Il Manifesto - 03.04.98
SPEGNIAMO LA MICCIA - LORIS CAMPETTI
Il funerale di un giovane anarchico morto suicida in carcere, dov'era tenuto in isolamento con l'accusa quantomeno incerta di ecoterrorismo, non è un fatto privato. Al contrario, nella testa di chiunque si pensi democratico sarebbe dovuta scattare l'idea di accompagnare il feretro di Edoardo Massari nell'ultimo viaggio. E' inaccettabile la motivazione con cui i suoi amici squatter ("questo è un fatto privato") hanno giustificato la violenta aggressione ai danni di chi - i giornalisti ma anche chi tentava di riallacciare il filo spezzato con un pezzo di città esclusa - voleva partecipare e raccontare un lutto che è collettivo. A una ferita nel corpo di una città che sta perdendo identità e memoria, se n'è aggiunta un'altra. Naturalmente, più grave della giustificazione è il fatto stesso, cioè l'aggressione. Non solo per una generica condanna della violenza, né soltanto perché di violenza, in questa bruttissima vicenda, ne è stata messa in campo troppa, e da troppe parti. E' grave perché rende ancor più impenetrabile il muro che divide non tanto e non solo gli squatter, non tanto e non solo i centri sociali, ma una città di esclusi da una città di presunti inclusi. Esclusi sono certamente tutti quei giovani che non hanno né lavoro né futuro accettabile, tutti quelli, per dirla con le parole di Stefano Benni su questo giornale, che non sono capaci di sedersi in un salotto televisivo. L'aggressione fisica contro il nostro compagno Paolo Griseri e tutti gli altri giornalisti presenti, l'estromissione di tutti gli esterni al gruppo dai funerali, sono gesti tanto intollerabili quanto autolesionisti. Se si è arrivati alla rottura di ieri la colpa non è soltanto né principalmente degli squatter o di una parte dei centri sociali. La rapidità e la leggerezza con cui la magistratura torinese ha deciso che Massari era il responsabile di ogni atto di sabotaggio in val di Susa è quantomeno sospetta. Soprattutto perché di filoni di indagine possibili ce ne sono altri, ben più inquietanti, non meno solidi della troppo comoda pista anarchica. E ancora: perché tenere Massari in isolamento nello stato di depressione in cui era, uno stato denunciato e ben noto al direttore del carcere e al giudice? E quale logica perversa ha fatto sì che fino a poche ore prima del funerale di Massari venisse negato alla sua compagna, in carcere con le stesse accuse, di parteciparvi? Era così necessario soffiare sul fuoco? Domani, a Torino ci sarà una grande manifestazione promossa dai centri sociali a cui hanno già dato la loro adesione in tanti che con i centri sociali hanno ben poco a che fare, ma pensano che la città di Torino debba abbattere i suoi muri, le sue divisioni, e dare un segnale di civiltà. Un segnale, se ha un senso usare una parola troppo impegnativa, di amore. Più saremo, alle 14 di sabato a Porta Palazzo, a Torino, e meno difficile sarà la ricostruzione di un dialogo spezzato. Imparando tutti - noi stessi, la sinistra di governo e d'opposizione, i centri sociali e gli squatter - che quasi mai il nemico principale è il più vicino a sinistra.