II mozione. Essere comunisti
Primo
firmatario Claudio Grassi.
LE RAGIONI DI QUESTO DOCUMENTO. UNA PREMESSA
L' '89 si é
ripercosso in Italia con una serie di Il VI Congresso del Partito della Rifondazione
Comunista cade in un momento difficile per il Paese e per l'intero pianeta.
L'Italia è al bivio tra la possibilità di porre fine alla stagione
del berlusconismo e il rischio - troppo spesso sottovalutato - di subire per
un'altra legislatura i guasti prodotti da un governo di centrodestra. Il mondo
si trova in una grave crisi a causa della politica del governo degli Stati Uniti
e tutto, dopo la rielezione di Bush alla Casa Bianca, lascia prevedere che la
strategia di guerra della superpotenza americana perdurerà, alimentando
il rischio di una generalizzazione del conflitto armato. Nel nostro Paese le
elezioni politiche si avvicinano. Saranno elezioni in qualche modo decisive,
tanti e tali sono i danni provocati dal centrodestra nel sistema sociale, nell'apparato
produttivo, nel quadro costituzionale e nel tessuto morale del Paese. È
dunque più che mai necessario che la sinistra e le forze democratiche
vincano e si impegnino per invertire la tendenza di quest'ultimo decennio, che
ha visto dilagare la guerra e i disastri del neoliberismo. A sei anni dalla
scissione del '98, il Partito della Rifondazione Comunista è tornato
al centro della scena politica italiana ed è oggi forza determinante
per il mutamento degli equilibri politici del Paese. Concordi sull'importanza
di questo obiettivo, siamo chiamati a discutere su come perseguirlo. Ciò
pone al centro del nostro Congresso la questione politica e, più precisamente,
il problema del governo. È questo, oggettivamente, il tema all'ordine
del giorno. Lo è per la rilevanza delle decisioni da assumere, e lo è
anche per la portata dei rischi che queste comportano. Occorre dunque promuovere
tra noi il confronto più sereno e franco possibile, dare a tutto il Partito
la possibilità di prendere parte a scelte che ne ridefiniranno la collocazione
e che potrebbero metterne in gioco la stessa ragion d'essere. Le differenze,
la pluralità di orientamenti sono risorse, non ostacoli: procurano strumenti,
non difficoltà. Per tale ragione riteniamo che sarebbe stato più
utile un congresso su documenti a tesi emendabili. Non è stato possibile
e perciò contribuiamo alla discussione congressuale con questa nostra
mozione, cominciando in premessa a segnalare cinque questioni fondamentali.
Al governo solo a precise condizioni. Ferma restando l'inderogabile necessità
di unire le nostre forze a quelle degli altri Partiti di opposizione per cacciare
Berlusconi, ci interroghiamo sulle condizioni di una nostra eventuale partecipazione
al governo in caso di vittoria delle attuali forze di opposizione. Siamo consapevoli
dell'importanza che potrebbe avere la presenza di Rifondazione Comunista in
un governo di coalizione con un programma avanzato. Pensiamo che il nostro Partito
sarebbe in grado di fornire un contributo indispensabile a qualificare in senso
progressivo la piattaforma programmatica del futuro governo. Ma vediamo anche
molti problemi. L'attuale quadro politico non legittima grande ottimismo: pur
con contraddizioni, le forze che hanno imposto le politiche di "libero
mercato" restano egemoni in tutto il mondo capitalistico; l'ideologia neoliberista
esercita ancora una forte influenza sugli orientamenti delle forze democratiche
e sulla sinistra moderata del nostro Paese e, come si diceva, la conferma di
Bush alla presidenza degli Stati Uniti lascia prevedere che nel prossimo futuro
la strategia della "guerra preventiva" continuerà a ispirare
l'agenda politica della superpotenza e dei suoi alleati. Non possiamo non vedere
i rischi che tale stato di cose porta con sé. Unendo le proprie forze,
il centrosinistra e Rifondazione Comunista possono vincere le prossime elezioni.
Nonostante ciò, non è affatto detto che il futuro governo si farà
carico di quelli che consideriamo obiettivi prioritari: la difesa del lavoro
contro la precarietà; la difesa dei salari e delle pensioni, duramente
colpiti dall'inflazione e dalle politiche economiche di tutti i governi di quest'ultimo
decennio; l'abrogazione delle "leggi-vergogna" di Berlusconi; la difesa
della Costituzione nata dalla Resistenza antifascista; la messa al bando della
guerra, da chiunque dichiarata e la fine di ogni occupazione militare. Se ciò
non avvenisse, una eventuale partecipazione del Partito della Rifondazione comunista
al governo con dei ministri rischierebbe di avere gravi conseguenze sul nostro
Partito, sui nostri militanti, sui settori di società e di movimenti
che oggi guardano a noi. Per questo - e anche per il fatto che un programma
chiaro, che preveda risposte efficaci ai bisogni della nostra gente, costituisce
una premessa indispensabile per motivare il "popolo della sinistra"
nella battaglia elettorale contro le destre - pensiamo che, prima di decidere
se entrare o meno nel prossimo governo, il Partito debba pretendere precise
garanzie a difesa dei soggetti che intende rappresentare, evitando di firmare
cambiali in bianco. Prima i programmi, poi gli schieramenti: questo principio,
che ha sempre guidato le scelte politiche di Rifondazione Comunista, è
oggi più che mai la nostra bussola. I diritti del lavoro, questione cruciale.
Un terreno per noi decisivo è costituito dalla difesa e anzi dalla riconquista
dei diritti del lavoro, contro i quali si è abbattuto già nel
corso degli ultimi due decenni del Novecento (e con particolare violenza nel
corso degli anni Novanta) l'attacco del padronato e dei governi. Per anni -
benché l'area del lavoro salariato continuasse ad espandersi in Italia
e nel mondo - ha imperversato, anche a sinistra, la tesi della "fine del
lavoro". Questa ideologia è servita a distogliere l'attenzione dal
massacro sociale subìto dalle classi lavoratrici. Nel frattempo la condizione
dei lavoratori si è fatta insostenibile. I salari e gli stipendi sono
divorati da un'inflazione reale assai più elevata di quella programmata.
La precarietà e la flessibilità sono divenute norma. Si vorrebbero
superare i contratti collettivi nazionali. Le imprese ricorrono quasi esclusivamente
ai rapporti "atipici", a tempo determinato e senza tutele. Le norme
sulla sicurezza sono sistematicamente eluse (l'Italia è ai primi posti
nelle statistiche sugli incidenti mortali sul lavoro, con oltre 1400 vittime
l'anno). La riforma delle pensioni ha duramente colpito il sistema previdenziale,
trasformando per i più in un miraggio il raggiungimento dell'età
pensionistica e gettando milioni di pensionati in condizioni di povertà.
Tutto questo accade in una Repubblica che il primo articolo della Costituzione
dichiara "fondata sul lavoro". Occorre prendere sul serio questa dichiarazione,
che riposa sulla consapevolezza del fatto che è il lavoro - e non certo
un capitale che si accresce sul suo sfruttamento - la vera fonte della ricchezza
del Paese. Occorre reagire contro il dogma della "centralità dell'impresa",
che in Italia non ha nemmeno significato investimenti produttivi e sviluppo
industriale, ma privatizzazione di risorse pubbliche, regalie a una borghesia
parassitaria e accumulazione di profitti e di rendite. Occorre anche smascherare
la retorica della concorrenza e del mercato, che, lungi dal significare smantellamento
degli oligopoli, è servita solo a giustificare concentrazioni di capitale
e rafforzamento delle rendite di posizione. A questi criteri è necessario
sostituirne altri, di segno opposto: piena occupazione e lavoro stabile; difesa
del salario (mediante una nuova "scala mobile"); difesa del contratto
collettivo nazionale e democrazia sindacale; rilancio della programmazione economica
e dell'intervento pubblico, a cominciare dai settori a bassa redditività
immediata (infrastrutture, ricerca, formazione); potenziamento dei servizi sociali.
Non basta. È tempo anche di prendere sul serio quanto la Costituzione
prescrive in materia di funzione sociale dell'iniziativa economica privata,
prevedendo forme di controllo "dal basso" sui piani d'impresa, sull'organizzazione
del lavoro, sull'impatto ambientale delle produzioni e sull'impiego dei finanziamenti
pubblici ricevuti. La difesa del lavoro e dei suoi diritti è il fondamento
di una reale democrazia e il centro delle preoccupazioni dei comunisti. Data
per morta, la contraddizione capitale-lavoro resta in realtà centrale.
E il lavoro dipendente rimane, nelle sue molteplici forme, il fulcro del blocco
sociale in grado di realizzare la trasformazione dello stato di cose presente.
In Iraq c'è una Resistenza di popolo. Il dramma della guerra in Iraq
occupa da oltre un anno e mezzo il centro della scena internazionale. L'attacco
imperialista a uno Stato sovrano da parte degli Stati Uniti, della Gran Bretagna
e dei loro più stretti alleati (tra cui figura purtroppo anche l'Italia)
ha sin qui causato la morte di oltre 100mila civili innocenti: un massacro che
pesa come un macigno sugli uomini e sui governi che hanno messo in atto questa
infame impresa bellica, un gravissimo crimine contro l'umanità, che rende
più che mai necessario l'immediato ritiro dall'Iraq di tutte le truppe
di occupazione, a cominciare da quelle italiane. Ma le cose non vanno secondo
le previsioni di Bush, di Blair e di Berlusconi. La guerra, che si sarebbe dovuta
concludere in poco più di un mese, dura ancora, e ciò rende più
difficile agli Stati Uniti, almeno per il momento, nuove aggressioni, già
pianificate, a danno di altri Stati sovrani (a cominciare dai cosiddetti "Stati
canaglia": Iran, Siria, Corea del nord e Cuba). La macchina bellica più
agguerrita del mondo stenta ad avere la meglio contro un Paese distrutto e contro
una popolazione stremata. Ciò si deve al fatto che all'occupazione militare
il popolo iracheno ha risposto con straordinario coraggio e orgoglio, mettendo
in campo una capillare Resistenza armata che i continui bombardamenti e gli
attacchi di terra delle truppe anglo-americane non sono ancora riusciti a piegare.
Questa Resistenza di popolo deve essere riconosciuta e sostenuta quale espressione
della legittima aspirazione della popolazione irachena all'indipendenza e all'autonoma
determinazione del proprio futuro. Per questo dissentiamo da chi, con la complicità
dei media, evoca una presunta "spirale guerra-terrorismo". Non solo
questa formula cancella dalla scena la Resistenza irachena, ma per di più
suggerisce una inammissibile equivalenza delle responsabilità. Ferma
restando la più netta condanna del terrorismo, noi riteniamo invece che
la responsabilità di questa guerra criminale incomba esclusivamente su
Bush e sui suoi alleati, che hanno scatenato l'attacco all'Iraq per tutt'altre
ragioni (il controllo delle risorse energetiche; la competizione geopolitica
con la Cina, la Russia e l'Unione europea; gli enormi profitti legati alla spesa
militare e al business della "ricostruzione", ecc.). Ha ragione il
premio Nobel Pérez Esquivel quando afferma che è Bush oggi il
più pericoloso terrorista. Da questo giudizio deve, a nostro giudizio,
prendere avvio qualsiasi discorso sulla guerra in Iraq. La nostra storia è
un patrimonio, non un problema. Essere comunisti oggi è difficile anche
perché più che mai violento è l'attacco alle nostre idee,
alle nostre aspirazioni, alla nostra storia. Il revisionismo storico, che punta
a criminalizzare l'idea stessa della lotta di classe, stravolge l'intera esperienza
del movimento rivoluzionario operaio e comunista presentandola come una sequenza
di violenze e di fallimenti. Di recente questa tesi liquidatoria si è
fatta strada anche a sinistra. Autorevoli intellettuali hanno rappresentato
l'eredità del secolo scorso come un cumulo di macerie. Contro le rivoluzioni
proletarie e la stessa Resistenza antifascista sono stati intentati processi
sommari con condanne senza appello. Da ultimo si è giunti a dichiarare
politicamente morti tutti i più grandi dirigenti comunisti del Novecento.
Non ci riconosciamo in questi bilanci, che riteniamo storicamente e politicamente
errati. Il movimento comunista ha dato forza alla rivendicazione dei diritti
fondamentali delle masse lavoratrici e si è sempre schierato contro la
guerra, per la pace e per la giustizia sociale. L'insegnamento dei suoi più
grandi dirigenti del Novecento - da Lenin a Gramsci - è ancora un contributo
prezioso per l'analisi critica della società capitalistica. Le grandi
rivoluzioni che si sono susseguite dopo il 1917 hanno liberato sterminate masse
di popolo e inaugurato una nuova epoca storica, nella quale si colloca la nostra
esperienza di comunisti. La Resistenza antifascista - nella quale furono in
prima fila i partigiani comunisti - ha permesso al nostro paese di riconquistare
dignità e democrazia dopo l'infame vicenda del fascismo, delle sue leggi
razziste e della guerra al fianco di Hitler. Di questa storia siamo orgogliosi.
Non ne dimentichiamo limiti e pagine buie, ma non condividiamo atteggiamenti
liquidatori. Pensiamo che occorra, certo, procedere nella ricerca e nella riflessione.
Ma rivisitare la storia non significa rimuoverla. Non condividiamo la assunzione
della teoria della nonviolenza come nuovo tratto identitario di Rifondazione
Comunista. Le forme di lotta dipendono dal contesto in cui si praticano: oggi
in Italia è possibile praticare la lotta pacifica anche perché
ieri i partigiani, con le armi in pugno, hanno sconfitto il fascismo; per contro,
in Iraq - dopo una guerra e una occupazione illegittime - il popolo iracheno
è costretto a dare vita ad una resistenza anche armata per sconfiggere
gli invasori. Anche il concetto secondo il quale i comunisti non lottano per
conquistare il potere ci pare non solo estraneo alla nostra storia, ma incomprensibile.
Essere in un governo con dei ministri non significa forse "contaminarsi"
col potere? Non c'è mai, nella realtà, un vuoto di potere. Perdere
di vista questo terreno, per rimanere puri e incontaminati, significherebbe
rinunciare alla lotta politica e renderebbe nei fatti impraticabile l'obiettivo
della trasformazione della società in senso socialista. Il Partito: uno
strumento essenziale. Gli straordinari impegni che ci attendono impongono di
dedicare particolare cura al Partito, al suo rafforzamento organizzativo, al
suo insediamento sociale e territoriale. Occorre un Partito comunista capace
di organizzare lotte, promuovere conflitti, sviluppare movimenti, radicato nella
società e nel mondo del lavoro e culturalmente autonomo dalle ideologie
dominanti: un Partito, in ultima analisi, che consenta di tenere aperta la prospettiva
del superamento del capitalismo. Ciò pone in primo piano la necessità
di una politica per l'organizzazione, tesa in particolare alla formazione di
quadri e militanti, al rafforzamento e al rilancio delle strutture di base.
I circoli, sia quelli territoriali che di luogo di lavoro, vivono oggi uno scarso
coinvolgimento nella elaborazione della linea politica del Partito. Ciò
determina un senso di disorientamento che in alcuni casi produce situazione
di passività, di disaffezione e di calo della militanza. Per queste ragioni,
si richiede una correzione di linea rispetto alle "innovazioni" introdotte
nel V Congresso, che, accentuando questo processo, sono andate nella direzione
di costruire un Partito "leggero" e "mediatico". Ne sono
conferma il calo degli iscritti e, ancora di recente, la scarsa partecipazione
alla nostra ultima manifestazione nazionale: tutti elementi in controtendenza
rispetto allo sviluppo di importanti movimenti verificatosi nel corso di questi
anni. Occorre una netta inversione di tendenza, che consenta di recuperare i
gravi ritardi nella discussione sullo stato dell'organizzazione, e di riconoscere
nel Partito e nella sua forza organizzata uno strumento essenziale per la trasformazione
della società.
TESI 1 PER IL
SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO
L'obiettivo del superamento del capitalismo verso il socialismo e il comunismo
non è semplicemente un'aspirazione: esso nasce dalle stesse contraddizioni
antiche e nuove che il capitalismo non è in grado di risolvere. Il capitalismo
è entrato nel terzo millennio portando con sé contraddizioni sempre
più profonde. Nonostante la dinamicità e l'opulenza che manifesta
in ambiti anche rilevanti, esso si rivela incapace di offrire una vita dignitosa
alla maggioranza degli abitanti del pianeta. Centinaia di milioni di esseri
umani vengono privati dei più elementari diritti. Adulti e bambini muoiono
di fame e di sete. Epidemie e guerre affliggono gran parte della popolazione
mondiale, mentre si riaprono piaghe - la guerra, il razzismo, la schiavitù,
l'analfabetismo, il lavoro minorile - che ci si era talvolta illusi di aver
sanato o ridotto. Negli stessi paesi capitalistici più sviluppati tornano
guerre e tentazioni autoritarie e, come sempre, sono le fasce più deboli
della popolazione (i proletari, i giovani e i più anziani, i migranti)
a pagare il prezzo più alto della regressione. Il diffondersi di vecchie
e nuove forme di sfruttamento, di povertà e di emarginazione nel cuore
stesso dell'Occidente capitalistico è indice di come il sistema non riesca
a congiungere le immense potenzialità del progresso scientifico con il
progresso sociale e la umanizzazione delle relazioni fra gli esseri umani. Non
è colpa di un "destino cinico e baro", ma dei meccanismi stessi
del sistema capitalistico, fondato sulla indiscriminata ricerca del profitto,
sul saccheggio delle risorse naturali e sullo sfruttamento della forza-lavoro
di sterminate masse umane a vantaggio di un pugno di banche e di multinazionali
di Paesi capitalistici del "libero Occidente". A questo insieme di
cause si deve anche il fatto che, a quindici anni dal 1989, lo stato di guerra
sia il tratto dominante del quadro internazionale. Si tratta di una tendenza
che non accenna ad attenuarsi e della quale la rielezione di Bush lascia piuttosto
prevedere una recrudescenza. Mentre i motivi addotti a giustificazione del massacro
iracheno - connivenza col terrorismo, detenzione di armi di distruzione di massa
- si sono rivelati falsi, diventa ogni giorno più evidente la vera finalità
della guerra: controllare la regione del mondo più ricca di risorse energetiche
e colonizzare militarmente una zona decisiva per tenere sotto minaccia missilistica
i più pericolosi concorrenti della superpotenza statunitense, in particolare
la Cina. L'Afghanistan e l'Iraq (insieme alle ex-repubbliche sovietiche dell'Asia
centrale) sono regioni nelle quali gli Stati Uniti stanno insediando importanti
basi militari. Lo scenario è quello di una competizione per l'egemonia
mondiale nel XXI secolo. Gli Stati Uniti, di fronte alle proprie difficoltà
economiche, a un debito estero che è il maggiore del mondo, all'emergere
di nuove aree economiche, geopolitiche e valutarie che ne minacciano il primato
mondiale, scelgono la guerra "permanente" e "preventiva"
per tentare di vincere la competizione globale sul terreno militare, dove sono
ancora i più forti. E dove si propongono di raggiungere una superiorità
schiacciante sul resto del mondo, per cercare di invertire una tendenza crescente
al declino del loro primato economico.
TESI 2 LA TEORIA DELL'IMPERO SMENTITA DAI FATTI
La mondializzazione capitalistica smentisce la tesi dell'azzeramento del ruolo
degli Stati, ponendo in risalto piuttosto due tendenze: da un lato, l'esistenza
di Stati sempre più forti, collocati ai vertici del mondo; d'altro lato,
la realtà di Stati deboli o in via di disgregazione. Le guerre e le aggressioni
imperialiste condotte nell'ultimo decennio hanno evidenziato questo processo:
significativi esempi sono la divisione della ex-Jugoslavia e i tentativi in
atto di smembramento della Federazione russa. Gli Stati forti disgregano e attraggono
entro le proprie "aree di influenza". Ciò fa parte della perdurante
tendenza alla costituzione di poli capitalistici e imperialistici in competizione
tra loro, entro cui i singoli Stati si coordinano - pur con contraddizioni interne
- nell'intento di conseguire una dimensione ottimale per reggere la concorrenza
internazionale. L'odierna gerarchia capitalistica si ridisegna intorno a tali
entità continentali e alle principali compagini statuali e inter-statuali
che le costituiscono (gli Stati Uniti; l'Unione europea con l'asse franco-tedesco;
il Giappone). Lo Stato resta dunque un elemento chiave e ciò conferma
la piena attualità della nozione di "imperialismo". Pur entusiasticamente
accolta da vasti settori della "sinistra critica", la teoria dell'"Impero"
(secondo cui ai governi nazionali sarebbe ormai subentrata una sorta di direttorio
mondiale composto da Usa, Cina, Russia, Giappone) si è dimostrata totalmente
infondata. Gli stessi organismi internazionali (Fondo monetario, Banca mondiale,
Wto, ecc.) sono diretta espressione degli Stati guida e ciascun polo capitalistico
cerca di proteggere le proprie imprese transnazionali predisponendo (con gli
strumenti della diplomazia e, se necessario, con la guerra) le condizioni più
favorevoli al loro sviluppo. Le tensioni tra Stati Uniti ed Europa si sono accentuate
e tutto lascia prevedere che, in seno all'Unione europea, il contrasto tra filo-americani
e sostenitori di una maggiore autonomia europea nelle relazioni transatlantiche
sia destinato ad approfondirsi. Usciti vincitori dalla Guerra fredda, gli Stati
Uniti hanno puntato tutto sulla conservazione del proprio status di unica superpotenza
mondiale e per questo intendono impedire l'emergere di qualsiasi potenziale
competitore. Inevitabilmente ciò li sospinge verso una crescente rivalità
nei confronti delle potenze regionali emergenti e, soprattutto, del gigante
cinese, i cui vertiginosi ritmi di crescita economica non possono non impensierire
la dirigenza statunitense. Non è un caso che - anche per la sua direzione
politica - oggi la Cina sia considerata dalla Casa Bianca l'antagonista più
pericoloso dei prossimi decenni.
TESI 3 IL MOVIMENTO
CONTRO LA GUERRA E IL NEOLIBERISMO E LA RESISTENZA ANTIMPERIALISTA DEI POPOLI
Dalla contestazione dei vertici economici e politici delle maggiori potenze
capitalistiche si è venuto sviluppando un grande movimento di massa che
ha saputo diffondere la consapevolezza della distruttività dell'attuale
modello di sviluppo. A Seattle, a Porto Alegre, a Bombay e a Cancun, i Forum
sociali mondiali hanno costituito straordinari appuntamenti nei quali si è
via via consolidato un "comune sentire" critico contro la violenza
del capitalismo, la fame, le guerre, la devastazione ambientale. Questa spontanea
e tenace mobilitazione è di per sé una risorsa preziosa per la
lotta di massa contro il capitalismo neoliberista e contro la guerra. L'aggressione
anglo-americana all'Iraq ha indotto decine di milioni di donne e di uomini a
scendere in strada in diversi Paesi per manifestare la propria volontà
di pace. Benché non sia di per sé riuscita a impedire la guerra,
la massiccia mobilitazione del popolo della pace (che in Italia ha tratto vigore
anche dal ritorno della conflittualità operaia di cui a sua volta ha
favorito la crescita) ha contribuito in modo determinante alla crescente delegittimazione,
etica ancor prima che politica, dell'azione militare. Il movimento mondiale
contro il neoliberismo e la guerra non è l'unico elemento positivo sul
quale investire contro la politica bellicista di Bush. In Iraq la superpotenza
americana è messa in difficoltà da un'imprevista ed efficace azione
di Resistenza. Senza la Resistenza degli iracheni (che dopo trent'anni dalla
fine della guerra in Vietnam conferma come la superiorità tecnologica
statunitense non sia sufficiente per piegare un popolo) oggi assisteremmo a
nuove guerre e ancor maggiori sarebbero le difficoltà per quanti si oppongono
all'aggressività dell'imperialismo anglo-americano. Tutto ciò
significa anche che è sbagliato rinchiudere queste vicende nella formula
della "spirale guerra-terrorismo". Non è in questione il fatto
che il fenomeno terroristico (nei cui confronti i comunisti hanno sempre espresso
una condanna chiara e senza appello) possa avere un suo autonomo progetto politico.
A parte il fatto che alcuni episodi (a cominciare dall'11 settembre) restano
per molti versi oscuri, altri sono i punti in questione e da ribadire con forza.
Va detto che la responsabilità più grave della violenza nel Medio
Oriente incombe oggi sul terrorismo bellico di Bush e Sharon. E va sottolineato
con la massima chiarezza che la resistenza armata contro l'invasore non è
terrorismo. Ciò è valso ieri per i popoli che hanno dovuto impugnare
le armi contro il colonialismo, il fascismo, il nazismo e le aggressioni imperialistiche
di ogni tipo, ed è vero oggi per i resistenti iracheni, per l'Intifada
palestinese, per la guerriglia colombiana e per ogni altra lotta di popolo e
antimperialista. Chi riduce queste realtà entro l'uniforme contesto del
terrore di fatto nega la legittimità di qualunque forma di resistenza
armata all'oppressione violenta di popoli e classi. Al contrario, è necessario
esprimere piena solidarietà alla Resistenza dei popoli aggrediti, a cominciare,
oggi, dal popolo iracheno.
TESI 4 AL FIANCO
DEI POPOLI CHE LOTTANO CONTRO L'IMPERIALISMO
Accanto al sostegno alla Resistenza irachena, l'agenda dell'iniziativa internazionalista
ci consegna altri impegni prioritari. Va intensificato l'appoggio alla Resistenza
del popolo palestinese contro il terrorismo di Stato di Sharon e i progetti
neocoloniali di matrice sionista. Occorre incalzare la comunità internazionale
(in particolare l'Europa) perché si impegni per la restituzione ai palestinesi
dei loro territori occupati da Israele nel 1967 (inclusa Gerusalemme est), per
la creazione di un loro Stato sovrano e indipendente, e per la scarcerazione
di tutti i prigionieri politici detenuti nelle carceri israeliane. Va richiesto
l'immediato l'abbattimento del "muro della vergogna" voluto dal governo
di Israele. È indispensabile sostenere Cuba che, insieme alla propria
sovranità, difende - tra mille difficoltà e nonostante i rigori
imposti da un infame embargo - le conquiste della propria rivoluzione. Sostenere
la rivoluzione cubana significa anche valorizzare, rispetto al contesto dato,
un modello sociale e politico in grado di rappresentare per molti Paesi un'alternativa
alle devastazioni del capitalismo. Il livello raggiunto da Cuba in materia di
sanità, istruzione, aspettativa di vita, tutela dei bambini non ha confronti
in tutta l'America Latina e Centrale. A ciò si aggiunga (senza per questo
negare le difficoltà) che Cuba potrebbe ulteriormente migliorare il livello
di vita del proprio popolo e investire di più nella solidarietà
internazionalista, se non dovesse difendersi dalla continua aggressione militare,
terroristica ed economica degli Stati Uniti. Altrettanto importanti, per un'America
Latina autonoma dagli Usa, sono l'esperienza avviata dal governo venezuelano
e la vittoria del Frente Amplio in Uruguay. Lo stesso governo Lula - nonostante
talune criticabili scelte di politica economica - conferma il risveglio del
continente latinoamericano nel suo complesso. Si inscrivono in questo quadro
le iniziative per l'estensione del patto di cooperazione e integrazione economica
tra i Paesi dell'America Latina (il Mercosur), che cercano di percorrere strade
diverse da quella dell'Alca, il patto di libero scambio fortemente perseguito
dagli Usa. Siamo parimenti solidali con le lotte dei popoli e dei Paesi progressisti
afroasiatici, a partire da quelle emblematiche dei lavoratori e dei popoli del
Sudafrica, della Nigeria, dell'India non allineata, del Vietnam socialista.
TESI 5 CONTRO
LA GUERRA, FUORI DALLA NATO
Occorre sviluppare una intransigente iniziativa volta a impedire ulteriori
violazioni dell'articolo 11 della Costituzione. L'Italia non dovrà mai
più partecipare ad interventi militari (nemmeno sotto copertura Onu,
né indirettamente tramite la concessione di basi militari, spazi aerei,
strutture logistiche) se non in difesa del proprio territorio da una invasione
straniera. Tale iniziativa (resa ancor più urgente dalla rielezione di
Bush) deve interagire con tutte le forze che si oppongono ai progetti di riarmo
connessi al progetto di esercito europeo, sostenuto da alcuni Paesi dell'Unione.
Inoltre occorre ribadire la necessità di giungere allo smantellamento
di tutte le basi militari Nato e Usa presenti in Italia. Tale obiettivo - posto
all'ordine del giorno dalla dissoluzione del Patto di Varsavia - è divenuto
inderogabile in seguito alla trasformazione del Patto atlantico in una alleanza
con scopi ancor più dichiaratamente offensivi. Infatti (come si è
già verificato anche in Italia, in occasione della guerra contro la Jugoslavia)
la nuova Nato può oggi intervenire in ogni parte del mondo, senza neppure
una decisione formale dei parlamenti dei Paesi coinvolti. La battaglia pacifista
richiede che i comunisti siano attivamente presenti nel movimento mondiale per
la pace. Occorre essere consapevoli che dalla vitalità di questo movimento
dipendono in larga misura i risultati dell'impegno profuso in ogni continente
dai governi, dai popoli, dalle forze politiche e sociali, sindacali e religiose
che si battono contro la guerra. È essenziale che questo movimento rafforzi
i propri legami con le organizzazioni del movimento operaio. Nulla è
più urgente oggi della ricomposizione dei diversi settori di movimento
e della costruzione di piattaforme unitarie di lotta contro la guerra e contro
il neoliberismo, a partire dalla lotta per il disarmo, per lo smantellamento
di tutte le basi militari straniere e per un Trattato internazionale di non
proliferazione che metta al bando e distrugga tutte le armi di sterminio, cominciando
dagli arsenali dei Paesi che ne possiedono di più.
TESI 6 PER UN'ALTRA
EUROPA
Negli ultimi tre decenni i Paesi dell'Unione europea hanno dovuto far fronte
alla generale crisi del processo di accumulazione. La "cura" prescritta
dalle autorità economiche dell'Unione si è rivelata peggiore del
male. Il "Patto di stabilità e di crescita" ha imposto il dogma
dell'equilibrio di bilancio, impedendo politiche espansive e rendendo inevitabili
drastici tagli alla spesa pubblica. In un quadro che non mette in discussione
la continua crescita dei profitti e degli alti redditi (e impedisce quindi un
uso redistributivo della leva fiscale), le uniche leve compatibili con tale
impostazione risultano essere la privatizzazione dei servizi e delle grandi
imprese pubbliche, e la riduzione delle tasse (a beneficio dei ricchi). Gli
effetti di queste scelte sono sotto gli occhi di tutti: drastico ridimensionamento
dello Stato sociale, privatizzazione di settori di pubblico interesse, stagnazione
e distruzione di sempre più vasti segmenti di attività produttiva,
crescita della disoccupazione e aumento delle disuguaglianze. Dilagano la liberalizzazione
del mercato del lavoro e con essa la precarietà. I contratti nazionali
e tutte le conquiste operaie (a cominciare dall'orario di lavoro) sono sotto
attacco. Ove ciò non bastasse, la recente decisione di allargare l'Unione
a dieci Paesi ex-socialisti ha ulteriormente acuito le dinamiche di concorrenza
interna alle classi lavoratrici europee. Contro questo stato di cose è
necessaria un'azione congiunta di tutte le forze sociali e politiche democratiche
e di sinistra volta ad affermare una politica economica opposta a quella sin
qui praticata in sede comunitaria. È giunto il momento di attuare scelte
economiche con finalità di ordine sociale quali la piena occupazione,
l'effettiva eliminazione delle aree di povertà, la ricostruzione di efficienti
sistemi pubblici di welfare, la garanzia della casa per tutti, una politica
pubblica di rilancio delle aree depresse e un concreto impegno nella lotta contro
l'analfabetismo e per l'innalzamento generalizzato dell'obbligo scolastico.
A questa Europa di pace e di giustizia sociale servirebbe un'autentica Costituzione,
completamente diversa dal Trattato costituzionale recentemente approvato. Le
ragioni per le quali quest'ultimo va respinto sono molte e gravi: l'assenza
di un percorso democratico alla base della sua elaborazione, il rifiuto di qualsiasi
politica di regolazione del mercato, l'attribuzione di funzioni meramente residuali
all'intervento pubblico, l'incoraggiamento di meccanismi di concorrenza interna
sul costo del lavoro e la mancanza di una parola chiara contro la guerra. La
battaglia per un'Europa politica unita e autonoma, democratica e pacifica dovrà
necessariamente passare per una Costituzione nettamente contraria alla guerra,
che ruoti intorno alla difesa dei diritti del lavoro e promuova politiche economiche
espansive. Chi vuole un'Europa davvero autonoma dagli Usa e dal loro modello
di società deve avere un progetto alternativo, che comprenda tutti i
Paesi del continente andando oltre l'attuale Unione europea e le basi neoliberiste,
transatlantiche e neo-imperialiste su cui essa è venuta formandosi. È
vero che oggi l'imperialismo franco-tedesco è meno pericoloso per la
pace mondiale di quello Usa e può fungere, a volte, da ostacolo per le
spinte più aggressive. Ma sarebbe sbagliato trarne una linea di incoraggiamento
al riarmo dell'Unione europea: i movimenti operai e i popoli europei, e ogni
progetto di Europa sociale e democratica, verrebbero colpiti al cuore da una
politica di militarizzazione del continente su basi neo-imperialistiche. Essa
stimolerebbe la corsa al riarmo a livello internazionale e il costo di una crescita
esponenziale delle spese militari, in un'Europa neo-liberale dove già
oggi vengono colpite le condizioni di vita e di lavoro dei ceti popolari, distruggerebbe
quel poco che rimane dello Stato sociale europeo. Più in generale va
contrastata l'illusione che una Unione europea sotto l'egemonia del grande capitale
possa rappresentare una alternativa di progresso all'imperialismo Usa. E che
i processi di integrazione in atto in Europa, nei loro assi portanti, siano
una sorta di contenitore neutrale che possa essere, a seconda dei casi, riempito
di contenuti di destra o di sinistra, e non invece - come in realtà sono
- un progetto strategico coerente di integrazione capitalistica e neo-imperialistica.
TESI 7 COMUNISTI
IN EUROPA E NEL MONDO
Siamo per sostenere tutte quelle iniziative che, su scala europea e mondiale,
favoriscono - nel pieno rispetto dell'autonomia di ogni partito - una incisiva
e strutturata unità d'azione delle forze comuniste e di sinistra anticapitalistica
e antimperialista. La convergenza sempre più forte di tutti coloro i
quali oggi lottano contro la guerra e l'imperialismo rappresenta un obiettivo
in vista del quale debbono impegnarsi le forze comuniste e rivoluzionarie. Da
questo punto di vista i Forum sociali mondiali e continentali sono luoghi importanti
che possono favorire questo processo. La consapevolezza che il terreno nazionale
resta importante per dare basi di massa ad ogni iniziativa, non ci induce a
rinunciare a lavorare sul piano internazionale. Anzi. Le nostre critiche a come
si è operato per dar vita al Partito della Sinistra europea sono indirizzate
alla proposta politica e organizzativa che esso configura e non sono certamente
ispirate ad un progetto di chiusura autarchica. La piattaforma su cui si è
costituito il Partito della Sinistra europea manca di una connotazione di classe
e anticapitalista; essa propone un profilo identitario e progettuale genericamente
di sinistra. Le nostre riserve erano e sono dettate dalla preoccupazione per
la insufficiente capacità aggregativa del nuovo soggetto, al quale infatti
non hanno aderito numerosi Partiti comunisti e di sinistra anticapitalistica.
Resta l'esigenza di superare questi limiti che hanno contraddistinto la costruzione
del Partito della Sinistra europea. Proprio la consapevolezza dell'importanza
del terreno europeo e la necessità di coinvolgere tutte le forze che
si collocano a sinistra della socialdemocrazia, ci inducono a ribadire la necessità
di costruire un Forum o un Coordinamento permanente e strutturato (sul tipo
di quello realizzato a San Paolo del Brasile), in grado di comprendere l'intera
sinistra comunista, anticapitalista e antimperialista dell'Europa, dall'Atlantico
agli Urali.
TESI 8 IL NOSTRO
IMPEGNO UNITARIO PER BATTERE LE DESTRE E BERLUSCONI
Benché indebolito dai disastrosi effetti della sua politica economica
e duramente provato dai recenti risultati elettorali, il governo Berlusconi
continua la sua politica antipopolare, grazie anche alle debolezze dell'opposizione.
Un sostegno al governo in carica proviene anche dal quadro internazionale, al
quale la rielezione del presidente Bush imprime una marcata tendenza conservatrice.
Il Paese continua a subire le pesanti conseguenze di quella miscela di populismo,
autoritarismo e affarismo che costituisce l'essenza del berlusconismo. Sia sul
terreno delle politiche sociali ed economiche (legge 30, riforma delle pensioni,
Bossi-Fini, privatizzazioni) che su quello delle politiche istituzionali (devolution,
presidenzialismo, leggi Moratti) la destra ha sistematicamente sfruttato i gravi
errori compiuti dai governi di centrosinistra negli anni Novanta, radicalizzandone
il segno antipopolare. Oggi, mentre la scelta di allineare l'Italia alla politica
estera Usa e di coinvolgerla nella guerra in Iraq non viene rimessa in discussione,
sul fronte interno vanno avanti l'offensiva contro i diritti del lavoro e l'attacco
contro la Costituzione, lo Stato di diritto e l'unità del Paese. Vengono
promulgate riforme costituzionali di chiara marca piduista tese a concentrare
tutto il potere decisionale nelle mani del "capo del governo". Vengono
varate normative che colpiscono pesantemente libertà civili e diritti
della persona (si pensi alla legge sulla fecondazione assistita). E mentre la
morsa di Berlusconi sul sistema informativo non accenna ad allentarsi, si annunciano
nuove misure volte a cancellare qualsiasi vincolo a garanzia del pluralismo
in campagna elettorale (par condicio). La battaglia per cacciare le destre dalla
guida del Paese non è ancora vinta. È e resta l'obiettivo prioritario,
da realizzare unitariamente. Sarebbe pertanto un grave errore ragionare come
se si trattasse di un dato acquisito. Ci sono segnali positivi: l'unità
di tutte le opposizioni, la persistenza dei movimenti e l'affermazione anche
elettorale della sinistra di alternativa. Ma ciò non basta a rovesciare
la situazione e a modificare complessivamente i rapporti di forza sociali e
politici, come dimostrano - tra l'altro - il mancato avvio del confronto programmatico
e una inadeguata mobilitazione contro le iniziative reazionarie del governo.
TESI 9 IL DISSESTO
ECONOMICO E SOCIALE DEL PAESE
Dall'inizio del 2001 l'economia italiana è bloccata. Dagli anni Ottanta
è in atto un progressivo ridimensionamento della grande industria. Gli
imprenditori preferiscono scegliere la strada della flessibilità o della
delocalizzazione. In una parola, si è imboccata con decisione la "via
bassa" dello sviluppo, basata sul contenimento dei costi: bassi salari
e flessibilità. Per questo corriamo verso il baratro: non si dà
fiato ai settori industriali strategici e non si dà risposta né
ai bisogni né ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. I riflessi
sociali di queste scelte sono gravi, in particolare nel Mezzogiorno. Il potere
d'acquisto di salari e pensioni si riduce (-2,6% nel triennio 2000-02, a fronte
di un aumento del 4,5% del potere d'acquisto dei redditi di imprenditori e professionisti);
la povertà cresce espandendosi dentro il mondo del lavoro; la questione
abitativa - tra caro-affitti e sfratti - diviene sempre più grave per
effetto del fallimento dei "patti in deroga". L'occupazione perde
in qualità: il lavoro (soprattutto quello delle donne, su cui si scaricano
i più pesanti contraccolpi del declino produttivo del Paese e dello smantellamento
del welfare) è precarizzato, dequalificato e sottopagato. Al servizio
pubblico in via di smantellamento si sostituiscono, nella erogazione di servizi
essenziali, cooperative sociali che, smentendo la retorica del cosiddetto "privato
sociale", operano costringendo i propri addetti a condizioni di supersfruttamento
e di azzeramento di diritti e tutele. Per contro crescono le grandi ricchezze.
In tale contesto, l'aumento reale di salari, stipendi e pensioni sarà
il tema su cui dovrà concentrarsi il massimo di attenzione delle forze
politiche e sociali che sostituiranno la destra alla guida del Paese. I giovani
sono i più colpiti, privi di tutele e diritti sul lavoro ed espropriati
di un'istruzione pubblica e di massa che diventa, al contrario, merce al servizio
delle imprese. Più in generale, la condizione dei soggetti più
deboli non costituisce un'eccezione, ma la spia della tendenza regressiva in
atto. I cittadini stranieri di recente immigrazione nel nostro Paese - che sono
ormai una componente importante del mondo del lavoro - sono oggetto di sistematiche
e incostituzionali discriminazioni, esposti all'arbitrio delle autorità
di polizia, privati del diritto di asilo, segregati in campi di reclusione la
cui istituzione figura tra le più gravi responsabilità degli ultimi
governi di centrosinistra. La popolazione detenuta nelle carceri italiane (costituita
in gran parte da migranti e tossicodipendenti, molti dei quali affetti da Aids)
soffre i mali cronici di un sistema penitenziario sovraffollato, ospitato in
edifici spesso fatiscenti, privo dei servizi essenziali, tale da rendere improponibile
qualsiasi riferimento al fine rieducativo della pena. Occorre intervenire per
offrire una prospettiva di svolta al Paese: per consentirgli di imboccare la
"via alta" dello sviluppo, fondata sulla qualità (sociale e
ambientale) e sull'innovazione (di processi produttivi e di prodotti), sul lavoro
non precario e sulla qualificazione professionale e salariale, sull'equità
redistributiva (si inserisce qui anche l'inderogabile necessità di ripristinare
il regime dell'"equo canone"), sull'investimento in ricerca e sulla
programmazione pubblica. Un ruolo chiave nel rilancio del sistema produttivo
del Paese dev'essere affidato all'intervento pubblico, al quale vanno riservate
funzioni non solo di programmazione, ma anche di iniziativa in settori strategici
(infrastrutture, trasporti, energia, manutenzione del territorio, ecc.) e nella
diretta gestione di grandi imprese (a cominciare dalla Fiat) vitali per l'intera
economia del Paese. Per quanto riguarda in particolare i diritti del lavoro,
occorre avviare iniziative che affrontino i temi della programmazione economica
democratica e della democrazia aziendale, per giungere al riconoscimento del
diritto dei lavoratori a contrattare tutti gli aspetti del rapporto di lavoro,
ad essere consultati tramite le loro organizzazioni circa la modifica degli
indirizzi produttivi, l'adozione di nuove tecniche produttive e di nuovi assetti
dell'organizzazione del lavoro. In vista di questi obiettivi le opposizioni
hanno il dovere di sviluppare una forte iniziativa unitaria, capace di ostacolare
i piani della destra attraverso la mobilitazione nel Paese e nelle istituzioni.
TESI 10 GIOVANI,
SCUOLA E LAVORO
In questo quadro di regressione economica e sociale, la questione giovanile
non è una semplice questione generazionale. Essere giovani oggi in Italia
significa trovarsi in una condizione di particolare esposizione all'attacco
delle politiche neoliberiste, che producono incertezza, precarietà, mercificazione
di tutti gli aspetti della vita dei giovani. Per questo, all'interno dei movimenti,
i giovani, esprimendo il totale rifiuto dei guasti prodotti dal neoliberismo,
sono portatori di una critica radicale nei confronti di un modello di società
oggettivamente intollerabile. È il caso degli studenti (che subiscono
i contraccolpi della violenta offensiva scatenata dal governo contro la scuola
pubblica e l'Università) e soprattutto dei lavoratori - in particolare,
dei precari - la cui spinta rivendicativa ha già trovato importanti momenti
di visibilità come in occasione degli scioperi degli autoferrotranvieri,
del "May Day", organizzato lo scorso primo maggio a Milano, e della
manifestazione del 6 novembre scorso a Roma. Per questo occorre muoversi su
due terreni, strettamente connessi tra loro. Da un lato è necessario
restituire centralità ai conflitti del lavoro: l'obiettivo dev'essere
quello di unire le vecchie e le nuove forme di sfruttamento in una battaglia
contro la precarietà e il lavoro nero e per l'occupazione giovanile,
stabile e qualificata, urgente soprattutto nel Mezzogiorno. Dall'altro lato,
occorre suscitare una iniziativa di massa in difesa del diritto allo studio,
impegnandosi per una riforma che restituisca la scuola alla sua autentica funzione
sociale e battendosi contro la scuola della selezione di classe e contro la
devastazione dell'Università pubblica. La mobilitazione per il diritto
allo studio è, in sé, critica della precarietà e pone contemporaneamente
le basi per un impegnativo intervento dei comunisti e della sinistra sul terreno
della formazione e dei saperi. Abbiamo il compito di aprire con urgenza una
nuova stagione di conflitto che metta al centro la lotta alla precarietà
del lavoro e dell'istruzione. Ciò diviene possibile nella misura in cui
il Partito, tramite le sue strutture di base e insieme ai Giovani comunisti,
è in grado di rapportarsi al crescente disagio giovanile, materiale e
morale, sviluppando, a partire da esso, una forte iniziativa politica contro
il neoliberismo.
TESI 11 IL QUADRO DELLE FORZE DI OPPOSIZIONE
La necessaria iniziativa unitaria delle forze di opposizione incontra tuttavia
un serio ostacolo nelle divergenze che permangono tra le due anime del centrosinistra:
l'area moderata (maggioranza dei Ds, Margherita, Sdi e Udeur) e la componente
di sinistra (sinistre Ds, Pdci, Verdi). Si danno letture diverse e spesso contrapposte
del quadro delle forze di opposizione. Non riteniamo corretta, purtroppo, la
valutazione secondo cui la componente maggioritaria del centrosinistra si sarebbe
spostata a sinistra. Pur in presenza di ripensamenti critici su alcune scelte
compiute nello scorso decennio, non è stata operata una cesura rispetto
alle politiche messe in atto nella seconda metà degli anni Novanta. Ciò
è vero in relazione a tutti i terreni qualificanti: le politiche economiche
(privatizzazioni e "Patto di Stabilità"), le politiche sociali
(pensioni) e del lavoro (flessibilità e precarizzazione), le questioni
istituzionali (maggioritario e presidenzialismo), la politica estera ("guerre
umanitarie", atlantismo e fedeltà alla Nato), i cedimenti al revisionismo
storico (foibe e "ragazzi di Salò") e un sostanziale arretramento
della cultura e del costume (familismo e restrizione dei diritti delle donne
e delle libertà civili). Non è un caso che tale istanza moderata
abbia trovato un suo momento di coagulo elettorale con la presentazione della
lista "Uniti per l'Ulivo", in vista di un più ambizioso e organico
progetto di costituzione di un Partito riformista. Per contro, la componente
più radicale del centrosinistra è venuta assumendo, nel corso
degli ultimi anni, posizioni più avanzate. Si pensi alle ripetute convergenze
nel voto parlamentare contro la guerra; alla partecipazione alle manifestazioni
del movimento per la pace; al sostegno al referendum sull'articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori; alle numerose iniziative sociali al fianco della Fiom,
dei sindacati di base e della Cgil. I risultati positivi delle scorse elezioni
europee hanno raccolto i primi frutti di questo lavoro e ci testimoniano dell'esistenza
di una consistente area politica di sinistra di alternativa con una forte convergenza
programmatica.
TESI 12 LA "NUOVA FIOM" E LA RIPRESA DELLE LOTTE OPERAIE
Un ruolo determinante in questo risveglio della soggettività antagonista
e di classe lo ha svolto l'organizzazione sindacale dei meccanici. Gli scioperi
nazionali proclamati dalla Fiom sin nella primavera del 2001 - quando ancora
la Cgil esitava a prendere atto dei danni prodotti dalla concertazione - hanno
impresso una scossa all'intero movimento dei lavoratori, dimostrando che le
lotte erano possibili, che si poteva resistere all'arroganza padronale, esaltata
dal ritorno delle destre al governo del Paese, e persino tornare a vincere (come
è avvenuto a Melfi). Anche il sindacalismo extraconfederale - nonostante
non sia riuscito a porsi come espressione generale del mondo del lavoro - ha
offerto un significativo contributo all'organizzazione del conflitto, in particolare
nei settori della scuola, dei servizi e del pubblico impiego. Queste lotte hanno
contribuito a riaprire la questione operaia, oggi più urgente che mai.
La crisi della capacità di rappresentanza e tutela da parte del sindacato
ne è parte essenziale. Basti un dato: in Italia nel 1972 le quote di
reddito da lavoro costituivano circa metà del Pil, mentre oggi si attestano
intorno al 40%. Ciò significa che, in questi trent'anni, circa il 10%
della ricchezza nazionale è stata trasferita da salari e pensioni a rendite
e profitti. Alla base di questo processo è anche la subalternità
del sindacato, sancita dall'accordo del '93. Con la vertenza Fiat e gli accordi
di Melfi e Fincantieri la Fiom ha interrotto questa tendenza all'arrendevolezza
e ha riaperto la strada per restituire al sindacato il ruolo di soggetto autonomo
della negoziazione. Il recupero di una pratica di lotta operaia è stato
di per sé una vittoria, oltre che una prima, importante risposta al bisogno
- diffuso ma da tempo ignorato - di protagonismo e di autonomia delle masse
lavoratrici. Ne è seguito, in questi ultimi tre anni, un intenso lavoro
di ricostruzione di esperienze di mobilitazione e di elaborazione di piattaforme
rivendicative sempre più avanzate. Le battaglie dei meccanici sul salario
e sull'orario, per la democrazia nei luoghi di lavoro e contro flessibilità,
precarizzazione e licenziamenti hanno aperto la strada a un nuovo impegno di
lotta anche da parte della Cgil, culminato nella grande mobilitazione in difesa
dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Questi elementi di positiva evoluzione
della Cgil, confermati dalla sua internità ai grandi movimenti di massa
contro la guerra e contro il neoliberismo, convivono tuttavia contraddittoriamente
con scelte discutibili, quali la firma di contratti caratterizzati da contenuti
tutt'altro che avanzati, e con tentazioni concertative a tutt'oggi presenti.
Affinché questa linea non riemerga (magari sollecitata dalla nuova presidenza
della Confindustria, dalla sinistra moderata e da Cisl e Uil), è importante
che la Fiom si mantenga sulla posizione attuale. Così come è importante
che la sinistra sindacale della Cgil, in tutte le sue articolazioni, assuma
questo obiettivo come prioritario. La politica della concertazione non solo
ha dimostrato che non è in grado di difendere i lavoratori, ma presuppone
un sindacato che è il contrario di quello per cui noi lavoriamo e cioè
un sindacato che si basi sul conflitto, autonomo dai governi e che si legittimi
esclusivamente attraverso il rapporto democratico con i lavoratori. La ripresa
del conflitto di questi anni e l'attacco sistematico operato dai padroni e dal
governo contro i diritti sindacali hanno riproposto (confutando la tesi della
"fine del lavoro" largamente accolta anche dalla sinistra) la persistente
centralità della contraddizione capitale-lavoro, dunque la funzione ancor
oggi decisiva delle lotte operaie e dei lavoratori ai fini di un efficace movimento
di trasformazione dell'ordine sociale esistente. Ne discende una sollecitazione
anche per il nostro Partito, che per molteplici ragioni - da indagare con urgenza
e rigore - ancora stenta a conquistare un'adeguata presenza nelle organizzazioni
sindacali confederali e di base e in quel mondo del lavoro che, pure, dovrebbe
costituire il suo insediamento fondamentale.
TESI 13 LA COSTRUZIONE
DELLA SINISTRA DI ALTERNATIVA
Questo stato di cose rende urgente e al tempo stesso concreta la prospettiva
di una unità d'azione politica e programmatica e di un coordinamento
efficace della sinistra di alternativa, cioè dell'insieme delle forze
politiche, sociali e sindacali che fondano la propria azione sulla opposizione
alla guerra e al neoliberismo. In particolare la connessione tra i diversi movimenti
che in questi anni hanno occupato la scena politica del Paese e favorito il
rilancio del conflitto sociale è un obiettivo prioritario, per la tenuta
e per la crescita culturale e politica di queste soggettività. Consideriamo
l'autonomia del Partito un valore irrinunciabile. Per questo non proponiamo
la costituzione di un nuovo Partito né di un assemblaggio di gruppi dirigenti
politici e sindacali, che metterebbe a repentaglio l'autonomia dei soggetti
coinvolti e determinerebbe l'esclusione di parti significative della sinistra
di alternativa, a cominciare dalle sinistre Ds. Ciò che proponiamo di
costituire, insieme a tutte le forze disponibili, è invece un luogo di
confronto permanente, aperto e flessibile, e di azione unitaria nel quale tutti
- partiti e gruppi politici, sindacati e correnti sindacali, movimenti, associazioni
e giornali - possano contribuire a un movimento unitario della sinistra di alternativa:
un movimento fondato sul fare, orientato alla costruzione di iniziativa e di
conflitto, e impegnato nella elaborazione di una piattaforma programmatica comune
a tutte queste forze, in grado non solo di controbilanciare gli orientamenti
moderati della parte maggioritaria del centrosinistra e di contrastare la forza
attrattiva che essa rischia di esercitare su componenti della stessa sinistra,
ma anche di favorire la crescita di una cultura critica e di classe nel Paese.
La costruzione di una sinistra di alternativa così concepita è
l'unica con potenzialità di massa e tale, al tempo stesso, da non contraddire
l'autonomia e il rafforzamento di un partito comunista autonomo con basi di
massa, che dalla nascita di Rifondazione Comunista è - e resta - un nostro
obiettivo strategico.
TESI 14 LA QUESTIONE
DELLE ALLEANZE E DEL GOVERNO
L'esigenza di costruire in tempi brevi l'unità della sinistra di alternativa
deriva dalla necessità di mettere le forze oggi all'opposizione non solo
in condizione di battere il centro- destra alle prossime elezioni politiche,
ma anche di incidere sul programma del nuovo governo senza che si ripropongano
le politiche portate avanti dal centrosinistra negli anni Novanta. Se lo schieramento
anti-Berlusconi vincerà le elezioni, il problema vero sarà cercare
di porre rimedio ai guasti provocati da questo governo e da quelli che lo hanno
preceduto. È necessario in particolare, evitare che i costi della crisi
e del risanamento vengano scaricati ancora una volta sulle classi lavoratrici
e sui ceti più deboli. Ci batteremo contro tale eventualità, anche
perché siamo consapevoli che, qualora ciò accadesse con la corresponsabilità
di Rifondazione Comunista, il nostro Partito rischierebbe di essere travolto
dal risentimento e dalla delusione (come accaduto più volte alle esperienze
di governo del Partito comunista francese). Non solo. Insieme al nostro Partito,
rischierebbe di venire archiviata - per un ciclo storico di imprevedibile durata
- la possibilità stessa di costruire in Italia un partito comunista con
basi di massa. La questione oggi in campo non riguarda dunque soltanto la composizione
e l'agenda politica del futuro governo, ma la possibilità stessa di tenere
aperta la questione comunista nel nostro Paese. Con la Bolognina prima e con
l'introduzione del maggioritario poi, si è cercato di costruire un sistema
bipolare basato sull'alternanza tra due schieramenti che, pur contrapponendosi,
restassero nella cornice del sistema capitalistico. La presenza di una forza
comunista autonoma come è stata Rifondazione ha impedito che questo disegno
si realizzasse compiutamente; per tenere aperta questa prospettiva dobbiamo
evitare che la necessaria politica unitaria si trasformi in perdita di autonomia.
Da ciò consegue l'esigenza di qualificare in termini socialmente e politicamente
avanzati l'impianto programmatico generale del futuro governo di centrosinistra,
coinvolgendo nella elaborazione del programma tutte le istanze sociali - movimenti,
sindacati, associazioni - disponibili a una pratica di partecipazione. Tra le
questioni che sarà necessario affrontare rivestono particolare importanza
la difesa dei diritti del lavoro e il rilancio dell'apparato produttivo del
Paese e della sua economia. Si impongono, in primo luogo, la centralità
della questione salariale, la difesa del contratto collettivo nazionale e delle
garanzie del posto di lavoro a tempo indeterminato e una profonda revisione
del "Patto di stabilità". Sul terreno istituzionale occorrerà
introdurre misure efficaci al fine di garantire il massimo di rappresentatività
del sistema politico e di preservare il Paese dal rischio (tutt'altro che scongiurato)
di una regressione autoritaria. Pensiamo in particolare all'introduzione di
una legge elettorale proporzionale, allo smantellamento della controriforma
istituzionale (devolution, presidenzialismo e nuovo ordinamento giudiziario)
e alla difesa della Costituzione. Sul piano internazionale la priorità
è il ritiro immediato di tutti i militari italiani impegnati all'estero,
a cominciare da quelli in Iraq. Come abbiamo detto in precedenza, siamo contro
la Nato. Rientra quindi tra gli obiettivi di Rifondazione Comunista anche una
politica che (seguendo l'esempio della Francia, che non ha truppe e basi straniere
sul suo territorio, o della Danimarca, che non accetta di ospitare armi nucleari
e di sterminio) punti all'allontanamento dal territorio italiano di tutte le
armi di sterminio (a partire da quelle nucleari) e allo smantellamento progressivo
di tutte le basi Usa e Nato. Sappiamo, inoltre, che la maggioranza delle forze
del centrosinistra sono subalterne al vincolo atlantico. Ma occorre che sulla
scelta atlantica dell'Italia vi siano quanto meno alcune correzioni significative.
Il primo compito è rendere noti a tutti i cittadini italiani gli accordi
segreti siglati dai governi passati con gli Usa e con la Nato. In secondo luogo
riteniamo che occorra sostenere a livello di governo nazionale le richieste
avanzate dalla giunta regionale sarda e dal presidente della regione Toscana
di riconvertire ad uso civile alcune basi militari presenti sul loro territorio,
come Camp Darby e La Maddalena. Ciò diventa tanto più urgente
poiché le ultime scelte della Nato coinvolgono maggiormente l'Italia.
Sede del quartier generale della "Nato Responce Force", il nostro
Paese rischia di diventare il principale trampolino di lancio della proiezione
offensiva statunitense verso Est (Eurasia e Cina) e verso Sud (Medio Oriente
e Africa). Un governo nel quale fosse presente il nostro partito dovrebbe operare
con determinazione per arrestare tale deriva, incompatibile con lo spirito pacifista
della Costituzione e della larga maggioranza del nostro popolo.
TESI 15 LE CONDIZIONI
PROGRAMMATICHE PER LA PARTECIPAZIONE DEL PRC AL GOVERNO
Riteniamo sia stato un errore aver dato per acquisita - attraverso numerose
interviste - la partecipazione di Rifondazione Comunista al prossimo governo
di centrosinistra ancor prima di aver iniziato il confronto programmatico. Così
come riteniamo sia stato sbagliato dire che Rifondazione Comunista accetterebbe
di sottostare ad un vincolo di maggioranza sulla guerra, qualora ciò
fosse deciso da una consultazione popolare. Siamo contro le "primarie",
poiché si inseriscono in una tendenza perversa alla personalizzazione
e spettacolarizzazione della politica, secondo il modello statunitense da cui
sono tratte: una tendenza da noi sempre avversata perché incompatibile
con una effettiva pratica della partecipazione democratica. Consideriamo infine
un errore essere entrati nella "Grande alleanza democratica" senza
discuterne nel Partito e prima ancora di avere definito e concordato un programma
condiviso. Occorre urgentemente correggere questa situazione, esplicitando le
condizioni politiche necessarie all'ingresso VI CONGRESSO NAZIONALE PRC 11 di
Rifondazione Comunista in una coalizione di governo costituita dalle attuali
forze di opposizione. Non individuare alcune discriminanti programmatiche, oltre
le quali il necessario contributo unitario - senza riserve - alla sconfitta
di Berlusconi non può automaticamente trasformarsi in un ingresso del
Prc al governo equivarrebbe infatti a firmare una cambiale in bianco, tanto
più pericolosa ove si considerino i pesanti problemi di ordine economico
e politico ai quali dovrà far fronte l'esecutivo che succederà
al governo Berlusconi nella guida del Paese. Per parte nostra, consideriamo
essenziali alcune condizioni per una partecipazione del Prc al governo: - l'impegno
formale al rifiuto della guerra (che non sia azione di difesa da un'invasione
straniera), da chiunque promossa, Onu compresa; e il rifiuto, in caso di guerra,
di fornire basi militari, spazi aerei, supporti logistici alle operazioni belliche;
- l'abrogazione delle leggi più reazionarie varate dalla destra (legge
30; Bossi-Fini; riforma delle pensioni; leggi Moratti; leggi ad personam; legge
sulla procreazione assistita); - l' introduzione di un meccanismo automatico
per legge di recupero di salari, stipendi e pensioni, e la lotta all'evasione
fiscale (fissando obiettivi misurabili e progressivi di recupero del gettito
evaso); - una legge sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro,
che restituisca ai lavoratori l'ultima parola nelle decisioni che li chiamano
in causa; - l'istituzione di una "agenzia per il lavoro" che raccolga
risorse in parte precedentemente destinate a obiettivi non sostenibili (quali,
per esempio, il Ponte sullo Stretto), in parte reperite in sede europea, e le
finalizzi a investimenti produttivi per innalzare il tasso di occupazione (lavoro
stabile) e ridurre quello di disoccupazione, in particolare nel Mezzogiorno.
Nel caso di un esito insoddisfacente del confronto, pensiamo non possano essere
precluse a priori delle vie subordinate, le quali garantiscano comunque al "popolo
della sinistra" il raggiungimento di un assetto elettorale che consenta
di battere Berlusconi, pur in assenza di ministri comunisti nel futuro governo.
Non è evidentemente questo l'auspicio. E tuttavia, stante l'estrema fluidità
della situazione politica, non può essere adottata altra metodologia,
posto che ancora valga il principio: prima i programmi, poi gli schieramenti.
Questa linea, che è sempre stata quella del Partito, deve essere riconfermata.
TESI 16 LA "QUESTIONE MERIDIONALE" OGGI E IL RILANCIO DEL MEZZOGIORNO
Il tema del Mezzogiorno possiede un rilievo specifico nel quadro degli obiettivi
qualificanti l'azione di un nuovo governo di centrosinistra. Qualunque confronto
programmatico e culturale sul presente e sul futuro dell'Italia non può
quindi che trovare uno dei suoi temi qualificanti nella questione meridionale,
intesa come grande questione nazionale. La questione meridionale è stata
derubricata negli ultimi anni dall'agenda della politica a causa dei cedimenti
delle forze democratiche e dell'aggressività del blocco conservatore
che, seppur differenziato al suo interno sul piano degli interessi sociali e
territoriali, tende a ricompattarsi sotto la spinta antimeridionale della Lega.
Tale rimozione coincide - paradossalmente - con il continuo inasprirsi (nel
corso dell'ultimo decennio) di quel divario economico e sociale tra il nord
e il sud del Paese che, se di per sé costituisce un carattere originario
dello sviluppo capitalistico italiano, oggi si carica di connotati ancor più
dirompenti. Da un lato, infatti, pur di raggiungere i loro obiettivi, le forze
di governo si mostrano disponibili a percorrere persino la strada della divisione
del Paese; dall'altro, avendo acriticamente sposato la tesi della presunta fine
dello Stato nazionale, gran parte della sinistra sembra sottovalutare la gravità
dei pericoli che ne discendono. La strategia di tali forze - espressione di
un nuovo blocco di segno fortemente liberista e classista - affida al sud il
ruolo di un'area di "modernità squilibrata", di flessibilità,
di precarietà, di alti tassi di disoccupazione e di illegalità
diffusa. A riprova di ciò, l'attuale governo e le forze economiche dominanti
pensano al sud come un territorio in cui applicare la politica speculativa delle
grandi opere, di cui è esemplare testimonianza il faraonico progetto
del ponte sullo Stretto. In questo modello di governo, un ruolo chiave - di
controllo del territorio e di sostegno militare ai locali gruppi politici dominanti
- è affidato alle mafie e alla criminalità organizzata. Contro
di esse occorre sviluppare una battaglia che dev'essere assunta come questione
nazionale, poiché nelle regioni meridionali la sconfitta della mafia
siciliana, della camorra, della 'ndrangheta e della sacra corona unita è
essenziale per disarticolare il blocco di potere dominante e per affermare la
democrazia e lo sviluppo. Sempre più decisivo diviene infine, in questo
quadro, il ruolo dell'Europa che, con le sue politiche ispirate al "Patto
di Stabilità", penalizza le aree più deboli dell'intero continente
(a cominciare dai lavoratori agricoli del nostro Mezzogiorno). Contro il blocco
conservatore e le sue scelte, che rischiano di emarginare definitivamente le
regioni meridionali dai processi di sviluppo del Paese, è compito dei
comunisti oggi indagare le nuove specificità del Mezzogiorno: non solo
rilevarne i ritardi e metterne in evidenza la nuova funzione di laboratorio
di sperimentazione del più feroce neoliberismo, ma anche porne in risalto
i bisogni e le potenzialità. Nell'ambito della questione meridionale
occorre rilanciare la "questione sarda" attraverso il riconoscimento
dell'identità di un popolo e delle sue istanze di autogoverno. Occorre
valorizzare le risorse esistenti (il turismo, la cultura, l'ambiente), ma c'è
soprattutto bisogno di massicci investimenti per lo sviluppo del Mezzogiorno,
nella lotta contro la disoccupazione strutturale di massa e nei campi delle
politiche industriali, dell'agricoltura (potenziando le colture biologiche),
delle infrastrutture, della ricerca e dell'innovazione tecnologica, del credito,
dell'istruzione e della formazione culturale. L'intervento dello Stato - che
deve tornare ad essere centrale senza però ripetere le storture della
Cassa per il Mezzogiorno - va indirizzato verso il superamento di arretratezze
e ritardi che rischiano di divenire ancor più drammatici tra qualche
anno, quando il Mediterraneo diventerà un'area di libero scambio. Il
Sud ha bisogno di opere pubbliche capaci di disancorarlo dalla sua dipendenza;
basti pensare allo stato arretrato delle autostrade, alle condizioni infelici
delle linee ferroviarie, alle carenze di approvvigionamento idrico delle grandi
città, alle quali non sono estranei precisi interessi politico-mafiosi.
Per la rinascita del Mezzogiorno è necessario creare un vasto schieramento
di forze politiche e sociali e di movimenti che, a partire dalle mobilitazioni
operaie e popolari di Termini Imerese, Melfi, Scanzano, Rapolla e Acerra (espressioni
tra loro molto diverse, ma segni, tutte, di una nuova consapevolezza degli interessi
e dei diritti del Mezzogiorno), si ponga l'obiettivo di una profonda trasformazione
della società meridionale.
TESI 17 PER
UN PARTITO COMUNISTA CON BASI DI MASSA
La portata dei compiti che attendono Rifondazione Comunista in questa delicata
fase politica pone in primo piano l'esigenza di rafforzare il Partito nelle
sue strutture e nel suo radicamento sociale e territoriale. Di tale rafforzamento
è fondamentale premessa il mantenimento dei suoi elementi distintivi
e simbolici (a cominciare dal nome e dal simbolo con falce e martello), che
costituiscono importanti riferimenti per l'intero corpo dei militanti e dell'elettorato.
Nonostante in questi anni si siano sviluppati importanti movimenti e siano cresciuti
i consensi elettorali, ciò non ha determinato una crescita e un rafforzamento
del Partito. Da una parte aumentano i consensi d'opinione attorno al Partito
della Rifondazione Comunista; dall'altra calano gli iscritti (decine di migliaia
negli ultimi anni). La scarsa partecipazione alla manifestazione nazionale di
fine settembre è un ulteriore segnale d'allarme. Il Partito rischia di
divenire sempre più partito d'opinione e di immagine, macchina elettorale
e propagandistica, e sempre meno partito di organizzazione e di lotta, radicato
in modo militante sul territorio e nei luoghi del conflitto sociale. Le decisioni
sono assunte sempre più in alto, in un ristretto vertice, mentre la linea
viene spesso appresa attraverso dichiarazioni televisive e interviste alla stampa.
Condizioni aggravate da inaccettabili forzature quali sono state, ad esempio,
il commissariamento dell'intero Comitato regionale della Calabria o la mancanza
di pluralismo nelle rappresentanze parlamentari nazionali ed europee, dove quasi
metà delle culture politiche interne al Partito non sono rappresentate:
una circostanza che non ha paragoni in nessun'altra forza politica e che non
dovrà più ripetersi. Va dunque attuata una vera e propria rigenerazione
democratica del Partito, che esalti il carattere collegiale e unitario della
direzione politica. Unità, collegialità, democrazia, rispetto
delle diversità e ricerca della sintesi sono valori da affermare sia
nella cultura che nella pratica del Partito, e ciò presuppone una partecipazione
effettiva del corpo attivo del partito all'elaborazione della sua linea (che
è cosa assai diversa da una ratifica formale a posteriori). I circoli
debbono ridiventare non solo i luoghi principali dell'iniziativa politica sul
territorio, ma anche la sede dove si discutono le decisioni principali che il
Partito assume. È giusto criticare le cristallizzazioni correntizie,
ma occorre sapere che esse sono anche il prodotto del rifiuto pregiudiziale
della sintesi unitaria: un rifiuto che, mentre esaspera la rissosità
interna, provoca un grande spreco di esperienze e di capacità politiche.
Vanno valorizzate e rilanciate le strutture di base (circoli e federazioni),
motivandole e coinvolgendole maggiormente nella elaborazione delle decisioni
politiche e conferendo loro le risorse necessarie. A questo proposito è
emblematico il progressivo venir meno di sostegno organizzativo alle Federazioni
estere del Partito, luoghi di partecipazione politico-culturale dei comunisti
italiani all'estero. Se non si vuole che il necessario radicamento del Partito
nei luoghi di lavoro e di studio resti uno slogan privo di riscontri, si richiede
una massiccia concentrazione di sforzi e di risorse a tal fine. A ciò
va finalizzato in buona parte anche il tesseramento, troppo spesso inteso come
routine burocratica delegata a gruppi ristretti e non occasione preziosa di
collegamento con la società e con le sue istanze più dinamiche
e combattive che emergono dal conflitto sociale e di classe. Vanno riviste le
scelte che nello scorso congresso, in nome di una "innovazione" che
si è rivelata inconcludente, hanno portato ad un ridimensionamento di
tutto ciò che aveva a che fare con l'organizzazione: a partire dalla
soppressione emblematica dello stesso Dipartimento nazionale di organizzazione,
che andava semmai potenziato e arricchito, o dalla scelta di togliere i tesorieri
dalle segreterie, a tutti i livelli, con una svalorizzazione politica della
funzione strategica dell'autofinanziamento. Il Partito dispone di risorse significative:
mai, dal 1991, vi era stata una legge sul finanziamento pubblico "generosa"
quanto l'attuale. Queste risorse debbono essere maggiormente decentrate, al
fine di consentire a circoli e federazioni di rafforzare la costruzione del
partito nella società, dove la gente in carne ed ossa vive e lavora.
Un partito è tanto più democratico nella sua vita interna, quanto
più forti e influenti sono le sue organizzazioni di base. Va definita
una quota parte di finanziamento pubblico che, ogni anno, deve essere obbligatoriamente
investita per il radicamento capillare del Partito e delle sue sedi. Rafforzando
così, con l'organizzazione, anche la capacità di autofinanziamento,
oggi ancora del tutto inadeguata. Autonomia finanziaria è condizione
di autonomia strategica, ed essa verrebbe compromessa dall'eccessiva dipendenza
da modalità di finanziamento pubblico derivanti da un quadro politico
e istituzionale dominato dai partiti della borghesia. Occorre investire nel
lavoro di formazione, senza di che ogni discorso sul rafforzamento del Partito
è destinato a restare lettera morta. Non si dimentichi che una delle
condizioni che hanno contribuito alla "mutazione genetica" del Pci,
è stata l'affermazione nel partito e nei suoi organismi dirigenti di
una egemonia delle classi medie e delle ideologie di cui erano portatrici e
la progressiva emarginazione dei quadri comunisti e di classe più legati
alla produzione. Il necessario sostegno a Liberazione sarà tanto maggiore
quanto più ogni militante potrà percepirlo come strumento di informazione
di tutto il Partito. Ciò suppone che anche nel giornale si affermi il
principio di una direzione collegiale. Una maggiore informazione sul mondo del
lavoro e sulle forze comuniste e rivoluzionarie nel mondo, oltre che essere
formativa e sprovincializzante, contribuirebbe a colmare un deficit informativo
che riguarda quasi tutta la stampa italiana e potrebbe suscitare interesse anche
al di là dei confini di partito.
TESI 18 IL NOSTRO
RAPPORTO CON LA NOSTRA STORIA E LA BATTAGLIA CONTRO IL REVISIONISMO
Il tempo è maturo anche per una rinnovata forma di relazione con la storia
politica e culturale del movimento operaio e comunista. La molteplicità
dei riferimenti culturali può divenire una ricchezza per il Partito.
Ma perché questo avvenga, occorre evitare tanto difese acritiche, quanto
atteggiamenti liquidatori. È necessario porre un argine al revisionismo
storico, che da tempo ha conquistato posizioni anche a sinistra, cancella o
riduce le colpe della borghesia e del capitalismo e criminalizza la storia del
movimento operaio e comunista. Finché il revisionismo storico sarà
egemone, il capitalismo riuscirà a nascondere le proprie responsabilità
per la maggior parte delle pagine più oscure della storia moderna e contemporanea
(la tratta degli schiavi, la miseria delle masse proletarizzate, i genocidi
del colonialismo, le guerre mondiali, il nazifascismo e - oggi - la guerra preventiva
e permanente). Ciò di cui abbiamo bisogno è un bilancio critico
della storia del movimento operaio in 150 anni di lotta di classe. La critica
netta degli errori e dei processi degenerativi che hanno macchiato alcuni momenti
della storia del movimento comunista e del "socialismo reale" fa irreversibilmente
parte del nostro patrimonio culturale, politico e morale. Siamo consapevoli
della loro portata e delle gravi conseguenze che ne sono derivate anche per
chi non ha disertato la lotta nel nome del comunismo. Avvertiamo ogni giorno
l'esigenza di capire meglio ciò che è avvenuto, ciò che
non ha funzionato, ciò che ha infine determinato la sconfitta di grandi
esperienze storiche. Ma il necessario riconoscimento delle pagine buie della
storia del movimento operaio e comunista non ci impedisce di comprendere che
oggi il pericolo maggiore è di fuoriuscire da questa storia. A tale rischio
rispondiamo rivendicando la storia del movimento operaio e comunista, riconoscendola
come la nostra storia. Ricordarne i limiti non implica negarne i successi. L'Ottobre
bolscevico e la costruzione dell'Urss, la rivoluzione cinese, quella vietnamita
e quella cubana - per limitarci ad alcune tra le più importanti esperienze
del movimento comunista - hanno consentito la liberazione di sterminate masse
di donne e di uomini da condizioni di fame e di miseria e hanno rappresentato
il tentativo di costruire società alternative al capitalismo e orientate
verso il socialismo. L'importanza di queste esperienze non si è peraltro
esaurita all'interno dei Paesi che furono teatro di processi rivoluzionari.
Del resto, a chi nutrisse dubbi sull'aspetto prevalente dell'esperienza rivoluzionaria
del movimento comunista dovrebbe bastare riflettere sulle conseguenze mondiali
della scomparsa dell'Unione sovietica. Nei quindici anni che ci separano dalla
caduta del Muro di Berlino il mondo ha conosciuto un continuo radicalizzarsi
dei conflitti internazionali e inter-etnici, e ha assistito al ritorno della
guerra nella cronaca quotidiana, alla ricolonizzazione di interi Paesi, al dilagare
delle devastanti conseguenze sociali (povertà, schiavitù, lavoro
minorile, precarietà, epidemie) di un capitalismo selvaggio e senza regole,
al pesante arretramento del movimento operaio in tutto il mondo occidentale
e al peggioramento della condizione di vita e di lavoro delle donne. La storia
dell'umanità si troverebbe oggi a uno stadio ben più arretrato
se le rivoluzioni socialiste del Novecento non avessero segnato vaste aree del
mondo.
TESI 19 LA RESISTENZA, IL MOVIMENTO OPERAIO ITALIANO E IL PCI
Un importante capitolo della storia del movimento operaio e comunista è
costituito dalla battaglia antifascista, condotta già, in clandestinità,
durante gli anni della dittatura e culminata nella lotta partigiana di resistenza
e nella Liberazione, di cui quest'anno ricorre il 60° anniversario. Da questa
lotta di popolo, costata un elevatissimo prezzo di sofferenza e di sangue, hanno
tratto linfa vitale le democrazie europee nate nel dopoguerra, in particolare
nel nostro Paese, dove i costituenti comunisti e socialisti sono riusciti a
introdurre nella Carta costituzionale della nascente Repubblica lo spirito della
Resistenza e i valori di eguaglianza, giustizia sociale e libertà che
l'avevano ispirata. Consideriamo infondata la critica di avere edulcorato ("angelizzato")
l'immagine della Resistenza. Il recente attacco all'Anpi da parte del governo
Berlusconi dimostra come - sfruttando varchi aperti dalle propensioni revisionistiche
della sinistra moderata - le destre non rinuncino ad attaccare la lotta partigiana
che, al contrario, noi dobbiamo difendere e valorizzare. In Italia, sin dalla
elaborazione della Costituzione repubblicana, le organizzazioni del movimento
operaio - in particolare la Cgil e il Partito comunista italiano - hanno dato
un contributo determinante affinché la giovane democrazia italiana assumesse
connotati socialmente e politicamente avanzati. Dopo essere stato la colonna
della liberazione del Paese dal fascismo e la fucina di una coscienza democratica
di massa, il Pci ha saputo imporre la centralità dei diritti del lavoro
e dei diritti sociali, impedendo che la rapida modernizzazione del Paese comportasse
enormi costi sociali e integrando i più alti risultati della civiltà
borghese (lo Stato di diritto, il riconoscimento delle libertà politiche
e civili, la tutela delle garanzie giuridiche) con i valori dell'eguaglianza,
della partecipazione e dell'autogoverno delle masse popolari. Il processo di
graduale mutazione in senso socialdemocratico che ha segnato l'ultima fase della
storia del Pci, non cancella i meriti storici complessivi dell'esperienza del
comunismo italiano. Per questo appaiono gravissime le responsabilità
dei gruppi dirigenti che hanno favorito lo scioglimento del Pci. Riconosciamo
l'importanza dell'apporto fornito prima e dopo il '68, dai sindacati di base
e dalle culture critiche della sinistra anticapitalista e di classe. Le esperienze
di lotta che hanno preparato e accompagnato le lotte studentesche e operaie
degli ultimi anni Sessanta e degli anni Settanta hanno contribuito in misura
rilevante alla crescita culturale del movimento operaio, promuovendo il riconoscimento
di nuove istanze, l'incorporazione di nuove soggettività e l'apertura
di nuovi orizzonti critici (il femminismo, l'ambientalismo, l'analisi del carattere
di classe dello sviluppo scientifico e tecnologico) che hanno reso ancor più
efficace la critica di classe dello sfruttamento capitalistico.
TESI 20 I NOSTRI
RIFERIMENTI CULTURALI
È necessario valorizzare il grande patrimonio di idee, di intuizioni
teoriche, di analisi scientifiche che nel corso degli ultimi centocinquant'anni
hanno conferito rigore ed efficacia all'analisi di classe, alla critica del
capitalismo e alla pratica rivoluzionaria del movimento operaio e comunista.
Consideriamo fondamentale in questo senso l'analisi del modo di produzione capitalistico
svolta da Marx ed Engels, che ha consentito di trasformare in una forza di mutamento
politico il sentimento dell'ingiustizia sociale; il contributo teorico di Lenin,
al quale dobbiamo, tra l'altro, l'allargamento della visuale critica all'intero
pianeta e un'analisi del colonialismo e dell'imperialismo ancor oggi importante
per decifrare i conflitti internazionali; la riflessione di Gramsci, che ci
ha insegnato, da una parte, a misurarci con la complessità dei contesti
sociali (e quindi con la peculiare articolazione della lotta rivoluzionaria
in Occidente), dall'altra, a concepire il Partito comunista come una comunità
dirigente e militante che vive di democrazia interna e di partecipazione. Ma
se i riferimenti strategici non possono essere numerosi, innumerevoli sono invece
gli apporti interni ed esterni alla storia del movimento operaio dai quali abbiamo
tratto - e traiamo - suggerimenti, conoscenze e spunti di riflessione. Ci sforziamo
di valorizzare al meglio, nella nostra concreta pratica politica, i contributi
che ci provengono dalle culture e dalle esperienze critiche della sinistra -
dal femminismo all'ecologismo, dal movimento contro la globalizzazione capitalistica
e il neoliberismo al movimento per la pace - nei quali scorgiamo un contributo
irrinunciabile alla critica del capitalismo. I più recenti contraccolpi
dell'industrializzazione (e anche il gigantesco impatto ambientale prodotto
dal massiccio impiego di armamenti sempre più sofisticati) impongono
oggi l'adozione di criteri ancor più rigorosi. Non si tratta più
di attestarsi sul limite della "sostenibilità" ambientale della
crescita, ma di ripensare radicalmente il modello di sviluppo - ridiscutendone
finalità e obiettivi - secondo standard ecologici: cioè riconoscendo
nell'ecosistema naturale non tanto un vincolo, quanto un modello funzionale
dal quale trarre elementi utili anche ai fini della configurazione dei sistemi
economico-sociali. Quanto al pensiero e alla pratica politica delle donne, i
contributi che da essi provengono al movimento di classe non si limitano al
terreno dei conflitti di lavoro, che vedono le donne portatrici di una lunga
esperienza relativa alle più attuali forme dello sfruttamento capitalistico
(precarizzazione, dequalificazione professionale, lavoro irregolare e sommerso,
indistinzione tra tempi di lavoro e tempi di vita). Di straordinaria rilevanza
sono anche gli apporti della elaborazione femminile alle lotte per la pace,
la libertà e la giustizia sociale, tematiche in merito alle quali le
donne e i movimenti femministi hanno prodotto irreversibili innovazioni culturali:
dal riconoscimento della imprescindibilità di una riflessione sulla differenza
di genere, alla consapevolezza delle connessioni tra diritti sociali e libertà
civili; dalla critica dei gravi effetti regressivi della rappresentanza politica
monosessuata, alla comprensione dei meccanismi strutturali che presiedono alla
subordinazione sessista e delle analogie che la assimilano alla discriminazione
razzista. Di tutti questi contributi ci sforziamo di avvalerci in vista di quello
che resta l'obiettivo fondamentale della nostra ricerca: l'attualizzazione e
il continuo sviluppo dialettico di una teoria e di una pratica comunista all'altezza
dei tempi, capace di orientare l'analisi di fase sul piano mondiale e nazionale,
e di individuare gli strumenti più efficaci nella lotta per il superamento
del capitalismo e per la costruzione del socialismo.
TESI 21 IL NOSTRO
IMPEGNO PER L'INNOVAZIONE
Siamo consapevoli della necessità di aggiornare continuamente il nostro
bagaglio culturale e la nostra strumentazione teorica. Non per questo condividiamo
l'ansia di proclamare ad ogni piè sospinto presunte discontinuità
e rotture, tanto più se consideriamo i ripetuti tentativi di "innovazione"
susseguitisi in questi anni e risoltisi nella riesumazione delle più
vecchie e consunte ideologie del movimento operaio. Abbiamo assistito al recupero
delle approssimazioni proudhoniane, delle ingenuità dei socialisti utopisti,
dell'avventurismo anarco-sindacalista. Abbiamo ascoltato prediche sulla malvagità
del mondo moderno alle quali ben si attaglierebbe la critica rivolta da Gramsci
a quel cattolicesimo reazionario che quanto più retrocede nella storia,
tanto più si imbatte in uomini perfetti. Da ultimo - quasi che il tema
all'ordine del giorno sia l'autocritica del movimento operaio e non la critica
del capitalismo e delle nuove forme di sfruttamento e di dominio - siamo stati
raggiunti da appelli moralistici alla nonviolenza nei quali si disperde la memoria
storica (si dimentica che i comunisti nascono votando contro i crediti di guerra
e vivono lottando contro la violenza sistematica del capitalismo) e si confondono
aggressione, resistenza e difesa in un tutto indistinto. Infine abbiamo registrato
il rifiorire di una improbabile critica del potere che scorge oppressione ovunque
ed esorcizza il non eludibile problema della natura di classe del potere politico,
del governo dei processi di trasformazione e della difesa dei loro risultati.
Non ci sembra che "innovazioni" di questo genere aiutino la nostra
lotta. Abbiamo e proponiamo una concezione diversa dell'innovazione. Che non
prescrive soluzioni calandole dall'alto, ma vive di uno stile di lavoro partecipato
e collettivo. E che non comporta il rigetto dell'esperienza storica del movimento
comunista, ma quel continuo rinnovamento che ha consentito ai comunisti di fornire
un contributo decisivo alle lotte del proletariato in tutto il mondo. La vera
innovazione consiste nella difficile impresa di confrontarsi con i nuovi orientamenti
teorici e culturali senza smarrire il filo della lotta di classe contro il capitalismo
e della solidarietà con le lotte di resistenza e di liberazione dei popoli;
nel vivere col massimo impegno le esperienze di movimento perseguendo al tempo
stesso l'obiettivo della ricomposizione di classe; nel saper valorizzare, senza
settarismi, ogni contributo di idee e di esperienza che possa aiutare la costruzione
di un "nuovo mondo possibile".
TESI 22 LA NOSTRA BATTAGLIA PER IL SOCIALISMO, "NUOVO MONDO POSSIBILE"
Oggi la parola "comunismo" evoca più un tema di ricerca che
una soluzione. Né basta affermare che "un altro mondo è possibile":
bisogna sforzarsi di dire come vogliamo che questo nuovo mondo sia fatto. Ciò
non con la pretesa di pregiudicare il futuro, ma con la consapevolezza che l'immagine
degli obiettivi interviene concretamente qui e ora nella costruzione della pratica
politica. Motivando le azioni, mobilitando le coscienze, ricaricando le speranze.
Qualunque riflessione sulla prospettiva non può non partire dalla presa
d'atto della inedita contraddizione che connota il tempo presente. Per la prima
volta nella storia, l'umanità dispone oggi delle conoscenze scientifiche
e dei mezzi tecnici sufficienti a garantire una vita degna a tutti gli esseri
umani. Ma - non certo per caso - questa è anche l'epoca delle più
sconvolgenti disuguaglianze nelle quali si riflettono l'essenza più propria
del capitalismo e - al tempo stesso - il suo fallimento epocale. Non si tratta
di un caso. Già il giovane Marx osservava che, raggiunto il limite delle
proprie capacità espansive, la borghesia capitalistica non esita a distruggere
le forze produttive pur di conservare il dominio sulla società. A questa
intuizione Lenin e Gramsci avrebbero aggiunto il portato della propria esperienza:
la consapevolezza che, pur di conservare uno stato di cose storicamente superato,
il capitalismo non arretra dinanzi a nulla, nemmeno al ricorso alla violenza
militare nelle relazioni internazionali (l'imperialismo, il colonialismo, la
guerra totale) e ai fini dello stesso governo politico delle società
(il fascismo). E tuttavia la violenza non basta a governare; di per sé,
il dominio non genera consenso. Pur lontano dall'essere in rotta, oggi il capitalismo
appare in seria difficoltà ad estendere su scala mondiale e con mezzi
pacifici, la propria egemonia. In tutto il pianeta si diffonde la coscienza
dei danni irreparabili che esso produce nelle relazioni sociali, nella vita
quotidiana di persone e popoli, nello stesso ambiente naturale. Qui si aprono
ampi varchi per la nostra battaglia politica e culturale. Si tratta di sapere
capire i bisogni di massa e poi di immaginare risposte pertinenti. È
un compito arduo, ma - lo si è detto - non partiamo da zero. Conosciamo
in primo luogo i valori ai quali rifarci: la pace; l'autonomia di ciascun popolo
e l'internazionalismo; la libertà e la dignità di ogni persona;
l'abolizione dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo; il rispetto del
mondo vivente e della natura. Da qui derivano alcuni importanti obiettivi ai
quali ispirare la nostra lotta contro lo sfruttamento capitalistico, il razzismo
e l'ingiustizia sociale: la nostra lotta per la trasformazione in senso socialista
della società, in vista della costruzione del comunismo. Occorre combattere
senza tregua per il riconoscimento universalistico dei diritti sociali e civili.
Non permetteremo che, pur di puntellare il proprio dominio, la borghesia distrugga
le sue stesse conquiste: lo Stato costituzionale di diritto, le garanzie giuridiche,
le libertà politiche dello Stato democratico. E non ci fermeremo fino
a quando in Italia, in Europa, in tutto il mondo resterà anche un solo
individuo al quale fosse ancora negato il diritto a un'infanzia serena, a un
lavoro sicuro e dignitoso, alla casa, all'assistenza sanitaria, all'istruzione,
a una informazione completa e obbiettiva, a una vecchiaia indipendente e protetta.
E anche alla gioia che discende dal gioco, dalla cultura e dall'esperienza artistica.
I progressi tecnologici rendono attuale l'obiettivo di una universale fruizione
del patrimonio culturale e artistico dell'umanità: nella vita di ciascuno
può esservi il tempo per leggere, osservare, ascoltare; e per imparare
a comprendere il senso e la bellezza di ciò che in passato fu appannaggio
esclusivo dei potenti e dei ricchi. Anche questo oggi è un diritto inalienabile
di ciascuno. Ma siamo comunisti anche - soprattutto - perché l'esperienza
ci conferma nel convincimento che non c'è possibile liberazione senza
liberazione del lavoro e dal lavoro, e che non c'è possibile autonomia
del lavoro finché i fondamentali mezzi di produzione (comprese le risorse
naturali suscettibili di entrare nei processi produttivi) restano sotto controllo
privato. La scoperta marxiana della radice strutturale del dominio capitalistico
conserva tutta la propria verità. Non è un caso che sempre e ancor
oggi le più affilate armi ideologiche dell'avversario siano rivolte proprio
contro di essa e contro l'analisi di classe che in base ad essa il movimento
operaio e comunista ha condotto sul piano teorico e pratico. Noi rimaniamo saldamente
ancorati a questo principio e da questo principio traiamo un limpido indirizzo
di marcia. Siamo consapevoli che è una battaglia dura e di lunga lena,
e che non sempre ci è concesso di scegliere le armi e i modi con cui
combatterla. Ma noi intendiamo perseguire questa prospettiva storica di liberazione
dell'umanità che rappresenta il fondamento irrinunciabile del nostro
essere comunisti.
FIRMATARI
Claudio Grassi (Segreteria nazionale), Giovanni Pesce (Cpn, Medaglia d'Oro alla
Resistenza), Giuseppe Abbà (Segretario Federazione di Pavia), Ludmila
Acone (Segretaria Circolo Prc di Parigi), Marco Amagliani (Assessore Regione
Marche), Romina Ambrogio (Cpn, Comitato politico federale di Torino), Antonio
Assogna (Assessore Provincia di Teramo), Jone Bagnoli (Comitato politico federale
di Milano), Mauro Belisario (Amministratore Delegato di Liberazione), Pino Bevilacqua
(Segretario Federazione di Crotone), Fulvia Bilanceri (Cpn, Giovani Comunisti
Livorno), Sergio Bovicelli (Assessore Provincia di Grosseto), Bianca Bracci
Torsi (Direzione nazionale), Nori Brambilla Pesce (Presidente Associazione nazionale
Deportati di Milano), Angelo Broccolo (Segretario Federazione di Cosenza), Pierfrancesco
Bruno (Fiom Abruzzo), Tonino Bucci (Giornalista di Liberazione), Alberto Burgio
(Cpn, Responsabile nazionale Giustizia e Legalità), Maria Rosa Calderoni
(Giornalista di Liberazione), Emanuele Camacci (Segretario Federazione di Rieti),
Maria Campese (Assessore Comune di Barletta), Igor Canciani (Capogruppo Regione
Friuli Venezia Giulia), Mimmo Caporusso (Segreteria Federazione di Bari), Roberto
Cappellini (Segretario Federazione di Pistoia), Guido Cappelloni (Direzione,
Presidente Collegio Nazionale di Garanzia), Andrea Carrara (Segreteria Federazione
Versilia-Viareggio), Giuseppe Carroccia (Segreteria regionale Lazio), Bruno
Casati (Direzione nazionale, Assessore Provincia di Milano), Andrea Catone (Storico
del movimento operaio, Cpf Federazione di Bari), Pino Ciano (Segreteria Federazione
Reggio Calabria), Mauro Cimaschi (Cpf di Crema, Direttore Editoriale rivista
l'ernesto), Francesco Cirigliano (Federazione di Potenza), Mario Contu (Consigliere
Regione Piemonte), Antonio Costa (Collegio provinciale di Garanzia di Milano),
Lucio Costa (Comitato politico Federazione Padova), Tina Costa (Partigiana,
Cpf Federazione di Roma), Celeste Costantino (Cpn, Coordinatrice Giovani Comunisti
Reggio Calabria), Stefania Crippa (Segreteria Federazione Brianza), Stefano
Cristiano (Cpn, Assessore Comune di Pistoia), Pio De Angelis (Consigliere Regione
Friuli Venezia Giulia, Segreteria regionale), Costantino De Capitani (Segretario
Federazione di Lecco), Fulvio De Cesare (Comitato politico federale di Foggia),
Salvatore Distefano (Comitato regionale Sicilia), Giuseppe Fadda (Consigliere
regionale Sardegna), Ilich Farabegoli (Presidente Comitato politico federale
di Ravenna), Gianni Favaro (Direzione nazionale, Responsabile nazionale Feste),
Maurizio Federico (Federazione di Frosinone), Alessandro Fucito (Consigliere
Comune di Napoli), Savio Galvani (Coordinatore nazionale sindacato ferrovieri
Orsa), Pier Paolo Gambuti (Segretario Federazione di Rimini), Rita Ghiglione
(Direzione nazionale, Fiom La Spezia), Agostino Gianelli (Consigliere Provincia
di Genova), Fosco Giannini (Cpn, Segretario Federazione Ancona, Direttore rivista
l'ernesto), Beatrice Giavazzi (Vice Presidente Collegio Nazionale di Garanzia),
Orfeo Goracci (Sindaco di Gubbio), Yassir Goretz (Coordinamento nazionale Giovani
Comunisti), Marcello Graziosi (Segreteria regionale Emilia Romagna), Damiano
Guagliardi (Direzione nazionale, Capogruppo Regione Calabria), Franco Izzo (Segreteria
Federazione di Torino), Kiwan Kiwan (Segretario Federazione di Ferrara), Giancarlo
Lannutti (Giornalista di Liberazione), Paola Lanzi (Consigliere Regione Sardegna),
Alessandro Leoni (Cpn, Direzione regionale Toscana), Antonello Licheri (Segretario
Federazione Sassari, Capogruppo Regione Sardegna), Letizia Lindi (Cpn, Coordinamento
nazionale Giovani Comunisti), Aldo Lombardi (Cpn, Segretario Federazione di
La Spezia), Arcangelo Longo (Segretario Federazione di Messina), Domenico Losurdo
(Cpn, Professore ordinario Università di Urbino), Ezio Lovato (Segretario
Federazione di Vicenza), Gianni Lucini (Giornalista di Liberazione), Vittorio
Macrì (Segretario Federazione Sulcis-Iglesiente), Cesare Mangianti (Cpn,
Presidente Consiglio Provincia di Rimini), Giovanni Maraia (Segretario Federazione
di Avellino), Francesco Maringiò (Coordinatore Giovani Comunisti di Bologna),
Federico Martino (Segreteria regionale Sicilia, Docente universitario), Leonardo
Masella (Cpn, Capogruppo Regione Emilia Romagna), Vladimiro Merlin (Cpn, Segreteria
Federazione di Milano), Renata Moro (Cpn, Federazione di Treviso), Francesco
Nappo (Presidente Comitato regionale Campania), Mauro Natalini (Segretario regionale
Molise), Saverio Nigretti (Presidente Centro Culturale "Concetto Marchesi"
di Milano), Alfredo Novarini (Segreteria regionale Lombardia), Sergio Olivieri
(Assessore Comune di La Spezia), Velio Ortu (Segretario regionale Sardegna),
Giovanniantonio Orunesu (Segretario Federazione Gallura), Costanza Pace (Cpn,
Segreteria Federazione di Pavia), Alessandro Pallassini (Segreteria regionale
Toscana), Gianluigi Pegolo (Direzione nazionale, Responsabile Dipartimento Enti
Locali), Iris Pezzali (Cpn, Segreteria Federazione di Mantova), Marilde Provera
(Deputata), Emanuele Pusceddu (Coordinatore regionale Giovani Comunisti Sardegna),
Sergio Ricaldone (Comitato politico federale Milano), Francesco Rozza (Segreteria
Federazione di Caserta), Michele Rubino (Segretario Federazione di Forlì),
Giuseppe Sacchi (Già Deputato, Presidente Comitato regionale Lombardia),
Maddalena Salerno (Assessore Regionale Sardegna), Angelo Sanchini (Segretario
Federazione di Siena), Roberto Sconciaforni (Cpn, Segretario Federazione di
Bologna), Giuliana Licia Sema (Cpn, Segreteria regionale Friuli Venezia Giulia),
Marco Sferini (Direzione Federazione di Savona), Ezio Simini (Cpf Federazione
di Vicenza), Vincenzo Siniscalchi (Presidente Sindacato Unitario Lavoratori
Trasporti Sult), Enzo Sobrino (Segreteria regionale Piemonte), Fausto Sorini
(Direzione nazionale, Resp. Dip. Ricerche di Storia e Teoria politica), Ilaria
Sorrentino (Cpn, Capogruppo Provincia di Novara), Bruno Steri (Cpn, Dipartimento
Esteri), Silvana Stumpo (Cpn, Segreteria Federazione di Cosenza), Rocco Tassone
(Segreteria Federazione di Cosenza), Giuseppina Tedde (Direzione Nazionale,
Assessore Provincia di Bologna), Federico Tornabuoni (Segreteria Regione Liguria),
Alessandro Trotta (Segretario Federazione Livorno), Alessandro Valentini (Dipartimento
Movimenti), Piero Valleise (Segretario Regione Valle D'Aosta), Sergio Vallero
(Presidente Consiglio provinciale di Torino), Giuseppe Vavalà (Comitato
politico regionale Calabria), Stellina Vecchio Vaia (Partigiana, già
Deputata), Andrea Venturi (Cpf Pisa, Consigliere comunale di S.Giuliano Terme),
Stefano Verzegnassi (Segreteria regionale Friuli Venezia Giulia), Alessandro
Volponi (Segretario Federazione di Fermo), Maurizio Zamboni (Assessore Comune
diBologna)