Il Manifesto - 01.04.98

WB01343_.gif (599 bytes)


MEMORIA
PRIMO MORONI, UNA VITA IN MOVIMENTO 
"Avessi studiato da giovane avrei il corpo meno ferito e saprei solo
piccole verità...". E' morto domenica notte nella sua casa di Milano il
"libraio" della sinistra antagonista e ribelle 
- LIVIO QUAGLIATA - 
I n una sola mattinata, nella sua stanza all'ultimo piano dell'Istituto dei
Tumori di Milano - reparto terapia del dolore - potevi veder passare
persone tanto diverse da non riuscire a credere che fossero tutte lì per
lui, per Primo Moroni. Passavano ragazzine, con orecchini appesi
dappertutto tranne che ai lobi; distinti sessantenni, signore in pelliccia,
ragazzi con i capelli gialli sparati verso il cielo; passavano anche ex
ladruncoli ora in pensione, rappresentanti della "leggera" milanese, osti e
cantanti, ballerini in disarmo, anziane maestre, e insegnanti, giovani
cibernetici, e professori universitari, ricercatori, ubriaconi, drop out in
ghingheri per l'occasione. Poi capitava che il primario, incuriosito da
quell'andirivieni, mettese il naso nella stanza ed esclamasse "Moroni, ma
che ci fai tu qua!": aveva studiato sui libri diffusi dalla Calusca negli
anni Settanta, su quei libri aveva imparato la geografia e la storia,
ancora li conserva come un'intera generazione ha fatto. E poi la sera - in
quel reparto d'ospedale dall'aria tanto familiare - erano le infermiere di
turno a sedersi accanto al letto di Moroni che non riusciva a prender
sonno: se ne stavano là per ore e ore affascinate da quel suo modo di
raccontare, saltando di pala in frasca, inchiodate a storie di cui poco o
nulla sapevano, finestre spalancate su un mondo fantastico, a tratti
ridicolo e soprattutto molto divertente o che lui riusciva a rendere tale.
In poche righe tutto questo era Primo Moroni, e chi non lo ha conosciuto,
chi non ha avuto la fortuna di incrociarne il passo, ha perduto forse molto
più di chi invece ne era amico, fratello, compagno di strada, amante, cliente.
Moroni è morto domenica notte, nella casa che divideva con Anna e la
piccola Chiara, a Milano, intorno alle tre. I funerali si terranno questa
mattina alle 11 in piazza Sant'Eustorgio, nel cuore del quartiere Ticinese
dove nel 1971 era nata la libreria Calusca. Un breve corteo toccherà i
luoghi a lui più cari, e terminierà nel cortile fiorito del centro sociale
Cox 18, ultima sede della libreria "City Lights", così chiamata in omaggio
a quella storica, beat, del suo amico Ferlinghetti da San Francisco. Poi,
la sepoltura nel cimitero di Chiaravalle, non distante dall'osteria di
Pelé, altro luogo storico per canzoni e sbronze.
E' possibile che oggi i più leghino il nome di Primo Moroni alle vicende
dei centri sociali, magari al Leoncavallo che di tanto in tanto conquista
le prime pagine dei giornali, oppure ancor più vagamente ai punk, agli
"autonomi". Noi stessi, in una delle molte interviste o chiacchierate,
avevamo definito Moroni "lo zio dei centri sociali milanesi". Lo avevamo
fatto per comodità, per non dover scrivere ogni volta "libraio", "acuto
osservatore dei movimenti giovanili", o altro ancora. Moroni non se la
prese - "sempre meglio zio di nonno" - ma quella definizione amichevole
appiattiva la sua vita e la sua storia, per meschino gioco giornalistico
concentrava l'attenzione su uno solo, il più recente, dei mondi che aveva
incontrato, studiato e vissuto.
Primo Moroni aveva sessantadue anni, e nella sua vita aveva fatto di tutto,
persino l'investigatore privato. Era nato in toscana, in Val Di Nievole, da
una famiglia di contadini "che come tutti sanno - scriveva nella veloce
biografia raccolta da Cesare Bermani e pubblicata su Primomaggio nel 1982 -
fanno prima i camerieri e poi finiscono per aprire una trattoria o un
ristorante a Milano". La trattoria del padre di Primo era in via Ripamonti
al centodiciannove, e qui, da ragazzino, nel primo dopoguerra, conosce i
primi operai e i primi comunisti. "Così", nel 1953, prende la tassera del
Pci e comincia a frequentare la sezione di via Bellezza. Ma
contemporaneamente scopre anche altro: "Vicino alla sezione c'era una sala
da ballo, Il Principe di viale Bligny", e così Moroni comincia a ballare.
In verità prova anche ad andare a scuola - avviamento professionale - ma
"poi lì ho dato una martellata a un professore e mi hanno espulso".
D'obbligo, allora, il lavoro nella trattoria del padre che nel frattempo è
diventata un ristorante e non sta più in Ripamonti ma in via Larga quando
via Larga era ancora una grande strada popolare dentro a un quartiere di
malavita, il Bottonuto: "un quartiere con quattro vie e una piazza, tre
case di tolleranza e molta malavita". E allora Moroni si ritrova a
frequentare la sezione del partito e le prostitute, i clienti intellettuali
e industriali e i randa del quartiere, a essere nello stesso istante
giovane militante comunista, ballerino e cameriere. Cameriere? No, molla il
padre e - in una gerarchia di ruoli che ricorda l'Orwell di Parigi e Londra
- è prima commis nel prestigioso Don Lisander, poi demi-chef da Alfio "dove
si serviva in smoking e guanti bianchi", quindi Chef de rang al Negresco di
Nizza, sulla Promenade. E prova il brivido dei night-club, il piacere di
indossare quelle "camice bianche che uscivano dalla giacca e facevano un
bell'effetto", come quelle dei suoi facoltosi clienti. Poi, per andare in
sezione si cambiava, e leggeva con orrore Klim Samglin di Gorkij amando
invece Steinbeck, Dos Passos, gli esistenzialisti francesi, scimmiottando i
quali, indossando un maglione nero e assumendo un atteggiamento triste, si
poteva "rimorchiare" nelle sale da ballo. A furia di frequentarle e di
prendere lezioni - i "fondamenti scientifici della danza" - vince il
campionato europeo di charleston in Olanda, mentre per un pelo perde la
finale di rock and roll a Lione. Il partito naturalmente gli sta stretto,
ma nel '56 difende la Camera del Lavoro dagli studenti armati di bandiere
tricolori, e nel luglio '60 è a Genova con la "maglietta a righe". A
cavallo degli anni Sessanta la Casa della cultura di Rossana Rossanda è una
ventata d'aria fresca che per un po' colma quel "divario tra i bisogni di
crescita della mia generazione di comunisti e lo schema ideologico del
partito". Anni straordinari che avrebbero preparato il '68, Moroni legge
Mondo Beat ma anche i Quaderni piacentini: "Ci ho messo almeno sei anni a
capire che cazzo era questa nuova cultura politica, tanto ero radicato in
quell'altra. Anche se ormai era diventato un mio fatto privato e a quel
punto la tenevo per me interamente". Basta con il Pci e con quella
politica, Primo apre il "Si o si club", per un po' lavora all'Olivetti e
poi arriva la Calusca. Qui comincia un'altra vita che poi ha sempre la
stessa impronta, la stessa miscela vitale. Da qui nasce l'esperienza della
rivista Primomaggio e qui vengono aperte le porte ai punk; da qui l'impegno
per produrre i materiali per i corsi delle 150 ore, qui il punto di
osservazione privilegiato per capire i circoli del proletariato giovanile
che nascono in città; qui lo studio attento di una metropoli che cambia e
che oggi tutti chiamano "postfordista", la scelta di riaprire la libreria
in un centro sociale, la battaglia per i detenuti politici, l'Orda d'oro
con Balestrini, antologia di vent'anni di movimenti, e poi, e poi...
Il fatto è che Primo Moroni era una forza della natura, un uomo sempre in
movimento e perciò raffinatissimo studioso - "traduttore", ha detto ieri
Paolo Virno - di ogni cosa che nella società si muove e si ribella. Lo ha
scritto lui, in una poesia spedita all'amico Ivan Della Mea:
"Avessi studiato da giovane/avrei il corpo meno ferito/e saprei solo
piccole verità".
WB01343_.gif (599 bytes)