Sulla strada della liberazione...
PREMESSA
L'esistenza di prigionieri politici nelle carceri dei paesi europei, è un fatto talmente noto da non richiedere precisazioni. In Italia, il fenomeno è divenuto rilevante durante gli anni 70 e 80, in relazione all'esistenza di un forte movimento di estrema sinistra con ampie componenti armate, che ha coinvolto nell'orbita della sua attività decine di migliaia di militanti rivoluzionari. Si calcola che siano transitati nelle carceri del nostro paese circa 6.000 imputati per reati commessi con finalità politiche. Di essi, molti sono stati condannati a lunghe pene, e ciò anche in virtù di quelle 'leggi speciali" che i governi di "solidarietà nazionale" (sorretti dall'accordo fra DC e PCI) si affrettarono a varare per reprimere l'insubordinazione di massa caratteristica del movimento del 77 che attraversò tutti gli anni 70, e lopposizione armata delle organizzazioni clandestine.
Il ventaglio degli strumenti della repressione effettuata dallo stato italiano sui movimenti rivoluzionari degli anni 70 può ben dirsi ampio e articolato. Ad onta dei luoghi comuni sulla 'disorganizzazionè mediterranea, l'Italia ha fornito agli altri paesi europei un esempio efficace di reazione all'insorgenza rivoluzionaria dell'estrema sinistra, che ha fatto scuola sia sul terreno penale che su quello carcerario. L'aumento delle pene per i reati commessi "con finalità di terrorismo" si saldò infatti all'istituzione di "carceri speciali" dove tali pene venivano scontate in condizioni di massimo controllo e di accentuato condizionamento psicologico nei confronti dei detenuti. E se, d'altra parte, non è stato affatto raro il ricorso alla tortura per estorcere informazioni ai militanti catturati da polizia e carabinieri, venne contemporaneamente prendendo corpo un meccanismo di sfruttamento delle contraddizioni presenti nelle organizzazioni rivoluzionarie, che condusse dapprima alla costruzione giuridica e simbolica della figura del "pentito", e poi a quella del "dissociato".
L'insieme di quest'opera di repressione costituisce un complesso storico dotato di specificità e fisionomia definite. Esso va sotto il nome di "emergenza", ed è ancora relativamente poco studiato, sia sotto il profilo genetico, sia sotto quello che riguarda il legame con le politiche emergenziali degli anni 80 e 90, volte ad affrontare in modo autoritario fenomeni come quelli della tossicodipendenza, dell'immigrazione, della questione meridionale e del diritto di sciopero. In ogni caso, è certo che in Italia esistono ancora ostaggi fisici e simbolici dell'emergenza avviata dai governi della solidarietà nazionale e mai più rinnegata dal sistema politico. Sono i prigionieri ancora detenuti nelle carceri italiane, e ad essi ci si riferisce quando genericamente si parla di "soluzione politica", di "indulto", di "amnistia" o di quantaltro.
...un pò di storia
Il dibattito sulla "soluzione politica" è iniziato, in Italia, all'incirca dieci anni fa. Avviato dalle prese di posizione di numerosi ex dirigenti delle organizzazioni combattenti, esso si è sempre arenato nell'indisponibilità del sistema politico ad affrontare con taglio storico-politico il problema delle spinose eredità del conflitto sociale degli anni 70 e 80. In questi anni, si è infatti assistito ad una politica di stop and go, rilevante soltanto nell'accumulare motivi di perplessità e di sfiducia. Nel corso delle varie legislature susseguitesi, il tema della "soluzione politica" ha guadagnato si adepti in tutti i partiti, ma senza che ciò producesse un serio impegno di tali organismi, e nemmeno, in particolare, dei partiti annoverabili nell'area della sinistra.
Perchè questo è accaduto? Perchè, in luogo di una forte battaglia per un'amnistia generale che chiudesse la pagina storica dell'emergenza restituendo alla libertà civile e personale detenuti ed esuli, si è invece scelta la strada di un ben più misero indulto da ipotizzare sulla base dell'ambiguo principio del 'riequilibrio delle pene"? Le ragioni di questo fatto sono molte, e qui è possibile accennarvi solo di sfuggita. Da un lato ha pesato la debolezza complessiva della sinistra rivoluzionaria italiana degli anni 80, ed anche la mancanza di dialogo fra i prigionieri delle organizzazioni combattenti e i nuovi militanti delle realtà auto-organizzate e di base. Dall'altro ha certamente influito la deriva emergenziale della sinistra storica, che si è completamente identificata con l'ordine del discorso giuridico, ed anzi, in taluni casi, è apparsa persino più zelante delle destre nel rivendicare la "liceità democratica" della repressione effettuata negli anni 70 e 80, In questo contesto, non va dimenticato il ruolo nefasto esercitato dal fenomeno della cosiddetta "dietrologia". Presunti specialisti in misteri si sono affaticati per anni, a! fine di provare l'improbabile. E se il loro tentativo di dipingere la storia delle organizzazioni armate come quella di piccoli gruppi estraniati dalle lotte di massa e controllati dai servizi segreti, risulta alla fine frustrante e frustrato, ciò ha nondimeno creato confusione, e rallentato la presa di coscienza collettiva delle aree della sinistra democratica e di base circa la necessità di un'urgente e convinta battaglia per la liberazione dei prigionieri politici come battaglia di memoria e di libertà con forti implicazioni per l'identità ed il futuro dei movimenti.
Tutto questo spiega come la questione della "soluzione politica" si sia alla fin fine assestata, dal punto di vista legislativo e delle formule potenzialmente accettabili dal sistema politico, sul terreno dell'indulto. Indulto che, beninteso, sia sotto il profilo dei contenuti che sotto quello delle premesse, risulta assai moderato anche nell'ipotesi legislativa più avanzata, sorretta dall'accordo di molti parlamentari di PDS, Verdi e Rifondazione Comunista. Occorre tuttavia dire che se, da un lato, questa proposta di legge è carente sotto riguardi decisivi (come per esempio quello che concerne gli esuli politici), dall'altro non è affatto certo che la sua approvazione sia facile, o risulti alla fine confluente in un testo minimamente dotato delle condizioni di oggettività e non premialità che lo renderebbero, comunque, un passo avanti sulla strada della fine dell'emergenza. Infatti, alla fine degli anni 80 una legge voluta principalmente dalla sinistra storica, elevò il quorum necessario all'approvazione dei provvedimenti di amnistia-indulto, alla soglia dei due terzi degli aventi diritto al voto parlamentare. E, d'altra parte, la tentazione di reintrodurre meccanismi di discriminazione politica nell'articolato della proposta di legge non può dirsi certo superata dal momento che sia a livello culturale che ancor più a livello politico la cancellazione della memoria del conflitto degli anni 70 è stato il cavallo di battaglia della classe politica dominante e non solo.
Due appaiono pertanto le dimensioni prevalenti dell'impegno richiesto alle realtà del movimento antagonista, della sinistra comunista e degli autentici democratici. Premesso infatti che la proposta di legge sull'indulto non può essere considerata soddisfacente né in linea di principio né in linea di fattoi, si tratta però, in primo luogo, di domandarne con forza la già enormemente e scandalosamente rimandata approvazione, e, di lottare affinchè nell'articolato del testo venga inserito anche il problema degli esuli, evitando peraltro ritorni di fiamma discriminatori che a questo punto renderebbero l'indulto un'oscena forca caudina ideologica, e di fatto, una nuova edizione dei ricatti tristemente sperimentati al tempo della dissociazione. In secondo luogo di rafforzare l'articolazione sociale di questa battaglia concependo il passaggio legislativo dell'indulto come una tappa del percorso più generale di liberazione dalla legislazione d'emergenza che ha come obiettivo irrinunciabile la libertà dei prigionieri politici ed il rientro degli esuli del contesto sociale degli anni 70 e 80.
In questo senso, la pressione di massa deve unirsi ad un'attenta e competente vigilanza. In gioco c'è molto più della semplice (e già di per sé importante) libertà di uomini e donne che hanno scontato decine di anni di carcere. C'è infatti il rapporto di un paese con il proprio passato recente, fatto di conflitti sociali che vanno assunti come patrimonio e bagaglio storico da elaborare e riesaminare liberamente nel presente. E c'è il modo in cui si porrà o non si porrà fine all'emergenza che sempre più rappresenta cultura di governo nell'affrontamento delle contraddizioni sociali, e sempre meglio si affina come pratica di controllo e repressione delle lotte e delle pratiche dei movimenti, come i recenti fatti del Leoncavallo e dell'Ambasciata peruviana dimostrano con chiarezza.
...per ricordare
Parlare del conflitto degli anni 70 significa parlare di un fenomeno sociale e politico dalle caratteristiche di acuta radicalità che ha attraversato il tessuto sociale di questo paese. Analizzare le motivazioni, le aspettative, i contenuti e gli obiettivi che hanno contraddistinto il movimento degli anni '70 consentono, in maniera più appropriata, di coglierne tutta la sua portata antagonista e il suo conseguente percorso rivoluzionario; una ricostruzione e un'analisi su questo terreno è il compito che ci proponiamo quando parliamo di conquista della memoria e che in altri ambiti cerchiamo di realizzare. E' sufficiente però anche soltanto osservare l'aspetto quantitativo del conflitto di quegli annii per avere un'idea della sua estensione; considerando che i dati che riportiamo riguardano solo l'aspetto armato del conflitto che ne è stata una parte significativa ma pur sempre una parte:
circa 300 meno di 10 anni,
oltre 3.100 più di 10 anni,
quasi 600 più di 15 anni .....
un totale di poco meno di 50.000 anni di galera fino ad oggi scontati (500 secoli)!!
di questi 4.200, circa 210 sono ancora detenuti (170 uomini e 40 donne), parzialmente o totalmente nelle prigioni italiane;
circa 200 sono esuli in territorio straniero
dei circa 210 attualmente detenuti, 77 hanno la condanna all'ERGASTOLO gli altri hanno condanne a pene temporali tutte superiori ai 20 anni di carcere;
- 29 prigionieri/e da 8 a 13 anni
- 147 prigionieri/e da 14 a 18 anni
- 34 prigionieri/e oltre 19 anni
Come pensa di risolvere questo problema la legge di indulto?
Il 2 aprile scorso la Commissione Giustizia del Parlamento italiano (Camera dei Deputati) ha adottato a base di discussione una bozza di legge di indulto per i condannati per fatti di lotta armata unificando varie proposte di legge sulla stessa materia, presentati da diverse forze politiche, giacenti in Commissione. Su questa bozza verranno apportati emendamenti e successivamente, probabilmente entro giugno prossimo, la legge verrà discussa da un ramo del Parlamento. Ricordiamo che per essere approvata una proposta di indulto ha bisogno non di una maggioranza semplice ma dei 2/3 dei parlamentari aventi diritto al voto, un quorum praticamente irraggiungibile che non rende ottimisti sull'esito del cammino annoso di questa proposta di legge. Non solo, ciò che preoccupa ancor di più è il senso del dibattito in Commissione dal quale si è evidenziata una posizione di alcune forze politiche (FI, AN, CCD, ...) che non intendono far passare un provvedimento a carattere oggettivo e indifferenziato; è da attendersi dunque emendamenti peggiorativi da parte di questi gruppi politici.
Il "Testo Unificato" prevede che :
viene escluso da questo indulto chi ha commesso il reato di strage se dalla stessa è derivata la morte.
La grave inadempienza di questa proposta di indulto è che non considera per nulla il problema degli esuli. Per questi compagni/e che vivono in esilio da oltre un decennio, gli anni trascorsi in esilio non vengono computati ai fini della quantità di anni di detenzione scontata. Se volessero usufruire dell'indulto dovrebbero tornare in Italia e scontare gli anni di carcere previsti per la condanna di ciascuno. Gli anni trascorsi in esilio, per questi compagni/e, non vengono computati nemmeno ai fini dell'ottenimento delle forme di carcerazione alternativa o delle forme di detenzione parziale (semilibertà) previste dalla legge cosidetta "Gozzini" (Art.6 del Testo Unificato di indulto)
Come e quando uscirebbero di prigione le compagne e i compagni prigionieri?
Dei 77 compagni/e condannati all'Ergastolo ne uscirebbero pochi subito, una metà nell'arco di 4 anni e i restanti entro 8-9 anni. (Non si può fare un calcolo preciso perché a ciascun detenuto/a possono venir abbonati, secondo le leggi vigenti in Italia, 90 giorni di carcere per ogni anno di detenzione, ma questa concessione è applicata in maniera discrezionale);
Valutazioni finali
Questi dati numerici, nella loro apparente freddezza, nascondono, ma nemmeno tanto, un profondo significato politico e vanno a confermare la nostra valutazione iniziale: ossia che si continua a non voler affrontare in termini politici il conflitto degli anni 70-80.
Per questo è importante mantenere alta l'attenzione sulla prigionia politica affinché si creino le condizioni che restituiscano memoria, identità, liberazione alla nostra storia. A tale scopo abbiamo allegato a queste pagine un elenco, seppur incompleto e in taluni aspetti probabilmente inesatto, dei compagni ancora detenuti e dei "dati" che li riguardano perché crediamo che questi compagni e la loro detenzione debba riguardare tutti.
....questi nostri compagni vanno amati, rispettati, liberati!
Elenco dei prigionieri e delle prigioniere politiche (aggiornato)
...la rete "sprigionare"
Dalla consapevolezza di non poter più rinviare la questione della liberazione degli anni '70 è nata la rete sprigionare, di cui alleghiamo di seguito alcuni documenti.
SPRIGIONARE è la rete nazionale dei centri sociali occupati ed autogestiti e delle realtà di base che hanno deciso di impegnarsi affinché la "cultura emergenziale" scompaia dall'orizzonte di questo paese.
E la rete di chi trova inaccettabile che le ragioni sociali dei movimenti di massa vengano ridotte a fenomeno criminale, mentre la verità su stragi di Stato e tentati golpe passa sotto silenzio.
È la rete di chi, pur con linguaggi e culture differenti, ha sperimentato sulla propria pelle, nel proprio impegno o nel proprio lavoro che la diffusione della scelta carceraria e sanzionatoria non ha risolto nessun problema sociale. Soprattutto è lo strumento di chi si è reso conto che non è possibile affrontare il modello emergenziale eretto a edificio istituzionale e norma sociale se non affrontando il problema alla radice: il conflitto degli anni '70 e la "legislazione d'emergenza" che forzò lo stato di diritto pur di ridurre al silenzio la generazione protagonista di quella stagione di lotte.
Quella logica repressiva è diventata cultura, pratica e sostanza di governo e non potrà essere efficacemente scalfita finché quella generazione e quel conflitto non sarà restituito alla libertà e alla memoria collettiva.
Tra vecchie e nuove emergenze cresce e prospera la "democrazia autoritaria": è questa la vera emergenza!!
La vera emergenza è la società dell'esclusione e dell'apartheid generata dal "pensiero unico" e dal liberismo. La vera emergenza è la torsione violenta che ciò impone alle relazioni sociali, alla politica, alle istituzioni con una revisione costituzionale plebiscitaria e presidenzialista e una "democrazia autoritaria" blindata, militarizzata e incline alla guerra.
A questa emergenza che si alimenta degli scenari dipinti dal neoliberismo noi vogliamo opporre una battaglia dal basso, un'iniziativa ampia ed articolata che metta in relazione e movimento la società civile, le forme di autogestione ed autorganizzazione dei movimenti, il mondo dell'associazionismo e della cooperazione sociale, quella multiforme galassia dei diritti e delle libertà che, sola, è ancora in grado di parlare un linguaggio universale.
Carta d'intenti
liberare tutti liberare gli anni 70
Premessa
Dall'estate del '96 abbiamo assistito ad una nuova e più puntuale attenzione alla questione anni '70, memoria, prigionia politica, carcere ed emergenza da parte di quel tessuto sociale che va dai centri sociali autogestiti alle forme di autorganizzazione dei movimenti.
Il C.S.O.A. Gramna di Cosenza diede un nome alla necessità di liberare gli anni '70 restituendo alla libertà i protagonisti ancora prigionieri o esuli di quel ciclo di lotta "LA SETTIMA ONDA".
Quell'onda si è propagata in più direzioni e, soprattutto prima che il "caso Sofri" esplodesse, linguaggi e memorie differenti, hanno trovato una sensibilità comune intorno ad un vecchio nodo quanto mai attuale per il presente dei movimenti: LIBERARE TUTTI, SPRIGIONARE gli ANNI '70 per sprigionare la società.
Una battaglia di giustizia e di libertà ha cominciato ad assumere una fisionomia, dei connotati, degli obiettivi irrinunciabili.
Con questi obiettivi siamo scesi in piazza a Roma il 14 dicembre '96 affinché fosse evidente il nesso di identità che lega questa battaglia con il conflitto sociale che ha attraversato questo paese negli anni '70, conflitti di cui la strage di Piazza Fontana fu uno dei momenti più terribili e più chiari della indisponibilità al cambiamento di una classe politica che si fece stragista pur di difendere se stessa,
Per questi stessi obiettivi, dopo un dibattito acceso, alcuni di noi hanno manifestato il 15 febbraio a Pisa, non perché condividessimo i lineamenti di una battaglia individuale e "apolitica", ma affinché fosse evidente che a distanza di anni I'edificio emergenziale posto a difesa di quel ciclo di lotte è quanto mai solido e strutturato; affinché fosse evidente quanto avesse invaso i rapporti sociali diventando cultura di governo e meccanismo di gestione delle contraddizioni sociali; ma soprattutto affinché in quella piazza non fosse presente unicamente il coro degli "innocenti", ma anche quello di "noi, i colpevoli" come recitava il manifesto di convocazione.
Siamo consapevoli che la discussione su "partecipare o meno a Pisa" ha messo in evidenza divergenze anche forti tra noi, ma siamo altrettanto consapevoli che questa battaglia è più forte di qualsiasi divisione passata e presente perché ci richiama ad una storia e ad una identità che è comune, perché parla il linguaggio dei movimenti di trasformazione, dell'alterità e della dignità necessaria affinché questi movimenti pesino sulle scelte politiche dell'oggi
Peraltro una particolare contingenza con implicazioni storiche, culturali e politiche sorregge I'attualità di questa battaglia; da una parte il ventennale del '77 investito dall'ondata "revisionista" in voga anche tra certa sinistra, dallaltra la consapevolezza che si sta consumando un passaggio politico "costituente" senza una parte di questo paese, anzi CONTRO un Pezzo di storia diquesto paese, cioè le sue lotte e le sue conquiste pagate a caro prezzo.
Un momento politico molto importante che, va da sé, mette in gioco il senso dei valori e delle pratiche dell'autorganizzazione, dell'autogestione, della democrazia diretta e radicale, in poche parole della configurazione attuale e futura della trasformazione sociale, e che non possiamo lasciare nelle mani di una classe dirigente incline al presidenziaiismo e su cui pesa la responsabilità della torsione che investe la Costituzione e la politica ponendo una pericolosa ipoteca sulla possibilità che il conflitto sociale incida ancora nell'alveo già impoverito delle istituzioni rappresentative
Con queste motivazioni ci siamo trovati a Roma il 21 febbraio per verificare quanto fosse maturo questo percorso e per costruire insieme le tappe e I'articolazione di una campagna di lotta nazionale che liberando gli anni '70 apra un nuovo e più fecondo capitolo sul terreno delle libertà e delle giustizie sociali.
Le note che seguono sono il frutto di questa discussione e delle prime indicazioni operative su cui sollecitiamo il contributo delle realtà sociali di base.
........................................................................................................................................ Sprigionare
Assemblea romana della rete tenuta allo spazio sociale ex Snia ií 28.02.97
a p p e I I o___________________________________________
In Italia ci sono ancora prigionieri politici. Non sono i responsabili di Tangentopoli, né gli autori delle stragi, sono i protagonisti delle lotte degli anni settanta e ottanta, che rappresentano fisicamente la volontà della classe politica di continuare a governare il Paese con una logica emergenziale.
Oggi il ceto politico sta tentando dì completare il passaggio alla Seconda Repubblica autoassoIvendosi, da ogni responsabilità passata e rimuovendo le ragioni del conflitto sociale che ha attraversato il Paese; occorre ricordare che la responsabilità maggiore nello scatenamento del conflitto armato è ascrivibile alla classe dirigente di allora (ampiamente riciclatasi nel presente) che non esitò ad opporsi ai poderosi movimenti di massa della fine degli anni sessanta ed al nuovo protagonismo sociale usando ogni mezzo, dalla falsificazione sistematica della verità alle stragi, in una strategia che vide nella bomba di Piazza Fontana uno dei momenti più terribili ed emblematici della sua indisponibilità al cambiamento. Le conseguenze di questa volontà pesano ancora su di noi, l'edificio emergenziale, costruito per schiacciare ogni spinta al cambiamento, è divenuto cultura di governo e meccanismo di gestione delle contraddizioni e dei conflitti.
La proposta di legge in materia di indulto uscita dalla commissione giustizia, i cui lavori sono stati accompagnati dal silenzio dei mezzi di informazione, dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, la volontà di non risolvere in maniera definitiva il problema, particolarmente per quel che riguarda gli esuli, la cui posizione non è considerata in nessun articolo del progetto di legge. L'inizio della discussione in aula è prevista per i primi di giugno, i tempi per intervenire sono brevi e gli emendamenti che verranno nel frattempo presentati non potranno che essere, per gran parte, peggiorativi.
Oggi più che mai, è necessario che una battaglia di libertà, giustizia e verità, si strutturi e si dia degli obiettivi irrinunciabili. E' necessario che tutte le realtà di base e dell'autorganizzazione, dell'associazionismo e della cooperazione sociale, le sensibilità democratiche presenti nel mondo della cultura, dell'arte, delle vecchie e nuove creatività metropolitane e quei settori della sinistra istituzionale che non hanno reciso i legami con il proprio passato, tutte le donne e gli uomini liberi, facciano propria questa battaglia e chiedano con forza un provvedimento oggettivo, uguale per tutti, per la liberazione dei prigionieri politici ed il rientro degli esuli, che non ponga condizioni o pretenda inaccettabili scambi da chi ha scontato in media dieci o quindici anni di prigione.
Per questi motivi abbiamo dato corpo ad un collegamento reticolare nazionale tra i centri sociali, le associazioni, le realtà di base che si sentono coinvolte in questa battaglia oramai ineludibile per chi voglia continuare a pensare la propria vita ed il proprio futuro in termini di superamento e trasformazione dell'esistente.
Oggi, su questi obiettivi, è necessario che linguaggi e sensibilità differenti trovino un sentire comune intorno ad un nodo quantomai attuale:
LIBERARE TUTTI
SPRIGIONARE GLI ANNI SETTANTA PER SPRIGIONARE LA SOCIETA
Rete Nazionale "Sprigionare per la liberazione dei prigionieri politici ed il rientro degli esuli
c/o CSOA ex Snia-Viscosa, Via Prenestina 173
001 76 Roma - Tel/Fax: 06/274274
CSOA Forte Prenestino, Corto Circuito, La Torre, La Strada, Ex-Snia Viscosa, Villaggio Globale, Auro e Marco, Compagne e compagni romani, El "Che"ntro sociale Torbellamonaca, Radio Città Aperta, Macchia Rossa, Coop. Arca di Noè, SACS (soc. artisti comun. Spettacolo), Leoncavallo, Radio Sherwood, Comitato d'iniziativa per l'Amnistia (BO), C.S. KAVARNA Pozor Pivo (Cremona),TNT Jesi, Associazione "Ya Basta", Melting dei Centri Sociali del Nord-Est, Razzismo STOP, Associazione Arsenale Sherwood, Associazione SignorNò!.
La rete "Sprigionare" ponendosi l'obiettivo di superare la cultura emergenziale, di liberare dal carcere e di far rientrare in Italia tutti coloro sui quali grava ancora il peso delle leggi d'emergenza create negli anni '70 e mai più ridimensionate
chiede adesione affinchè
nel nostro paese si riaffermi il principio di democrazia dal basso;
la storia di tutti noi, degli anni '70, non cada nel vuoto;
la repressione violenta dello stato non venga confusa con la legalità;
i tentativi di cambiamento della società non vengano più criminalizzati:
non si creda che restare ai margini dello sviluppo sia una colpa propria;
affinché si possa affermare che "ribellarsi è giusto".
Il collegamento reticolare della rete consente a tutte le strutture ed ai singoli di contribuire in vario modo a creare, partecipare, diffondere, riflettere, promuovere incontri, iniziative, spettacoli, campagne di solidarietà in assoluta autonomia ed indipendenza o in collaborazione con le altre strutture aderenti alla rete.
Si tratta di lanciare un messaggio forte e chiaro - SPRIGIONARE IL PRESENTE PER LIBERARE Il FUTURO - si tratta di articolare sul territorio nazionale una battaglia forte, moralmente necessaria, idealmente utile; di aprire il confronto nella società tutta per incidere necessariamente sulle decisioni del Palazzo in merito ad amnistia ed indulto; si tratta sicuramente di uno slancio creativo, nuovo, da inventare insieme nelle mille forme possibili ed immaginabili per LIBERARCI TUTTI.