Bolivia: è cominciata la guerra civile.
Ecco la cronaca della successione degli eventi che hanno tramutato la democrazia militarizzata della Bolivia in una guerra civile di fatto. Da La Paz, per Selvas.org, Jorge Viaña - Intellettuale boliviano. Versione italiana di Daniela Cabrera, Cecilia Silveri e Tiziana Rossi e con la revisione di Martino Lo Bue per Traduttori per la Pace). 13 ottobre 2003 (all'indomani della strage di El Alto).


Preludio all’insurrezione di El Alto
Sono passati ormai 23 giorni dai fatti di Warisata e Sorata quando sono stati uccisi 5 comunarios da organismi dello stato durante una grossa operazione militare di riscatto di turisti nella zona, il cui risultato è stato lo scatenarsi di una insurrezione aymara che continua ancor oggi con grande forza e radicalità. E sono passati ben 8 mesi dall’inizio della crisi di stato più grande della storia contemporanea del paese, quando militari e poliziotti si scontrarono durante l’irruzione popolare sul palcoscenico del potere politico, per protestare contro l’intenzione del governo di tassare direttamente gli stipendi. Il risultato è stato la dissoluzione del governo durante due giorni e la morte di 32 persone.

Dal 20 settembre –data della strage di Warisata- agli ultimi giorni del mese scorso, diversi settori si sono uniti alla mobilitazione scatenata dall’insurrezione aymara per il ricupero e la difesa del gas: ci sono state diverse mobilitazioni, uno sciopero dei macellai di El Alto e la chiusura dei mattatoi, ci sono stati 30 arresti nella Federazione dei Produttori di Carne, uno sciopero dei commercianti(???) a El Alto, la Centrale Operaia Regionale (COR) di El Alto ha cominciato a mobilitarsi in forma più decisa, e nella città di La Paz hanno avuto inizio delle grandi mobilitazioni paralizzando la città diverse ore ogni giorno, i mercati sono rimasti chiusi diversi giorni, e ancora da Cochabamba è partita una marcia con destino a Warisata, convocata il 30 settembre dal coordinamento per la difesa del gas. Mercoledì 1 ottobre, nella provincia di Aroma (strada per Oruro) si sono verificati dei forti scontri tra l’esercito e i manifestanti che bloccavano la strada, delle abitazioni sono state sgomberate, e tre persone risultano ferite e altre sei arrestate. Qui hanno avuto inizio le pratiche razziste da parte dell’esercito che in quest’occasione ha spogliato e costretto gli indigeni, in condizione di estrema umiliazione, a rimuovere i blocchi stradali scalzi.

Il giovedì 2 ottobre la Centrale Operaia Regionale (COR) di El Alto e la Federazione dei comitati di quartiere di El Alto (FEJUVE) hanno convocato uno sciopero civico di 24 ore contro l’intenzione governativa di esportare il gas, al quale la popolazione ha aderito massicciamente. Avvengono diversi scontri e 5 persone arrestate sono portate alla caserma di Ingavi; comincia la militarizzazione di alcune zone strategiche di El Alto, in particolare l’impianto di Sencata, mentre la gente della marcia di Cochabamba partecipa alle mobilitazioni di El Alto. Nella città di La Paz viene organizzata una corporazione aperta per appoggiare le mobilitazioni. Tra il 2 e il 7 di ottobre aumentano le mobilitazioni e le marce di proprietari, studenti e operai di La Paz. Ha inizio la marcia di centinaia di minatori di Huanuni che si spostano da Caracollo (strada La Paz – Oruro) fino a La Paz.
Per mercoledì 8 ottobre viene convocato uno sciopero civico ad oltranza dalle COR, FEJUVE, Federazione corporativa, dal magistero regionale e dalla Federazione degli Studenti di Warisata a El Alto, al fine di protestare per il ricupero e la difesa del gas e in appoggio agli indios aymara, chiedendo però questa volta la rinuncia del presidente Sánchez de Lozada e l’instaurazione immediata di una assemblea costituente. Cominciano i blocchi stradali nelle autostrade La Paz- Cochabamba, Cochabamba –Oruro (Sayari, Bombeo), sempre con scontri e arresti. Nel Chapare (autostrada Cochabamba- Santa Cruz) e nella strada tra Potosì e Sucre ci sono dei tentativi di blocchi stradali. I blocchi nella zona dell’altipiano aymara continuano (11 province di La Paz).
Il giovedì 9, secondo giorno dello sciopero civico, avvengono diversi scontri in diverse zone di El Alto, soprattutto nella zona di Ventilla y Sencata (zona dove si trova l’impianto di distribuzione di gas e benzina), la marcia dei minatori arriva alle porte della città di El Alto, nella zona di Ventilla viene ucciso un minatore e nei dintorni della zona franca vengono uccisi un giovane con un colpo di pistola mentre un terzo cadavere è portato via in elicottero. Questo terzo morto non è stato finora riconosciuto dal governo. Paradossalmente, questo stesso giorno si “festeggia” l’anniversario del periodo democratico più lungo della storia della Bolivia: 21 anni senza interruzione. 16 persone vengono arrestate e il parroco del tempio di San Francesco di Assisi durante il tentativo di intercedere nel conflitto viene colpito e immediatamente portato in ospedale. Diventa regolare la pratica di spogliare i detenuti, e in questa occasione oltre ad essere umiliati, sono torturati pubblicamente. Un gruppo di abitanti del quartiere Santiago II, irrompe nel Terzo comando dei carabinieri della zona di Sencata, impadronendosi di pistole e carabine e dando fuoco al locale.
Venerdì 10, terzo giorno dello sciopero, dopo la morte di almeno tre persone, le mobilitazioni sono più massicce e più radicali, chiedendo la rinuncia del presidente. Ha inizio la marcia per la vita, la dignità e il gas, dei contadini e dei maestri di Montero (Santa Cruz). Ci sono delle manifestazioni di massa a Cochabamba, Oruro e La Paz. Una esplosione nei dintorni di Pura Pura fa scoppiare il gasdotto che va a La Paz attraversando l’autostrada. Il governo denuncia un nuovo tentativo di ammutinamento nelle forze di polizia, arrestando sei poliziotti di basso rango (un tenente colonnello, un maggiore, un sottotenente, due sottufficiali e un poliziotto), accusati di essere gli autori di questo nuovo ammutinamento. Si verificano le prime divisioni all’interno del governo: il ministro degli interni Kukok e quello della difesa Sánchez Berzain –quest’ultimo responsabile delle stragi del 12 e 13 febbraio dove sono morte quest’anno 32 persone- si affrontano pubblicamente, responsabilizzandosi mutuamente delle morti.
Al quarto giorno di sciopero civico ad oltranza, il governo militarizza completamente la zona di El Alto e cominciano i voli di elicotteri che sparano dall’alto. Sabato viene ucciso un altro ragazzo in corso Balliván, nella zona di El Kenko a El Alto, e un bambino di 5 anni che guardava gli scontra da casa sua viene ucciso dall’esercito. La moltitudine si mobilita e comincia a realizzare barricate in tutto il territorio di El Alto e a pianificare in forma organizzata l’autodifesa dinanzi alla militarizzazione, le raffiche aeree e la strage che insanguina la città ormai da tre giorni: in soli tre giorni ci sono 5 morti, decine di feriti, centinaia di arresti e per lo meno un cadavere sparito. Dinanzi a questa situazione, gli abitanti dei quartieri occupano e bruciano gli impianti di una impresa multinazionale di luce ELECTROPAZ, e nella zona di Huayna Potosì cercano di occupare il comando numero 5 dei carabinieri, impediti alla fine dall’arrivo di forze militari. La popolazione mobilitata cercano di prendere le caserme di Ingavi e il quinto reggimento della forza aerea. Gli scontri a Sencata e nella zona del Kenko continuano fino a mezza notte di sabato. Questo è soltanto il preludio di quello che ci aspetta la domenica 12, giorno della grande strage.

La strage di domenica e l’insurrezione popolare a El Alto
La domenica 12 ottobre, in seguito alla militarizzazione della zona, gli elicotteri sorvolano la città per il secondo giorno consecutivo, lanciando raffiche di mitragliatrici dall’alto; nello stesso tempo si intensifica la mobilitazione di truppe che sparano in direzione delle case in diverse zone di El Alto, mentre vengono utilizzati anche dei carri armati. Non ci sono ancora dati chiari, ma si sa che sono morte almeno 12 persone nella zona di Río Seco. Il parroco della zona ha dichiarato che l’azione è consistita in una vera strage. Una persona avrebbe anche trovato la morte nel cimitero, nella zona della produzione di terrecotte e mattoni della città di La Paz. Questo è dovuto all’estendersi delle barricate e dei blocchi in direzione del Pendio Est de la città di La Paz a partire da domenica. La repressione diventa sempre più violenta.
Secondo i dati dell’assemblea per i diritti umani, altre 13 persone sono state uccise a El Alto, in Sencata (5 persone), Corso 6 de Marzo, Corso Bolivia, Corso Ballivián e in autostrada, ci sarebbero anche un centinaio di feriti. Queste sono le zone dove è passata una carovana di diversi camion cisterna e camion per il trasporto di bombole di gas che sono arrivati domenica a La Paz, provenienti dall'impianto di Sencata e destinati a fornire benzina a esercito, polizia e in parte ai distributori di benzina. Questi camion sono stati scortati da carri armati e da più di quattrocento effettivi dell’esercito del battaglione blindato no.1 Tarapacá, dal reggimento Ingavi e da poliziotti del Gruppo Speciale di Sicurezza (GES). Dinanzi a tale repressione, sono state organizzano delle barricate con la partecipazione anche di civili disarmati, mentre nella zona di Ciudad Satélite il distretto 3 di Polizia veniva minacciato di essere preso d’assalto. Nella zona di Santiago II, la gente ha distrutto il fornitore Bolivia. In Corso 6 de Marzo, viene bruciato l’impianto della multinazionale ELECTROPAZ, e si risponde alle raffiche dei carri armati con molotov e dinamite. Nei pressi di Taquiña, le raffiche di mitragliattrice hanno fatto vari morti e decine di feriti. Lo scontro più grave è successo nei pressi del distributore conosciuto come Ponte Bolívar, dove i militari sono riusciti a passare i posti di blocco e a dare la caccia ai manifestanti. Alle 7 di sera ci sono stati dei black-out in diverse zone di el Alto, tra queste a Rosa pampa e a Villa Santiago Primero. Il bambino Alex Mollericona di solo 5 anni venne ucciso nel balcone di casa sua nel Corso Bolivia a quattro isolati dallo scontro. Le radio che denunciavano la repressione sono state agredite, come la Radio pachamama e la radio Wuayna Tambo.

La coalizione di governo si spezza lunedì, mentre s’assiste ad una nuova sollevazione popolare e ad un nuovo massacro
All’alba di lunedì 13, il governo promulga un decreto beffa, promettendo che la consultazione sul gas avrà luogo entro tre mesi -prima di dicembre-, riaffermando così quanto dichiarato tempo fa. Ormai fa fatica a mantenere il controllo sui mass media: 7 giornalisti della Tv statale presentano le dimissioni, denunciando apertamente la manipolazione da parte dell’UNICOM (Unidad de Comunicaciones) -creata dal governo-. Il canale statale interrompe le emissioni nel corso del pomeriggio.

Il vicepresidente Carlos Mesa mostra la sua discrepanza nei confronti del governo ma non rinuncia al suo incarico. D’altro canto, si verifica una frattura all’interno del NFR (terzo partito al potere, oltre al MNR e al MIR); da Cochabamba e Sucre i suoi dirigenti esigono: la rinuncia di Goni; per ovvie ragioni di rispetto dei diritti costituzionali la conseguente assunzione della presidenza da parte dell’attuale vicepresidente; la ritirata del NFR dal governo. I ministri appartenenti al NFR esprimono la loro volontà di rimanere nella coalizione, e a quanto pare il segretario del partito -Reyes Villa- si trova all’estero. Jorge Torrez (MIR) -responsabile del Ministero per lo sviluppo economico- rinuncia al suo posto, spinto dalla repressione.

Nel pomeriggio, il presidente pronuncia un discorso nel quale dichiara che si tratta di una “cospirazione preparata dall’esterno” e aggiunge che non rinuncerà all’incarico. Afferma che continueranno le azioni repressive nei confronti dei ribelli, come di fatto sta succedendo.

La rivolta s’estende a tutta la città di La Paz. Lunedì, a mezzogiorno, decine di migliaia di persone si mobilitano, incominciano a dirigersi verso il centro provenienti dalle zone meridionali -e specialmente da Ovejuyo-, da est, da ovest e anche dalla cittadina di El Alto. Arrivati in “plaza de los héroes” -nel quartiere di San Francisco- tolgono le pietre del selciato e innalzano barricate, incendiando la sede della Polizia Turistica. In pieno centro, nei pressi della chiesa di San Francisco, prendono d’assalto i tribunali ubicati in via Genaro Sanjines; in via Murillo appiccano fuoco alla galería Dorian. Si registrano due tentativi d’assalto alla centrale di polizia di Miraflores.
Gli agenti antisommossa motorizzati si rifiutano di reprimere le mobilitazioni e vengono salutati dalla moltitudine; dall’edificio della polizia stradale sventolano bandiere e fazzoletti bianchi, in risposta all’assedio dei manifestanti. Gli scontri nei quartieri sud di La Paz spingono la polizia e l’esercito a retrocedere; qui la gente appende nei negozi nastri neri in segno di lutto; nel resto della città è tutto chiuso. Persino alcuni settori della classe media, media-alta mostrano dissenso nei confronti dell’azione repressiva, dispiaciuti veramente o timorosi degli “indigeni”.

Da El Alto s’organizza una marcia diretta a La Paz, con l’intenzione d’entrare nel palazzo del governo a mezzogiorno; il sindaco -appartenente alla coalizione ufficiale (MIR)- appoggia quest’azione e reclama le dimissioni di Goni, che dovrà essere sostituito da C. Mesa. Le prime risposte si registrano nei pressi di San Francisco e poi gli scontri s’estendono a tutta la città. Tre assessori del municipio di El Alto dichiarano uno sciopero della fame, esigendo le dimissioni del presidente. S’arriva alla sospensione dei voli internazionali nell’aeroporto di El Alto, viene appiccato il fuoco al pedaggio dell’autostrada che unisce La Paz a El Alto, è incendiato un distributore di benzina e nella zona di Río Seco dove muoiono bruciate 18 persone.

A Chasquipampa e Ovejuyosono sono decedute 4 persone in una controffensiva dell’esercito, che sta sparando con le mitragliatrici sulle case, lasciando decine di feriti. Oggi, lunedì 13 ottobre, si sono registrati complessivamente 20 morti nelle seguenti zone: Alto Lima, Tupak Katari, Río Seco, Los Andes, Alto Mariscal Sucre, tutte appartenenti a La Paz ed El Alto, oltre ad una persona che ha perso la vita a San Julia, dipartimento di Santa Cruz. Hanno perso la vita anche tre bebè ricoverati presso l’ospedale infantile di Miraflores, per mancanza d’ossigeno dovuta alla repressione dell’esercito.
Lunedì -verso sera- è stato appiccato il fuoco ad un camion militare a La Paz, i pochi militari che si trovavano a bordo hanno potuto fuggire, senza che la folla riuscisse a raggiungerli. Sul far della notte La Polizia Giudiziaria è stata cinta d’assedio nella zona 12 ottobre, a El Alto.

Nella vallata di Achacachi, zona popolata dagli “aymara” è stata presa la decisione di dichiarare la guerra popolare al governo, assediandone la sede dopo aver realizzato una marcia armata da Omasuyos a La Paz, sotto il controllo del comando generale indigeno del Jacha Omasuyos, ubicato a Kalachaca.

Nella notte sono arrivati a El Alto 3 carri d’assalto; alle 8 di sera sono entrati a La Paz, seguiti da una carovana formata da 8 carri armati che hanno sfilato lungo l’autostrada, guidati da una scavatrice, seguiti da “caimanes” e camion dell’esercito. Hanno abbattuto le barricate e stanno assumendo il controllo di tutto il centro cittadino. Danno la sensazione che si voglia procedere ad un massacro sistematico e pianificato, ancora peggio di quelli dei giorni scorsi, ripetutisi in tutto il paese.

Intanto, nelle zone di Villa Esperanza e Ríos Seco -a El Alto- si stanno velando i morti nelle pubbliche piazze. Siccome la Polizia Giudiziaria di El Alto non ha più lacrimogeni, la folla sta circondando la loro sede, centro della repressione istituzionale.

All’interno del paese ci sono blocchi stradali a Padcoyo -tra Potosí eTarija-. Nella città di Potosí si succedono gli scontri e i blocchi stradali. I minatori di Porco si mobilitano, a Sucre stanno preparando marce i camionisti e gli studenti universitari, oltre ad essere previsto uno sciopero della “Caja de Salud”. I contadini annunciano blocchi per martedì. A Cochabamba il Coordinamento per il recupero del gas e la difesa dello Stato Maggiore del popolo hanno lanciato un appello per una grande mobilitazione, con la partecipazione dei produttori di coca. Invitano a fermare i camion a partire da martedì. Tuttavia, gli scontri sono iniziati stanotte -lunedì- nei pressi della piazza 14 settembre, dopo che la fiaccolata convocata dalla Confederazione degli Operai è stata repressa nella piazza San Sebastián, da dove era stabilito che avesse inizio una marcia pacifica. Gli universitari sono stati ricevuti con lacrimogeni in avenida Heroínas: la polizia ha perso il controllo della situazione in tutto il centro di Cochabamba. I minatori di Caracoles hanno deciso di recarsi a El Alto per entrare nell’impresa produttrice d’elettricità.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti
ha sempre sostenuto il governo di Sánchez de Lozada. Condoleza Rice, Assessore alla Sicurezza dichiarò che il suo governo ha deciso di disconoscere qualsiasi governo sorgesse da quello che definisce come “l’interruzione del processo democratico”. Cesar Gaviria, massimo funzionario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) a New York ha ripetuto gli argomenti del governo nordamericano. Questo sarà fondamentale per fare pressione ai partiti della coalizione di governo, il MIR ed il NFR, che sono sul punto di lasciare completamente solo il MNR e Sánchez de Lozada. Tale fenomeno porterebbe ad un colpo di stato interno o a nuove elezioni politiche, che sembrano essere l’obiettivo cui mira un settore del NFR per salire al governo, fiducioso nella vittoria alle prossime elezioni. Ciò che si propone come soluzione democratica è la convocazione immediata di un’Assemblea Costituente per ricostruire lo stato su nuove basi, sostituire il sistema economico ed il modello politico, senza la mediazione di alcun partito politico.
Di fronte a fatti simili, non è ammissibile il cinismo del presidente, il quale dichiara alla stampa internazionale che si tratta di una cospirazione internazionale legata a Sendero Luminoso, al terrorismo internazionale, e che le Organizzazioni Non Governative (ONG) finanziano i “cospiratori”. Una simile dichiarazione non può avere un serio fondamento.

Denunciamo alla gente onesta di tutto il mondo che nei prossimi giorni si verificherà un nuovo tipo di massacro, un massacro pianificato e sistematico, su larga scala e con il consenso del governo statunitense e dell’OSA (Organizzazione stati Americani ndr.). Già nel genocidio del 12 e 13 febbraio e durante la successiva visita di Cesar Gaviria a La Paz venne ignorata la morte di 17 civili, deceduti durante le proteste all’inizio dell’anno, mentre si appoggiava in modo assoluto e vergognoso il governo sollevandolo da ogni colpa, sebbene fosse stato proprio quest’ultimo ad ordinare la strage di militari, agenti di polizia e civili.

Denunciamo al mondo intero che in Bolivia è iniziata una guerra civile, che speriamo abbia la forza di risolversi nella ricostruzione totale del Paese, per riportarlo verso una democrazia nuova e genuina, affinché si ricostruisca lo stato, si istituisca un’Assemblea Costituente popolare, democratica e senza la mediazione dei partiti, si instauri un altro sistema politico di democrazia diretta e si possa distruggere il modello neoliberale che ha portato il Paese alla rovina.

Denunciamo a tutto il mondo che il risultato più probabile è che si arrivi ad un periodo di persecuzione, possibili omicidi selettivi e maggiore repressione, soprattutto dei dirigenti dei movimenti sociali e dei leader politici.

Soluzione politica
In termini politici, l’eventuale espulsione del presidente Sánchez de Lozada e di tutti i membri del suo partito ci porta ad una nuova situazione: Cosa faremo dopo?, Chi salirà al governo?

Una possibilità concreta di trovare una soluzione autentica alla condizione secolare di discriminazione, esclusione e disprezzo delle più ampie maggioranze indigene e lavoratrici da parte del sistema politico boliviano, è di fondare insieme un nuovo Paese attraverso un’Assemblea Costituente, che non sia di parte, formata dai rappresentanti dei movimenti sociali e delle forze sociali mobilitate; da realizzarsi al più tardi entro 6 mesi a partire da questo cruento 12 ottobre.

Tuttavia, per riuscire a creare questa Assemblea Costituente, ciò che oggi è determinante, ciò che non si può rimandare, è la costituzione di un governo provvisorio che, per il momento, sia incaricato di controllare che l’apparato di governo funzioni nei 6 mesi successivi, lasciando in sospeso qualsiasi piano e progetto finché non possa essere discusso nell’Assemblea Costituente, e di fronte al quale i movimenti sociali possano sentirsi al sicuro. Un governo provvisorio non è altro che un meccanismo di passaggio verso la Costituente, necessario dal momento che non si può confidare nell’attuale governo che ha le mani macchiate del sangue dei bambini.

Se rimane l’attuale vicepresidente, Carlos Mesa o chiunque altro, a capo del governo provvisorio, i compiti che gli assegna il movimento sociale sono molto chiari:
- Convocazione di un’Assemblea Costituente entro sei mesi, con rappresentati dei movimenti sociali e della popolazione boliviana, senza la mediazione dei partiti, scelti per centro di lavoro, centro abitato, comunità o piccola città.
- Istituzione di un Ufficio Preparatorio della Costituente che riceverà risorse politiche e sarà diretto da rappresentanti della società civile e dei movimenti sociali che si incaricheranno di organizzare la discussione che precederà la Costituente e di preparare il materiale necessario per essa.

Ciò che deve essere molto chiaro alla popolazione boliviana, nel caso in cui Carlos Mesa o chiunque altro sia a capo del governo provvisorio, è che questi sarà presidente di un governo sostitutivo di passaggio, nella prospettiva che la popolazione boliviana decida la forma di autogoverno.

Nota.
“Comuna”: gli abitanti della campagna boliviana sono organizzati in comunità, nelle quali in gran parte sono sopravvissute le tradizioni andine all’interno delle diverse forme imposte dall’invasore. Ci sono più di 12.000 comunità, ed in parte del territorio boliviano queste comunità coincidono ancora con i tradizionali ayllus e conservano le modalità indigene di coltivazione e lo stile di vita andino, là dove invece la produzione agricola di forma capitalista si è più estesa (la “hacienda”), la comunità assume il territorio prima occupato dalla “hacienda”.