FRIGIDAIRE - n. 1 (aprile/maggio)
Trent'anni dopo il '68, un ritorno clandestino, ma da uomo libero...
AUTOAMNISTIAMOCI! di Vincenzo Sparagna
VIAGGIO IN ITALIA Sul filo della memoria. Ultimo domicilio conosciuto Regina Coeli. Le emozioni del ritorno, i ricordi del '68, frammenti, impressioni e pensieri registrati in giro per Roma di Oreste Scalzone
VALLE GIULIA - Mi domando perché non sono venuto prima di Oreste Scalzone
Quando io pensavo Brigate Rosse - Amnistia non è amnesia di Enrico Porsia
IO RIVENDICO . di Oreste Scalzone - Nego gli addebiti, ma da queste accuse non mi sento diffamato. Processo Comitati Comunisti Rivoluzionari/Prima Linea - Alla III Sezione Penale della Corte d'Assise di Milano (1986)
CHI HA PAURA DELL'AMNISTIA? di Oreste Scalzone
Emergenza e stato d'eccezione di Oreste Scalzone
AUTOAMNISTIAMOCI! di Vincenzo Sparagna
Marzo 1998. Trent'anni dopo la storica "battaglia" di Valle Giulia, in cui il movimento del '68 si manifestò in tutta la sua radicalità, Oreste Scalzone, indiscusso leader di quel periodo, ha deciso di tornare dal lunghissimo esilio in Francia (che dura dal 1982) per venire a dire a Roma, proprio a Valle Giulia, la sua verità sugli anni di piombo, l'emergenza infinita che ne è seguita, le inverosimili, ma concrete, code giudiziarie che ancora imprigionano corpi e spiriti
L'aveva promesso, l'ha fatto.
E' stato un viaggio in cui ha voluto "rischiare" il suo corpo, la sua libertà (sia pure di esule) per "testimoniare" ancora una volta, fisicamente, oltre i fiumi di parole già spesi, la necessità civile di un'amnistia, per uscire dalla barbarie dell'emergenza e dall'ormai stanca e assurda richiesta di abiure continue, che cancella la storia e la memoria e non rende giustizia a nessuno.
Chi ha paura di Scalzone?
D'altra parte Oreste, come poche altre, non è semplicemente un simbolo, ma anche un'intelligenza viva, che in questi anni ha elaborato, pensato, proposto e scritto tantissimo
Ed è questo il "punctum doles", la ragione dell'evidente prolungarsi dell'accanimento giudiziario contro lui e quelli come lui, perché non il passato guerrigliero preoccupa i nuovi "potenti", ma proprio il presente maturo di riflessioni critiche (e autocritiche).
Leaders cresciuti nelle grigie stanze dei partiti "affaristi", capicorrente che hanno svoltato verso il Palazzo tagliandosi alle spalle i fili che li legavano ai movimenti di rivolta (in altri tempi si sarebbe detto "rinnegati"), canaglie e avventurieri, yuppies d'ogni risma, giornalistucoli da quattro soldi (e molti milioni in tasca) tutte queste variegate specie di "potenti" temono che appaiano libere e parlanti persone (come Oreste) che sono la testimonianza vivente che si poteva e si può resistere, opporsi, criticare, alimentare una dissidenza.
D'altronde è lo stesso motivo per cui noi. Oltre le amicizie, le solidarietà e le comuni responsabilità di quelle rivolte, siamo così interessati a un'amnistia che liberi appunto "corpi e spiriti".
E direi tanto più gli spiriti.
Poiché per quanto dolorosi siano i casi - ormai solo simbolici e perciò stesso più assurdi - di quei rari ex combattenti ancora in galera, e insensato più che doloroso l'esilio di tanti altri, quello che davvero è insostenibile è il clima di menzogne, di falsità, di distorsione politica e storica che circonda le vicende italiane degli ultimi trenta anni.
Un clima reso ancor più pesante da ondate e riflussi di correnti giustizialiste e/o perdoniste tutte altrettanto falsificanti, nauseanti, pasticcione.
Qui non c'è da imporre nessun perdono, né da chiedere alcuna scusa esteriore Lasciamo - almeno noi - che le coscienza sappiano rinchiudersi nel loro silenzio e che le parole scorrano sulle labbra quando è l'anima a dettarle e non il giudice.
Il grande disordine
Pensiamo alle troppe morti di cui furono costellati quegli anni tumultuosi, dai sedici poveri "ignoti" di Piazza Fontana, per i quali l'anarchico Valpreda passò anni in prigione innocente e il suo compagn Pinelli poche ore (le ultime) in Questura, ai tanti martiri di Piazza della Loggia, della Stazione di Bologna ai molti uccisi dai gruppi armati, poliziotti innocenti, magistrati come Alessandrini, giornalisti come Tobagi e Casalegno ai giovani di quegli stessi gruppi finiti anch'essi in assalti frontali o esecuzioni sommarie, da Mara Cagol in poi
Proprio la tragedia di tutte quelle morti dovrebbe indurre a riflettere, fuori di ogni residuale volontà di vendette simboliche (da qualsiasi parte provenga) sulla profondità della frattura sociale e ideale che allora si produsse.
Di quel "grande disordine", come lo ha chiamato lucidamente Giampiero Mughini in un suo recentissimo libro sugli anni '70, è importante che si parli, ma liberando le parole, le testimonianze, i concetti dalle distorsioni carcerario/giudiziarie.
Dirò di più, sono convinto che senza una amnistia, che sia il segno di una vera svolta morale dello Stato, sarà difficile anche solo avvicinarsi al varo di una nuova Costituzione.
Non credo infatti che una effettiva "Seconda Repubblica", con una fisionomia costituzionale diversa dalla prima, possa essere concepita da un ceto politico incapace di fare i conti con il proprio passato, e dunque anche con il presente e il futuro.
No, è ora di smetterla con questa Repubblica del silenzio imposto dalla minaccia giudiziaria, della politica cancellata dal ricatto, della storia che non può far nomi
Ecce Homo
Il gesto del "paria" Oreste Scalzone, il suo "viaggio in Italia", il suo "chi ha paura dell'amnistia?" è come la stampella di Enrico Toti lanciata oltre le linee austriache, un modo per mettere il corpo anche davanti alle parole, quasi ad azzerare i tanti libri scritti, gli innumerevoli articoli, interventi e interviste con un atto zen.
Ecce Homo.
Ma non per consegnarsi alle guardie dei figli di Erode, no. Solo (e disarmato) per confermare la propria radicale dissidenza, e spiegare ancora una volta la necessità morale e politica dell'amnistia, anzi di una battaglia civile per l'amnistia.
Noi di Frigo siamo d'accordo su questo punto da tanto di quel tempo che è ora di fare un passo avanti. Dunque non solo abbiamo deciso di continuare a sostenere l'amnistia, ma di praticarla
Come il barone di Munchausen (che si tirò fuori dalla palude sollevandosi per il codino) diciamo: basta indugi, liberiamoci da soli!
AUTOAMNISTIAMOCI!
ORESTE SCALZONE
Sul filo della memoria
Ultimo domicilio conosciuto Regina Coeli
Le emozioni del ritorno, i ricordi del '68, frammenti, impressioni e pensieri registrati in giro per Roma
di Oreste Scalzone
Regina Coeli è stato il mio ultimo domicilio conosciuto. L'ultima volta che sono passato in queste stradine di Trastevere è stato diciotto anni e mezzo fa. Certo, rispetto ai diciotto anni e mezzo di quelli dentro, Renato ed altri sono un battere di ciglia.
Ma è strana la sensazione che si ha ritornando in un posto così fatato e un po' magico come Roma. In fondo ti stupisci di quanto le cose non siano cambiate rispetto a quanto ti aspetteresti. Questo mi succede spesso quando incontro degli amici, delle facce che non ho visto da dieci, quindici, vent'anni.
Ho sempre una sorpresa positiva, mi viene sempre da congratularmi.
C'era un piano?
A Parigi nell'83 viene da me e da Lanfranco Pace per farci un'intervista un giornalista della televisione. Dopo l'intervista andiamo a mangiare e c'era Felix Guattari, Lanfranco ed io. Era poco dopo l'elezione a deputato di Tony Negri, tant'è che discutevamo, e io spiegavo a Felix: vedi, tu mi domandi perché siamo in polemica io e Tony Negri, ma io su un numero di Sinopsis ho lanciato lo slogan: "Vota Negri contro Negri". In qualche modo è come nel '68, quando votammo scheda rossa.
Quando Montanelli fece lo stesso ragionamento, turiamoci il naso e votiamo DC, i democristiani che sono spregiudicati erano tutti contenti, perché quello gli portava il voto di alcuni che rispetto a loro arricciavano il naso invece lo dico io per Negri e e lì Felix si convinse.
Ma insomma c'era questo cameraman, un romano d'assalto, un po' avventuroso, sarà stato magari di destra, e dice a me e Lanfranco: ragazzi, ditemi la verità, qui stiamo in camera caritatis a Parigi, al ristorante io ho filmato la manifestazione del 12 marzo del 1977, e la polizia ha calcolato almeno cinquemila pistole dalla parte del corteo, io stavo dietro le colonne e tutti sparavano, e non so com'è che non c'è scappato il morto. Ditemi la verità: c'era un piano insurrezionale?
Io e Lanfranco
Io e Lanfranco non sapevamo se guardarci orgogliosi del nostro sublime rifiuto di queste tematiche così bolsceviche della presa del potere, oppure se sentirci dei dementi Hai presente gli hooligans, ma chi li ha inventati, forse hanno un piano centralizzato? Insomma io mi ricordo che arrivo a Piazza Esedra, e dopo un po' che si muove il corteo viene fuori un gruppo che E questi chi sono? Briganti rossi, briganti, capisci?
Una volta a Parigi
Una volta a Parigi lo raccontai a Rossanda, dando gli ultimi colpi di piccone a questa loro idea assurda dei piccoli gruppi di cospiratori perché mettersi il prosciutto sugli occhi rispetto a un fenomeno sociale? Che poi la spiegazione in termini di complotto è falsa Rossanda ha visto i tabulati: seimila dentro, e che erano? Tot sono i delegati delle infermiere, tot quelli della Fiat, quelli del PCI, quelli di Lotta Continua, quelli di Potere Operaio. Sembra che tutti venissero da Potere Operaio, ma è perché Potere Operaio non ha mai smentito la loro militanza, non è che ha detto: no, quelli no, forse venivano dalla CIA o dal KGB o dalla Spectre.
Allora però, era ancora 82/83, per renderle l'idea dico: guarda Rossana, prendiamo il famoso consiglione della Fiat, gli operai, tu pensi che quelli stavano da una parte a fare gli angeli e i fenomeni di lotta armata stavano dall'altra? Beh, io ti dico che a un certo momento, ci piaccia o meno, e a torto o a ragione, non era così! Lei, che è intelligente, mi disse: vabbè, ma questo è spontaneismo. Dico: ma tu non potevi più andare ai cancelli della Fiat, o della Marelli o dell'Alfa Romeo con il tuo volantino sul rifiuto del lavoro o il salario garantito eccetera, perché l'operaio ti diceva guarda: queste sono le targhe delle macchine dei capi e dei capetti, di quello che fa l'ufficio tempi e metodi, che ci succhia il sangue e adesso?
I mandanti
Quelli erano i mandanti, gli operai!
Si può dire quello che diceva una volta Bifo: ci piace o meno, ma è stato così, non è l'apologia di nulla
Nel 76/77 un ragazzetto di diciassette o diciott'anni del Francesco d'Assisi o cose del genere, che era un po' attivo, c'è anche sto conformismo, se non c'aveva una pistola non si faceva una ragazza. Se leggi I furiosi di Balestrini io non ci credevo quando racconta che quelli partivano da Milano e rischiavano la vita loro o altrui per andar a farsi la bandiera del Genoa, è pazzesco. Per me è pazzesco. Per te sarà pazzesco, ma la gente lo fa
A Valle Giulia!
Mi ricordo che in uno di ques5ti articoli che uscivano nell'arcipelago frigideriano (perché altrimenti sarebbero stati cancellati) sull'amnistia, la lotta contro l'emergenza, eccetera, articoli fatti, finiti e conclusi, e però poi rimossi, come tante altre cose dette da Frigidaire, articoli che oggi potrebbero essere un testo di riferimento incontrovertibile, pubblicato su Frigidaire, su Frizzer, su Tempi Supplementari, su Iris, come un piccolo canguro nella pancia di Frigidaire, Sinopsis, supplemento a Frigidaire, su La Repubblica del lunedì, quella vera, cioè quella falsa, e però passavano così, non visti, non confutati
Allora mi ricordo che, riprendendo un'idea del mio amico Franco Piperno, una volta scrissi sempre in una cosa pubblicata da te (V.S. nds), "perché non ci contiamo?". Siamo una minoranza forte che dice che sarebbe necessaria una soluzione di libertà che riapra i cuori di questa società, una soluzione d'amnistia, raccogliamo cinquantamila firme. Erano tre anni che lo dicevamo.
Allora mi ricordo che buttai lì: perché il giorno dell'anniversario di Valle Giulia, mi pare il 3 marzo, on ci troviamo tutti a Valle Giulia? Ci fu chi la prese ocme una boutade, e poi disse: avete visto che non siete venuti! Certo, perché non ci fu una risposta, nessun tam tam che diceva: veniamo. Io - per me - sarei venuto già allora.
Oggi, domani
Non so, una compagna a Parigi mi chiese una volta: ma quando c'erano questi scioperi del 95, tu li rivivevi come nel 68? Io no. Io mi divertivo, mi appassionavo e magari fantasticavo come nel 68. Ma non mi veniva in mente: guarda, sto correndo come correvo nel 68.
Quindi la memoria è ambigua, infondo l'origine del museo qual è? E quella di decontestualizzare una cosa, liofilizzarla e renderla sterile. Quindi è sempre un discorso a doppio taglio: le commemorazioni poi, le metacommemorazioni, perché nelle commemorazioni può succedere un altro fatto, quindi dopo Però siccome non sei nessuno, il problema è: o ti casca addosso, oppure cerchi di farne uno strumento di riflessione critica, non di rimpatriata. Per guardare alle cosi di oggi, di domani
Mitica Valle Giulia
Quindi visto che siamo qui, ne approfitto. Valle Giulia è un po' mitica, e questa è una cosa che mi dà un leggero disagio, però in fondo sai c'era pure in quella canzone di Pietrangeli: non siam scappati più. Quello era vero.
Solo pochi mesi prima, una mattina, quasi facevo una specie di provocazione. Tu allora (V.S. ndr) stavi a Napoli, ma all'università di Roma, soprattutto all'epoca del '66 di Paolo Rossi, eccetera, socioculturalmente era così: gli studenti di sinistra anche estrema, erano i primi della classe, molto intellettuali. E poi c'erano questi fascisti che erano dei fuori corso di trent'anni, che facevano tutto il giorno palestra, che gestivano quest'assurdità, peggio del fascismo, che è la goliardia, e ogni tanto c'erano degli agguati. E io, certo non ero un tipo molto sportivo, però, poiché venivo da Terni, una cosa avevo, come tutti i provinciali. Non mi impressionavo né nel bene né nel male.
Perché nella piccola città, capisci, stando nella FGCI, questa cosa che c'erano dei punti dove non si poteva passare era incomprensibile per me forse era anche un retaggio genetico di Casal di Principe. Non potevo accettare che mi dicesse: no, là non si può passare. Allora un po' avventuristicamente riuscii a farmi mandare un paio di volte all'ospedale.
Una volta dico: no, passiamo dall'entrata di Viale Regina Elena, che voglio proprio vedere.
C'era un gruppo guidato da un certo Flavio Campo di controllo al cancello finii al Policlinico da cui sono scappato trovandomi faccia a faccia con mio zio Petruccioli, il padre di Petruccioli, disperato.
Fuksas e Ligini
E' in quel periodo che comparve Fuksas. Che adesso se vai a Parigi è un mostro sacro dell'architettura. Lui aveva un retroterra molto colto, era dottore, però gli piaceva fare l'omaccione, e non aveva questo pregiudizio antiginnico. In casa mia, per esempio, mio nonno aveva cominciato a lavorare nel 1887, mio padre da ragazzino. Essendo antifascisti, per loro la ginnastica era un po' una ricchionata, non ci pensavano proprio che i muscoli si fanno con la ginnastica, i muscoli si fanno lavorando! Negli intellettuali di sinistra non c'era neppure stata la riscoperta della cura del corpo. Cioè c'era questo disprezzo per cui uno doveva essere filiforme. Hai presente Paolo Flores? Magari io sono più filiforme di lui, però un po' più sanguigno. Fuksas siccome era figlio d un principe lituano, lui era tutto diverso, cioè non è che la forza fisica significava vedi il relativismo culturale. Succede che prima del "Non siam scappati più", due giorni prima, Fuksas mette in fuga un paio di questi bravi e diventa un mito, un vendicatore.
Il giorno dopo vediamo una scritta sui mure dell'università, (peccato che tu eri a Napoli): viva Fuksas.
E Marco Ligini, che mi piace ricordare: "Cala, non fare la coda del pavone. Viva Fuksas non vuol dire niente, te lo potresti essere scritto tu. E' quando c'è scritto: A morte Fuksas, quella è la prova!"
Detto fatto la notte siamo andati io, Ligini e Fiksas a scrivere su tutti i muri dell'università: Abbasso Fuksas, Fuksas a morte, eccetera.
Tutto questo a preparato il "Non siam scappati più".
Quella mattina di Valle Giulia c'erano prove tecniche del servizio d'ordine, la notte comitato d agitazione dell'università. Mi ricordo tutte le facce anche di quelli molto per bene, non so: mio cugino Petruccioli, Alberto
E poi c'erano i cosiddetti maoisti, che erano proprio dei radical, un po' religiosi e non violenti, e poi c'eravamo Piperno, io Franco Russo e soprattutto Roberto Gabriele. Eravamo considerati gli avventuristi che cercavano lo scontro, ma contemporaneamente non erano così chiaramente antirevisionisti, perché non si dichiaravano maoisti.
Distintivi della Roma
Comunque si decide di venire in questa facoltà che era serrata e riprendersela. Servizio d'ordine, protoservizio d'ordine, prove tecniche, dunque grande pensata di Gabriele, tutti con il distintivo della Roma, caschetti assurdi, quelli Montedison che volarono via subito.
Ma torniamo a Valle Giulia Insomma arriviamo, la manifestazione si ferma qua sotto, davanti alle scale.
Un gruppo di ardimentosi, capitanato da Fuksas e me, dice: dobbiamo entrare
I poliziotti furbi non si facevano vedere, per cui noi facciamo di corsa quella scala lì, e quel cancello bianco, e riusciamo a entrare dentro, dietro quella porta là
Clamoroso errore
Clamoroso errore! Arriviamo in una quarantina dentro lì c'è una specie di corridoio e poi c'è un'altra porta, e quando siamo dentro vediamo che dietro l'altra porta c'è un muro di celerini, una quantità incredibile e dietro avevamo i carabinieri. Rimaniamo proprio come topi, cosa che non mi piace. Come nelle rivolte di prigione, perché una cosa è la guerriglia urbana, ma una cosa è restare in trappola.
Sembrava tutto facile. Entriamo, sfondiamo, arriviamo lì, ma poi non si passa oltre. E i carabinieri arrivano da dietro.
Le storie sono stranissime io arrivo credo su quel pianale, proprio dove è il cancello bianco, per fortuna era tutto pieno di schiuma degli idranti, e a un certo momento, io avevo una sciarpa lunga così, a una ragazza le viene una crisi di nervi. Urlando mi si attacca alla sciarpa, scivoliamo sulla schiuma, e ci ritroviamo ammaccati in fondo alle scale, passati indenni in mezzo ai carabinieri che picchiavano quelli in piedi.
Scarpe strette, eppur
Il peggio è che avevo dormito a casa del mio amico Gigli, adesso professore di architettura, che mi aveva prestato degli scarponcini che erano due numeri più piccoli dei miei. Quindi per me Valle Giulia fu la tortura dei piedi. Perché poi, scappiamo da qua, riattraversiamo Roma, con ste scarpe e poi ritrovo Piperno, compriamo un giornale e vediamo Paese Sera con su scritto: battaglia a Valle Giulia. E arriviamo a piazza Colonna dove io salgo su una colonna e faccio sto comizio: (perché poi faccio sto comizio? Forse perché avevo la voce forte ) "compagni, solo quattro file di celerini ci separano dai nostri nemici ". Per fortuna che c'erano Pietro Ingrao, Marisa Rodano ci invitano al gruppo e così si concluse quella giornata.
Numeri misteriosi
Ora non si può negare che, io sia materialista critico, nel senso di Spinoza, Marx, Deleuze e Guattari, quindi non fa parte della mia ottica dare significati simbolici a delle coincidenze. Però è vero come diceva Tassinari: esiste il numero misterioso. Il 16 marzo del 68, mi succede questa cosa, senza la quale probabilmente sarei a Terni, cioè mi capita questa pancata, con la coincidenza che Marco Bellocchio la riprende su pellicola Uno dice: va be', tanto te l'andavi cercando, prima o poi ti capita. Esattamente 10 anni dopo, 16 marzo, giornata plumbea del 1978, dormivo a casa di un amico, Scialoja mi telefona: hanno rapito Moro.
Come hanno rapito Moro? Scendo all'edicola. Incontro all'edicola della Chiesa Nuova Lanfranco Pace, e c'era ancora La Repubblica con in prima pagina: Moro è (Antilope) Cobbler? Che ti fa pensare a come va la storia
Strappo catastrofico
C'era ancora questa scritta Ma, proprio mentre eravamo lì, arriva la Repubblica 2^ edizione, ribattuta con la foto di Moro. Quella che poi il Male mise in un paginone con la scritta "scusate abitualmente vesto Marzotto " quei numeri incredibili del Male
Tornando al 16 marzo, c'era Pace con la sua 500 che dice: andiamo all'università, perché Radio Onda Rossa dice che c'è un'assemblea.
E dove andiamo? Sulla scalinata del rettorato.
Questa è stata una delle sconfitte di cui vado più fiero. Perché capivamo benissimo che il sequestro era uno strappo catastrofico, ma a quel punto, mentre Moro era ancora vivo, pensai (e dissi): vi rendete conto che succederà se lo ammazzano?
Poi cominciò quella vicenda da tragedia greca di cui adesso di dietrologhi dicono: chi c'era dietro? Come mai Andreotti non ha mosso un dito? Ma ammettiamo che Andreotti non ha mosso un dito. Qual è il mistero? E' un'aberrazione mornale che avviene Che dire allora di Berlinguer e Zaccagnini, personaggi da tragedia greca? Rimasero come ipnotizzati, perché ognuno era prigioniero dell'immagine. Berlinguer era assillato dal rischio che potessero dire: è colpa vostra, viene dal bolscevismo. E l'altro assillato dall'idea che potessero dirgli quello che gli hanno detto sul caso Cirillo: voi non avete senso dello stato
Nessuno volle capire
E così sono andati a sconfitta sicura. E il papà è arrivato a dire: uomini delle brigate rosse. Se avesse detto Brigate rosse a quelli sarebbe forse sembrato sufficiente. Del resto i brigatisti, nella loro liturgia, Moretti non ha potuto percepire quei segnali in democristianese che pure c'erano, perché tutti cercavano una via d'uscita Prima volevano tredici persone, poi nove, poi due malatissimi, poi uno, Buonoconto A Leone, che voleva firmare la grazia, gliel'hanno fatta pagare, non perché il figlio non fosse corrotto (quando mai in Italia s'era visto che per la corruzione del figlio una ha l'empeachment?).
No. Non gli hanno perdonato che voleva graziare Buonoconto, il quale poi è uscito dopo sei mesi, perché era ormai finito e si è suicidato dopo sei mesi ancora. Pensa che tragedia assurda.
Un fallimento nobile
Voglio dire lì, all'Università, quel 16 marzo, senza esserci consultati a me venne di dire: il problema è salvare il salvabile, è interferire, è impedire che ammazzino Moro. Voi brigatisti, dite di avere come referente il movimento, noi siamo il movimento reale, e non siamo d'accordo con voi sul piano etico. Io mi ricordo che citai Focault, in Microfisica del potere, quando dice: la violenza è una cosa, ma quando si istituzionalizza e diventa carcere, tribunale, giustizia proletaria, popolare, rivoluzionaria, è già controrivoluzione. E' già omologica e repressiva.
Poi c'era il discorso: vi rendete conto di come sarebbe dirompente un Moro che rientra nel mondo politico che l'ha abbandonato, che si iscrive al gruppo misto? E lì tutti i volantini, le cose, le radio e gli interventi in assemblea
Secondo me è stato un tentativo di salvare Moro e insieme alla sua vita tante altre cose, valori, principi. Perciò dico: fu un fallimento nobile.
Ecco, sempre lì, su quelle scalinate, quella di legge, quella di Valle Giulia, quella del rettorato la vita è fatta a scale, chi le scende e chi le sale.
Trascrizione a cura di V.S.
VALLE GIULIA - Mi domando perché non sono venuto prima di Oreste Scalzone
La prima cosa che mi sono domandato arrivando qui a Roma è stata: ma perché non sono venuto prima? perché esiste l'idea della goccia che fa traboccare il vaso Ora, in questi sedici anni che sto a Parigi, sono cambiato. Per certi versi mi sono radicalizzato. Ho epurato da me quanto mi restava di questa variante della socialdemocrazia di sinistra e di Kauski che è stato il bolscevismo, che poi nella sua tarda fase ha dato luogo alla controrivoluzione staliniana: socialismo reale eccetera. D'altra parte qualsiasi cosa, la teoria la più sovversiva del mondo, quando si cristallizza in ideologia diventa il contrario di sé stessa.
Quindi sì, sono cambiato. E - se possibile - l'estraneità ostile nei confronti dell'ordine costituito, della forma stato, così come del rapporto di capitale è diventata ancora più ostile
L'amnistia dal basso
Certo, per tutti questi anni mi sono attenuto alla linea di condotta di quella canzone di Brassens: attraverso sulle strisce per non sentirmi rivolgere la parola da un flic.
L'ho fatto per un senso di corresponsabilità, rispetto ai destini di questa zattera di profughi, preferisco dire profughi e non naufraghi, che comunque nelle diversità le più grandi avevano una comunanza di destino.
Ma devo dire, questo era legato anche, in qualche modo, a una ragionevole speranza di poter convincere, quella che chiameremo la compagneria, ad aprire una vertenza con lo Stato nel senso della rivendicazione, non della lamentela, di una soluzione di libertà. Soluzione politica, perché trattasi di una legge dello Stato decisa nelle forme previste, una legge di amnistia.
Ciò che mi fa più scandalo non è la controparte, il nemico, l'avversario, il potere, come lo vogliamo chiamare, ma è che noi non l'abbiamo mai rivendicata, nel senso, come dire, dell'azione collettiva.
Io ho ripetuto come un disco rigato che si trattava di far vivere, di dare visibilità a quella, minoranza forte nella società, che per motivi diversi voleva questa cosa. Si trattava di farla esprimere, e allora c'era stata questa pensata: amnistia dal basso, in piazza, iniziativa extraparlamentare, raccolta delle cinquantamila firme per un disegno di legge di iniziativa popolare.
Che è come una manifestazione, una forma quale che sia, che però in qualche modo utilizza un meccanismo autonomo, indipendente E lì per anni è stato un calvario: per alcuni compagni era una bestemmia, era ostica rispetto all'ideologia della rivoluzione dietro l'angolo, dell'insurrezione, della lotta armata. Per altri era cosa meno rispettabile, era: eh no! noi siamo innocenti, l'amnistia la rivendicato i colpevoli, noi che c'entriamo? Per altri, ed era il peggio: "no! noi dobbiamo fare una grandissima abiura e chi non vuole farla non merita niente. Mai e poi mai chiederemo un colpo di spugna".
Dissociazione e svolta
A questo punto, arrivati all'87, si è visto il risultato: una legge sulla dissociazione aberrante, talmente a forca caudina che non è stata nemmeno applicata a tutta una parte di quelli che avevano innescato questo tipo di fenomeno Poi la svolta, la lettera significativa di Renato Curcio, Moretti, Bertolazzi. Non c'era più questa ratio di dire no all'amnistia, salvo le posizioni marginali, etiche, vertiginose, "io sono talmente puro e radicale che non do fastidio a nessuno".
E lì è intervenuto il discorso dell'indulto. L'indulto magari era troppo minimale, però aveva l'incomparabile pregio di essere così come l'amnistia, giuridico e non antigiuridico. Quindi come dire: non è la nostra tazza di tè, come dicono i francesi, ma tra cittadino, suddito e ascaro teniamoci al cittadino.
L'amnistia era questo. L'indulto ha la stessa natura, perché si applica a dei processi, a delle condanne, non a un apprezzamento tipologico: tu sei buono, sei cambiato, io ti metto la sonda nell'anima.
Dicemmo l'indulto va bene. Ma non fecero neppure quello. Il progetto è sempre lì da anni d'altra parte i punto era che l'amnistia era ormai stramatura per un motivo; perché questa emergenza, che è diventata un paradosso, non è lo stato d'eccezione che è previsto in tutti gli Stati, è un'urgenza permanente, un'eccezione che diventa regola.
Eccezione e regola
L'eccezione si chiama eccezione perché è diversa dalla regola, l'emergenza si chiama emergenza perché è un'emergenza, non può diventare la normalità permanente. Invece qui in Italia c'è la norma permanentemente eccezionale
Da questo punto in poi il diritto penale si è posto fuori del suo baricentro, ha perduto i suoi stessi criteri di legittimazione.
Su questa cosa, io ci ho lavorato forse troppo , ma la compagneria ci ha lavorato pochissimo, perché paradossalmente dicono: mica siamo liberali. Hanno questo sostanzialismo
Eppure ciò significa che questo punto questa è una giustizia ingiusta, che non ha i criteri da lei stessa enunciati per cui la forza legale possa pretendere di essere esercitata in regime di monopolio. Il principio per cui uno Stato si distingue dalla banda più forte è che si dà delle regole di autolimitazione della sua forza. Il dubbio proreo, la regola del maggior vantaggio, la non retroattività.
E' per questo che il diniego di un'amnistia è diventato direi addirittura illegale, anche perché ormai è saltato completamente il principio della certezza della pena, dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
E' per questo che l'indulto era sostenibile, basato su un dato incontrovertibile, quantitaivo, lo sproposito giuridico derivante dall'applicazione delle aggravanti.
Familiari maltrattati
Nel momento in cui questa cosa faticosissimamente è arrivata a questo primo risultato simbolico (che la maggioranza della commissione giustizia della camera ha approvato il progetto di indulto dopo nove anni) secondo me lì abbiamo avuto la misura del fatto che la cosa è fuori dall'ordine delle possibilità attuali.
Intanto hanno subito ritirato fuori - violentandoli moralmente - i familiari delle vittime. Hanno riscoperto a comando che non è ancora stata fatta una legge per le vittime Ah non l'avete fatta? Ai vostri servitori dello Stato gli date delle medaglie e non la pensione? Ma io mi scandalizzo come uomo normale! Ancora venti anni dopo non avete fatta una legge per risarcire le vittime? E perché non l'avete fatta? Non avete i soldi?
La borghesia è feroce
Quando poi qualcuno dice che l'amnistia la faranno per creare un precedente e giustificare quella per tangentopoli, per i "loro" mi sento sconfortato.
Ma i "loro" chi? La borghesia è feroce. Non c'è nessuno del ceto politico attuale che voglia riabilitare quelli che hanno fottuto con tangentopoli. Al limite uno dei motivi per cui non vogliono fare la "nostra" amnistia è perché dopo potrebbero rischiare di doverla fare per protagonisti della prima repubblica che francamente se li mangiano a colazione.
Quindi la società politica nel suo complesso non la fa. In più abbiamo visto che quelliche l'avevano votata dicono timidissimi. "Ah, ma quelli sono cambiati!".
Ma cosa c'entra? Se sono cambiato o non sono cambiato, è un problema che mi vedo con il mio Dio, con il confessore, con i miei compagni. E' antigiuridico ricreare questo discorso. Un'amnistia non dipende dal giudizio da preti se uno è cambiato o non è cambiato, e in quale direzione. Ancora lì stiamo? Fino a ieri avrei detto ancora come un disco rotto: compagni abbandonate le illusioni, qui si può solo fare una cosa, raccogliere queste firme e tentare, ma adesso mi si chiude lo stomaco a dirlo e quindi
A mani libere
Se una cosa è fuori dall'ordine del probabile e del possibile, meglio non parlarne, perché non è che parlarne è sprecare il fiato, c'è un problema di tutela della propria integrità. Il supplizio di Tantalo è una figura classica. E' devastante per un certo numero di persone, quelli in prigione non lo so, apparentemente sembrano fregarsene, non chiedono niente, ma lo vedo nei compagni esuli. Essere appesi, con l'orecchio teso a dei miraggi, è veramente il supplizio di Tantalo. Allora non possiamo continuare ad aspettare io voglio fare delle cose, che sono una battagli a mani libere contro questa mostruosità del paradigma dell'emergenza italiana. E non voglio sentirmi dire: "ah, parli per interessi personale". Voglio proprio dire qui: guardate, nessuno mi ha mai accusato di omicidio, né di appartenere a organizzazioni clandestine.
Basta muri invisibili!
Io non ho mai sottolineato questo, ma noi non avevamo il paradigma del tirannicidio, semmai quello della rottura del monopolio statale della forza e del sabotaggio.
Però dico il cosiddetto esilio Si perde qualcosa, ma se ne guadagna qualche altra. Ho conosciuto della gente straordinaria. Ci sono nostalgie, ma insomma
E da questo momento in poi se decido di venire a dire una cosa a Roma, lo farò senza rispettare assurdamente il divieto di una legalità che è fuori dai suoi stessi criteri Sono venuto qui da adesso in poi, è un segnale che voglio dare a tutti, anche ai compagni.
Non vedo perché, e a quale titolo dovrebbe esserci questo muro invisibile. Questo è un bel paese questa è la mia lingua. E se mi interessa venire a fare una battaglia nel mio pese, vada come vada, certo non mi autocensuro.
Se c'è un'autocritica da fare è che ho lasciato passare troppo tempo.
Trascrizione a cura di V. S.
Quando io pensavo Brigate Rosse
Amnistia non è amnesia di Enrico Porsia
Nel 1978, io pensavo Brigate Rosse. Un giorno udii una voce - quella di Oreste Scalzone ò che, continuando a combattere, proponeva amnistia! Come principio di scambio, di tregua armata con lo Stato.
Amnistia? Francamente, mi misi a ridere. "Ma come, abbiamo appena iniziato! Padroni, è la guerra! Stato, è la guerra! Compagni, è la guerra! Che c'entra l'amnistia? Non si tratta col nemico! I prigionieri? Ma quelli li libereremo con la lotta la sola. Quella vera: Evasione, Lotta Armata."
Durò poco. Era già finita?
La lotta armata cresceva ed era diventata la sola opposizione visibile, la sola forma che appariva praticabile; la sola che sembrava esistere nel paese del consociativismo.
Ma, dove andava, dove stavamo navigando - si vide dopo - senza né mappa né bussola?
Nel 78 forse l'amnistia! Poteva essere uno "stop and go" mentre continuare a scommettere su una guerra impossibile risultò essere un "go and stop".
Una voce
Agli inizi degli anni ottanta, in un fresco esilio parigino sentivo echi che caldeggiavano ritirate strategiche; altri, guerra a oltranza, altri ancora: "bisogna liberare i compagni dentro". Per il momento la lotta armata era riuscita a liberarne ben pochi, accadde perfino che per liberarne uno ne furono persi cinque. Ma c'era una voce che diceva amnistia!
Era ancora Oreste Scalzone.
"Perché, perché mai dovremmo chiederla?"
Perché se no non esce nessuno, perché in Italia l'emergenza continua, perché uno non è condannato per quello che ha fatto, i "pentiti" escono, quindi resto solo il resto; quello che uno pensa (perché "io ho il diritto d'essere un sovversivo" - come disse Franco Piperno sull'aereo del rientro), perché non siamo degli arresi e dunque amnistia! È la sola vera parola d'ordine di lotta possibile oggi.
Ci conoscemmo così.
Etica e politica
Amnistia! Era un'apertura, ma amnistia! era anche frontiera, perché ce n'erano altri ancora, altri echi, assordanti quanto arrognati, sempre nella loro sicumera; nei contraddetti come nei detti e predetti e sempre daccapo Erano tutti gli istigatori ed i reclutatori della conversione: i "dissociazionisti" e i "dissociatori" (i quali per salvarsi esplicitamente sommergono sempre più i sommersi ).
La dissociazione non fu solo una soluzione premiale particolarmente infetta ed umiliante (per chi si lasciava cooptare e per chi cooptava), ma anche e soprattutto una norma di legge che tendeva a stabilizzare la giustizia d'eccezione italiana.
Si può comprendere che, anche al di là del fatto etico, semplicemente dal putno di vista strettamente politico e di buon senso, amnistia! mai avrebbe potuto né aderire, né cauzionare codesta aberrazione.
Perché amnistia! non è amnesia e non offre abiure, non è prigioniera né di passati, né di futuri, né di recriminazioni, né di velleità perché amnistia! non vuole né ostaggi, né semi-liberi né le forche caudine delle schiavitù. Amnistia! parla d'altro e amnistia! non si prostituisce sul mercato dell'esibizione delle Pubbliche Moralità.
Per molto tempo fu deserto e, solo eco, il silenzio.
Poi, altre voci si unirono, quasi un coro - ma non lo capii subito - era una cacofonia senza esperanto, una babele di malintesi che si rimandavano ciascuno il proprio assolo.
La Battaglia di libertà cominciò. Ma, la Battaglia, non ebbe luogo e, la libertà restò una parola.
C'era che diceva lasciate fare il ceto politico e chi cercava di spiegare che, invece amnistia! è qualcosa che nasce dal basso, serpeggia fra i marciapiedi e chiede firme per la strada. Perché amnistia! attacca e non si vergogna, perché amnistia! non è una "soluzione" istituzionale; la si può imporre.
Ma, non c'è la volontà di provarci, perché c'è confusione, perché c'è il grosso eqivoco. C'è chi scambia amnistia "la resa", con amnistia! la resa dei conti!
Peccato. Esistono equivoci dai quali si sopravvive, ed altri, invece, che sfortunatamente sono fatali.
Un pentito tira l'altro
Intanto, arrivarono giudici con cilicio e ci mostrarono come una mano pulita taglia l'altra. Ogni mano mozza era un sacrificio da esibire in prima pagina in nome della candeggina di Stato. Una cosca di giudici finì per comandare in un labirinto di pentiti.
E, adesso che tutti hanno paura di tutti e tutti si mettono in guerra contro tutti, le leggi eccezionali sono norma, e valgono per tutti. Contro tutti
Si usa così la legge anche la posto della pistola. A "homo homini lupus" si deve aggiungere, "Chi di pentito ferisce, di pentito perisce". Basta che uno Speedy Gonzales della confessione intoni un buon ritornello per distruggere un nemico.
Il pentito diviene un valore di scambio, vale di più che un segreto in piazza degli affari.
Differenti ritornelli contradditori e, autocontraddittori, si affrontano in una canzonissima d'eccezione, dove c'è cupola e loggia contro loggia; dove padri, padroni e padrini se la cantano gli uni agli altri.
Il ricatto è diventato una base di piattaforma di governo. Lo spettro della prigione s'aggira sul paese ed il linciaggio viene reclamizzato dai giornali come sport nazionale.
Se non che, i presunti e/o reali ladroni non erano soltanto socialisti e democristi - basterebbe lasciarsi dire da Macaluso, che è del posto, come funzionavano (e continuano a funzionare) le cooperative rosse in Sicilia, per sapere che tutto va (e funziona).
Ma a nessuno sembra editare la storia come un cd-rom interattivo: sceglietevi il pentito e clickatevi il destino.
Una via d'uscita
E' difficile immaginare come una società che eleva l'infamia a virtù possa sopravvivere a lungo. Eppure è ancora lì
Amnistia! diventa quindi sempre più critica radicale e via d'uscita da un sistema asfissiante che è lo "Stato-Cupola della Piovra giustiziera, della Cosca-Giustizia".
I mea culpa e miserere sono ormai materia d'obbligo per la scrittura dei nuovi sussidiari di storia. C'è una logica che diviene endemica nella formalizzazione della cultura del sospetto, nell'eccezione che diviene norma; nel pretismo multiconfessionale giustizialista dal volto severo e dall'anima che è mezzo-penitente e mezzo-pentita e però spaccia sempre il "diritto e castigo" di contrabbando al migliore offerente del telemarket.
Quando è la marca Di Pietro-Borrelli quella che finisce per rimpiazzare la marca Pietro Beretta, è proprio successo qualcosa Allora amnistia! Non può significare che punto d'inizio, sbarramento allo stato d'emergenza, boccata d'ossigeno, brezza di resistenza, di sogno, di immagini, di ripensamenti, di ricerca; condicio sine qua non d'evasione collettiva e punto di partenza.
Parigi, gennaio 1998
Testi e documenti
IO RIVENDICO . di Oreste Scalzone
Nego gli addebiti, ma da queste accuse non mi sento diffamato
Processo Comitati Comunisti Rivoluzionari/Prima Linea
Alla III Sezione Penale della Corte d'Assise di Milano (1986)
Rivendico la mia quasi solitaria e ingrata battaglia di questi anni per una soluzione sociale che realizzi un processo inequivoco di decarcerizzazione e di amnistia.
Affermo che l'identità dei miei compagni di oggi, e la mia, ha come cerniere fondamentali una cultura dell'obiezione radicale nei confronti della penalità, l'utopia forte dell'estinzione della prigione, e la concreta battaglia per "più libertà/meno carcere".
Rivendico la pratica quotidiana mia e d'altri, per la conquista e la difesa, in terra francese, di un asilo per tutti, uno indifferenziato e incondizionato.
Rivendico come connotato d'identità l'autenticità di n superamento critico del comunismo storico e poltico, e l'attaccamento a quello che, con definizione provvisoria, potremmo forse chiamare comunismo teorico e sociale (o, anche, posizione post-comunista/neo-libertaria).
Rivendico un impegno intransigente su un terreno che potremmo chiamare "neo-libertario" - quello sintetizzabile nella formula "più libertà, meno Stato".
Rivendico l'irriducibile ostilità, da un lato a tutte le esperienze statali di rivoluzione, dall'altro alle nuove ideologie, arroganti e dogmatiche, del cosiddetto "neo-liberalismo", che predica la riduzione dello Stato sociale a favore della crescita contemporanea della libertà d'arbitrio dei più forti e dello Stato "legge ed ordine". Ritengo che si sia in presenza, nel mondo d'oggi, di una sorta di "nuovo oscurantismo" - determinato da questa specie di gioco dei quattro cantoni - tra il marxismo fatto Stato, il neo-liberalismo rampante, il montare degli integrismi, la monopolizzazione/requisizione dei diritti dell'uomo (quotati a Wall Street) da parte del Vaticano.
Mi sembra si possa dire che questo neo-oscurantismo si manifesta nel nostro paese nella forma di una impressionante pressione per l'omologazione culturale. Tutto quello che è fuori dei contenuti ideologici delle martellanti e umanistiche campagne promosse dal sistema dei partiti o da centri di potere politico-culturale inter- o trans-partitici, è considerato illegittimo e, in qualche modo, "criminale" (si consideri - tanto per fare un esempio non sospetto e non di parte - il quasi-linciaggio intellettuale e morale compiuto in questi giorni nei confronti del cardinale Pappalardo, solo perché si è permesso di avanzare qualche dubbio e qualche inquietudine rispetto alle trombe e tamburi della retorica demagogica che trasuda, ad esempio dalle pagine del quotidiano "la Repubblica", inmateria di processo alla mafia. Il quale processo - sia detto di passata - mi sembra ben lontano dal voler e poter interrompere, "in alto" e "in basso", il codice genetico del fenomeno mafioso, mentre mi sembra assolutamente rivolto solo a dare occasione a una martellante campagna contro il diritto di difesa e per il definitivo stravolgimento "emergenziale" del Processo penale).
La logica della "dissociazione" giudiziaria a fini premiali (e del modello differenziativo che le è consustanziale), con tutti i nuovi cascami e corollari culturali, si inserisce a mio avviso in questo "nuovo oscurantismo".
Ritengo che questa cappa di conformismo oscurantista pesi oggi in modo particolare in Italia, per effetto del proteiforme presentarsi della logica perversa dell'"emergenza" come forme di governo sociale. I processi penali di cultura e di impianto concettuale "moscovita" sono un cancro che darà sempre più frutti avvelenati. Niente di buono potrà venire alla società, dall'aver voluto talmente stravincere, da pretendere di annientare l'identità e la memoria degli sconfitti.
Oggi, in un universo in cui si scrive "pentiti" e va letto delatori, si scrive "dissociati" e va letto pentiti (senza virgolette), convertiti, ravveduti, assimilati, domesticati, colonizzati, cooptati, anche la semplice resistenza individuale, il semplice rifiuto d'obbedienza ha un valore.
Una scelta di insubordinazione, di renitenza intellettuale - di resistenza feroce alla chiusura degli spazi per il diritto di critica, l'impegno a contribuire a una controffensiva per riaprirli (ed anzi aprirne di nuovi) - è quello in cui oggi mi riconosco. C'è forse bisogno di un "nuovo Illuminismo".
La congiuntura politico-istituzionale attuale vede uno scontro "trasversale" fra alcuni settori dell'Esecutivo e alcune componenti della magistratura (a mio parere minoritarie) da un lato, e il grosso del "terzo potere", appoggiato da alcuni partiti, tra cui il comunista e il repubblicano, dall'altro. Il primo schieramento sembra rendersi conto che l'ipertrofia del "giudiziario" e lo sconfinamento, l'aggressivo protagonismo corporativo di certe zone della magistratura, rappresentano una corposa minaccia per il funzionamento decisionale e istituzionale del sistema.
Questo schieramento sembra rendersi conto che uno degli elementi forti di cui lo sconfinamento corporativo del terzo potere si nutre, è la delega in bianco, il ruolo di supplenza che alla magistratura è stato affidato nel quadro delle varie e successive emergenze; per conseguenza, sembra essere disposto ad operare per un certo riassorbimento dello stato d'emergenza.
Il tipo di normalizzazione che però non si profila, fa intravedere - al suo capolinea - il modello angoscioso di cui parlavo sopra: una folla di "liberti"/un pugno di sepolti vivi.
Io sono tra quelli che a questa eventualità si ribellano.
Voi, Giudici, Vi trovate in mezzo a tutte queste tensioni e contraddizioni. Potete scegliere tra un "emergenzialismo" classico e implacabile, che amministra la resa dei conti e la pura vendetta giudiziaria, e un neo-emergenzialismo "premiale", che dispensa indulgenze, grazie, clemenze come rendite di posizione, in cambio di confessioni, abiure, etc. oppure, forse, potresti imboccare la strada - non si pretende di una critica pratica del concetto di "punizione", ma quantomeno di un ripristino delle garanzie processuali. Un "segnale" da parte vostra in questa direzione, potrebbe forse dare un contributo all'affermarsi - nello stesso universo del "politico" - di una logica di "soluzione sociale", equa, egualitaria, generale e profonda. In termini concreti: un processo di decarcerizzazione e d'amnistia. capace di essere nongià punto di arrivo e di chiusura, ma tappa intermedia di una dinamica di più lunga durata.
Non ho latro da aggiungere. Se non trasmettervi la irragionevole speranza che - come ho detto molte volte - "ad una generazione condannata a cent'anni di solitudine venga data una seconda possibilità nella Storia".
E che le donne e gli uomini che popolano le galere possano avere la possibilità di "ridere, piangere, indignarsi, capire", non stretti in una morsa, oppressi da un ricatto, ma in libertà.
Oreste Scalzone
Parigi, 16 febbraio 1986
Note
Lettera inviata alla III^ Sezione Penale della Corte d'Assise di Milano, e dunque resa pubblica nel mese di febbraio 1986 (stralci pubblicati in Synopsis, in Frigidaire, 1986/87). Pubblicato in La difesa impossibile - ed. Agalev, Bologna, 1987
CHI HA PAURA DELL'AMNISTIA? di Oreste Scalzone
Nota 1: Le argomentazioni relative si possono trovare nel n° 0.1 dell'a-periodico Synopsis/liberare tutti, giugno 1983, nonché in un "video" in cui GianMaria Volonté ne legge i passi conclusivi, in circolazione dalla fine dello stesso anno.
Questi materiali (nonché una serie di altri in parte pubblicati nella loro integralità su riviste quali Frigidaire, Il lunedì della Repubblica, Frizzer, Thermos, Tempi supplementari (tutti diretti da Vincenzo Sparagna); nonché variamente nelle riviste A/traverso, Giornale immaginario (compl., supplem., inserto in Frigidaire o Tempi supplementari), Anni 70, Politica e Classe, Derive/approdi, Logomachie (sito internet - www.altern.org/logomachie); nonché in video-lettere, interventi radio, libri ( ..); nonché ancora circolari, fascicoli, interventi interviste & quant'altro; nonché essendo confluiti nelle varie, diverse e successive pubbliche argomentazioni di una campagna lanciata e rimbalzata, avente preso corpo dall'83 in poi, soprattutto nel 1992 con la raccolta delle firme su Frigidaire nonché proposta e riproposta, sviscerata, soprattutto ad opera del Gruppo d'iniziativa per l'Amnistia avente il suo epicentro a Bologna, Italy, potranno essere richiesti - e messi a disposizione, via via che verranno archiviati, nella forma di un CD rom (una selezione verrà inserita nel sito Logomachie e/o in altri connessi, "linkati").
Si possono anche ottenere (inviando cartolina illustrata - espediente per facilitare la distribuzione) all'indirizzo:
Scalzone, via Donatello, 9 - 05100 TERNI
O anche a mezzo Internet.
Parole fatali
Emergenza - Emergenza e stato d'eccezione di Oreste Scalzone
Il temine emergenza designa, nel modello italiano, il ricorso a delle pratiche d'eccezione in campo giuridico e politico che si differenziano dalla forma classica dello Stato d'eccezione.
Il termine "emergenza", inteso come "Stato d'emergenza", modello o sistema dell'emergenza", "politica dell'emergenza", "giustizia dell'emergenza", si è affermato in Italia all'interno del linguaggio politico e giuridico a partire dalla metà degli anni Settanta.
Il caso classico e quello italiano
Lo stato d'eccezione classico, una volta dichiarato ufficialmente, dà luogo alla creazione d'una legislazione e giurisdizione speciale delimitata nel tempo. Esso si caratterizza per una sospensione temporanea della normalità giuridica (giustizia ordinaria). Questo suo carattere temporaneo, dunque caduco nel tempo di fronte all'esaurirsi delle ragioni d'allarme sociale che ne hanno determinato la proclamazione, costituisce uno dei suoi fondamenti di legalità.
Il modello dell'emergenza, affermatosi in Italia verso la fine degli anni Settanta per reprimere l'offensiva sovversiva generata dai movimenti sociali dell'epoca, si caratterizza al contrario per il suo carattere d'eccezione dissimulata sotto l'apparente rispetto della normalità giuridica. L'assenza d'una rottura formale della normalità giuridica rappresenta il travestimento legale che permette uno sviluppo senza precedenti d'una giustizia ordinaria che nella realtà applica leggi speciali (unica traccia formale dell'instaurazione di pratiche d'eccezione), procedure eccezionali e l'utilizzo speciale di leggi ordinarie.
Allo stesso modo che lo Stato d'eccezione nella sua forma classica, il modello dell'emergenza consente di condurre una guerra (che oltre all'efficacia dei mezzi ha in più il vantaggio d'essere dissimulata sotto le vesti del rispetto della normalità giuridica) contro il nemico interno. Ma a differenza dello stato d'eccezione classico, questo nemico è privato dello status d'avversario politico e considerato come un semplice criminale comune.
Morfologia del modello dell'emergenza
L'aspetto di specialità dissimulata, la natura d'eccezione inconfessata, costituiscono il carattere inedito dagli effetti molteplici, mutageni e perversi del modello dell'emergenza. Il sistema dell'emergenza è divenuto col tempo una sorta di stampo che ha dato forma a una proliferazione successiva di pratiche d'eccezione moltiplicatesi col moltiplicarsi delle contraddizioni sociali ridotte al solo aspetto d'allarmi sociali. L'incapacità della società politica a governare normalmente ha condotto a una delega dei poteri verso la magistratura. Questo potere di supplenza, a causa dell'assenza d'una apertura chiara e formale d'uno stato d'eccezione, per definizione limitato nel tempo (vedi sopra), è divenuto un potere acquisito. Il potere giudiziario colmando gli spazi lasciati vuoti dal politico (vedi: carattere evanescente, aleatorio del politico nell'Italia della fine degli anni 80 e 90), a causa della nuova crisi di rappresentazione del modello istituzionale, sopravvenuta questa volta dopo la caduta degli equilibri geopolitici nel 1989, ha generato un processo di giuridizzazione dell'intera vita sociale e una politicizzazione del giudiziario.
Acqua avvelenata per tutti
La radicale rimessa in questione della separazione dei poteri e dell'equilibrio tra poteri e contropoteri, suscitata dall'ipertrofia dell'azione giudiziaria sovraccaricata di ruoli morali, politici e etici, ha aperto la strada all'emergere d'un modello di democrazia giudiziaria, allo sviluppo di tendenze populiste e giustizialiste.
L'Italia si trova oramai come quel Palazzo del Re scosso dalla ribellione degli schiavi nei sotterranei. Per domare la rivolta, i consiglieri del Re avevano pensato d'avvelenare le condotte che portavano l'acqua nelle cantine. Passata l'euforia della vittoria, ci si accorse che l'acqua avvelenata cominciava lentamente a salire per le tubazioni del Palazzo. Si era diffusa nelle cucine, poi nelle stanze dei domestici e della guardia. L'acqua era arrivata inesorabilmente ai quartieri alti e scendeva oramai dai rubinetti del Re, che si ritrovava così col sapore amaro d'una vittoria avvelenata.
Questa eccezione dissimulata è diventata un mostro che divora se stesso. Il sistema dell'emergenza è oramai come un Frankenstein che si rivolta contro i suoi stessi inventori.