Il Manifesto - 01.04.98
IERI A MILANO I FUNERALI DI PRIMO MORONI
UN ADDIO CANTATO
- MANUELA CARTOSIO - MILANO
Fuochi d'artificio a mezzogiorno, a luce piena. Il massimo rovesciamento del senso comune, il massimo della gratuità e del disinteresse. Sparati al funerale di Primo Moroni, uno che al tornaconto personale non ha mai badato, in piazza Sant'Estorgio, di fronte alla prima sede della libreria Calusca, fondata nel '71. Lì adesso c'è un ristorantino cinese e va bene così, anche il cibo è cultura e stimola i meticciamenti.
Più di mille persone hanno salutato l'hermano, il maestro, l'amico, l'intellettuale, il compagno, l'organizzatore di cultura, il grande narratore di Milano. Bandiere rosse del comunismo senza simboli di partito, bandiere rossonere dell'anarchia. Sinistre plurali per storie e generazioni. Dalla medaglia d'oro della Resistenza Giovanni Pesce ai ragazzi dei centri sociali, da Prospero Gallinari al segretario della Camera del lavoro Antonio Panzeri, da Pietro Valpreda al giuslavorista Pietro Ichino (anche lui, a suo modo, è un estremista), dal poeta Francesco Leonetti al giornalista Gad Lerner, dall'avvocato Giuliano Spazzali ad alcuni magistrati. C'erano gli ex ladri - gli artisti del furto con destrezza - e gli ex (?) sovversivi del pensiero. C'erano pure i poliziotti in borghese venuti a rendere omaggio a uno che, pur stando saldamente dalla parte opposta, è stato un grande mediatore sociale. Una città intelligente avrebbe assegnato a Primo un vitalizio, per tutti i guai e i disastri che le ha risparmiato. Non l'ha fatto, e anche questo va bene così. C'era un questore vicario, ma non c'erano - almeno non ne abbiamo visti - esponenti del Pds. E questo non va bene così, è una conferma più che della miopia della quercia milanese della sua sostanziale inesistenza.
I vecchi hanno lasciato ai giovani del Cox 18 la regia dell'ultimo saluto. I primi piangevano, i secondi anche. Però i giovani - in questo assomigliando al Primo provetto ballerino - hanno più dimestichezza con i loro corpi. Si stringevano e si toccavano per darsi conforto per una morte "normale", ma crudelmente in anticipo. E' stato un funerale sonoro, fatto soprattutto di parole cantate e recitate. La colonna sonora registrata l'ha aperta l'Internazionale di Fortini, cantata da Ivan della Mea e si è chiusa con una poesia di Fortini recitata da Primo: "Cercare i nostri eguali osare riconoscerli lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati con loro volere il bene fare con loro il male e il bene la realtà servire negare mutare". In mezzo, le canzoni degli anni 60-70. Un ragazzo di strada dei Corvi e la Ballata di Pinelli, Che colpa abbiamo noi? e Liberare tutti. Qualche settimana fa quel verso "liberare tutti vuol dire lottare ancora" l'avevamo ascoltato intonato a mezza voce in un programma televisivo sul '68 da Oreste Scalzone, esule a Parigi, seguito da un minuto di silenzio e da un primo piano sul suo volto scavato. Le lacrime private notturne ieri hanno dato la mano a lacrime pubbliche collettive, quindi più sopportabili. Abbiamo riascoltato le canzoni delle nostre speranze e dei nostri errori, volutamente non occultati: ad esempio, "l'ora del fucile" che venne, ma non fu come l'avevamo immaginata. E poi le canzoni anarchiche, "e il vaticano brucerà con dentro il papa" sparata al massimo sul sagrato di una chiesa non è suonata come bestemmia ma come citazione di una radice storica.
Il corteo è arrivato in corso San Gottardo, al numero 12 si spalanca la teoria di cortili che ha fatto da sfondo a Primo nel recente documentario Malamilano. L'altoparlante diffonde "nostra patria è il mondo intero", a sottolineare la congiunzione nella vita di Primo del piccolo (il quartiere di porta Ticinese) e del grande (il mondo). In via Conchetta il feretro fa tappa sotto l'androne della Calusca City light dove uno striscione dice "Grazie Primo" e un altro garantisce "Non si spengono le luci della città". Anche qui un altro cortile, una pedana per l'orchestrina e qualche tavolino. Contemporaneamente luogo del passato - possibile scenario di una merenda urbana di un 1 maggio clandestino sotto il fascismo - e luogo reale seppur transitorio del presente, dell'aggregazione giovanile.
Al cimitero di Chiaravalle, intorno a una provvisoria fossa comune, il pugno più ostinatamente alzato è quello del ragionier Giancarlo Zuccotti, che per anni ha cercato di far tornare i conti che non tornavano mai delle cento imprese editoriali di Primo. Che la coerenza sia diventata una virtù solo dei ragionieri?