Il Corriere della Sera - 05.04.98

WB01343_.gif (599 bytes)


IN MEZZO AI DIMOSTRANTI - LA TRIBU' DEI "DIVERSI" FA LA FACCIA FEROCE PERCHE' NON CREDE NEL FUTURO

Riccardo Chiaberge,

E intanto, Radio Duemila Black Out esprime il suo civile dissenso verso gli operatori dell'informazione: "Sono dei provocatori, degli infami. Nel corteo non li vogliamo. Bisogna boicottare il loro lavoro di merda". Insulti a parte, poteva andar e peggio. Chissà, forse li abbiamo presi troppo sul serio. Che si chiamino "squatter", o autonomi, o comunisti-anarchici, non sono il partito armato. Sono un magma di tribù orgogliose della loro diversità , delle loro creste fucsia, degli anelli all'ombelico e dei giubbotti di pelle. Fanno la faccia feroce, vogliono spaventare perché hanno paura, minacciano un futuro nel quale hanno smesso di credere, scimmiottano una rivoluzione virtuale a ritmo di rap. Le realtà autogestite, la trasformazione radicale, le contraddizioni di classe, l'attacco brutale della borghesia: oh yeah. Ma soprattutto non hanno nessuna intenzione di dialogare, chiedono soltanto di essere lasciati in pace nelle loro riserve. "Una svolta ci vuole, qualcosa di forte ci vuole. Faccio movimento per il movimento". Anarchici, si definiscono. Ma Bakunin o Proudhon non li hanno letti, forse non sanno nemmeno chi fossero, e tra di loro non c'è nessun Cafiero. Il loro anarchismo è poco più di una ginnastica, un'icona come la faccia del Che sulla T -Shirt. Ma in comune con gli anarchici hanno l'amore per tutto ciò che è naturale e l'odio per ogni struttura complessa. Odiano tutti. Il prefetto, gli sbirri, i borghesi (cioè mamma e papà). La cricca Violante-Caselli. Il sindaco dell'Ulivo che ripulisce solo i palazzi del centro. I treni ad alta velocità. I supermercati dove ogni tanto vanno a fare la spesa proletaria. E soprattutto i giornalisti. Non quelli di destra o di sinistra: i giornalisti tout court, in quanto incarnazioni del potere mediatico. Questi ragazzi hanno le loro radio private e i loro siti Web, navigano su Internet e comunicano per e-mail, ma detestano la comunicazione. Non vogliono restare invischiati nella ragnatela globale. Rifuggono dai riflettori, detestano la tv e i telefonini. Preferiscono gli scantinati. Poi però, quando è necessario, sono i primi a ricorrere a forme di lotta spettacolari. "Uscire dal ghetto, uscire dalla gabbia/creare e organizzare la nostra rabbia". Anche se nel corteo si distingue qualche barba antica, qualche zazzera ingrigita, i reduci dell'Autonomia sono tollerati come vecchi zii. Loro avevano un'ideologia, per quanto delirante, sui muri scrivevano slogan che chiunque poteva capire. Questi disegnano con lo spray geroglifici senza senso. E poi, Pot-op e Indiani metropolitani erano frange di un sottoproletariato intellettuale che ancora confidava nei sussidi dello Stato. Si barcamenavano tra Dé leuze e Cirino Pomicino, i loro desideri diventavano leggine, assunzioni clientelari, cooperative giovanili, giacimenti culturali. E' stata la generazione degli ope legis, dei precari stabilizzati. I giovani del '98 si sentono su un Titanic senza scialuppe di salvataggio. Sono gli esclusi dell'Euro, la schiuma di Maastricht. Gli orfani del Welfare. Ma anche i figli di un sistema educativo in sfacelo. Balbettano una disperazione afasica. Ce l'hanno a morte con una città che sovvenziona bocciofile e centri per anziani e non costruisce campi da gioco. Con una sinistra che protegge le pensioni di anzianità e riduce l'orario a chi è già occupato, senza aumentare le occasioni di lavoro per chi sta fuori. Si iscrivono all'università per avere lo sconto sui tram e la mensa a prezzo politico. Non hanno una lira in tasca né un'idea di che fare nella vita. E allora sono pronti a qualunque cosa, anche a vendere spinelli o a vivacchiare di elemosine. Insomma, hanno mille motivi per protestare. Stiamo attenti, però, a non creare dei miti. Il corteo di Porta Palazzo non è l'avanguardia di una generazione. Là fuori ci sono milioni di ragazzi come loro che studiano seriamente e si fanno in quattro per inventarsi un mestiere. E per favore, non ricominciamo con la mistica dell'antagonismo, con le omelie sulla società violenta, con i sociologi che pontificano sul disagio giovanile e i guitti che fanno gli ecoterroristi dagli schermi di Telepiù. Pietà, non fateci rivedere questo film. Anche gli anni '70 erano iniziati con gli appelli degli intellettuali in difesa dei "compagni che sbagliano" ed erano finiti con il sangue dei Casalegno e dei Tobagi. Bisogna essere chiari: i problemi vanno affrontati e risolti, i violenti devono essere isolati. Infame è chi mena le mani, non chi usa la penna o il cervello.

WB01343_.gif (599 bytes)