di mediazione tra le diverse tendenze. «La minoranza - ha riferito Girardi - ha espresso allora un documento proprio, respingendo la proposta della presidenza che questo documento fosse annesso al primo». Molte comunque le convergenze tra i due documenti: l'antiimperialismo, l'anticapitalismo, la lotta contro il debito estero, la solidarietà con la resistenza indigena, nera e popolare e con la rivoluzione cubana, la condanna del blocco nordamericano. Oltre naturalmente alla denuncia del neoliberismo, «nome nuovo del vecchio capitalismo - afferma il documento del comitato organizzatore - che secoli fa è diventato la garrotta che asfissia l'umanità». Un sistema - prosegue il documento - che trasforma l'uomo nel lupo dell'uomo» e che «può usare vari panni democratici, come la cosiddetta "terza via"», ma «senza alterare il suo contenuto di sfruttamento ed oppressione». Secondo Girardi, «la differenza principale tra i due documenti è nel linguaggio, che è più radicale nel documento della minoranza, e nell'appello alla rivoluzione, con l'esplicito riferimento al socialismo, omesso nella dichiarazione del coordinamento per tenere conto, come ha spiegato uno dei suoi membri, della grande diversità tra le organizzazioni partecipanti. In realtà, sia la Campagna 500 anni di resistenza, sia le proposte zapatiste evitano sempre di parlare di socialismo: si limitano ad affermare l'esigenza di una alternativa al capitalismo e al neoliberismo, intendendola più come un processo che come la costruzione di un modello predefinito di società». In chiusura dell'incontro si è poi verificato un altro incidente tra un gruppo di dissidenti e il servizio dell'ordine, finito quasi in rissa. La presidenza ha valutato allora che mancassero le condizioni di sicurezza perché si tenessero gli interventi finali dei rappresentanti zapatisti e del sindaco e ha dichiarato chiusa la seduta. «Paradossalmente - ha commentato Girardi - in un incontro di solidarietà con gli zapatisti, non è stato possibile agli zapatisti prendere la parola. Ma questa rottura del rituale di chiusura non autorizza a considerare l'incontro come un fallimento: il documento finale, approvato da una schiacciante maggioranza, mostra comunque - ha concluso il teologo - una larga unità di rivendicazioni». Il prossimo appuntamento è in Canada, nelle terre degli indigeni Anishnabaie, che si sono offerti di ospitare il terzo incontro per l'umanità e contro il neoliberismo. Ma, prima ancora, si svolgerà «una grande "Marcia americana" che, partendo simultaneamente dal Canada e dal Brasile, percorrerà diversi Paesi del continente», fino a confluire a Ciudad Jerez, alla frontiera tra Messico e Stati Uniti, «dove si trova l'odioso muro di metallo, protetto da elicotteri, guardie e cani, che separa simbolicamente l'opulenza di ricchi e la miseria dei poveri del nostro continente (...). Perché la storia ritrovi il suo corso - conclude il documento - questo muro deve cadere».