Il Manifesto - 03.04.98
UNO SQUATTER SI AGGIRA...
LIVIO QUAGLIATA
Londra, Berlino, Amsterdam, Zurigo, Torino: storia di un movimento E così i giornali e le televisioni hanno scoperto un'altra parola, l'hanno amplificata e infine appiccicata addosso a un gruppo di persone che abitano a Torino. Squatters. Le "tipizzazioni" non sono solo affare dei media ma di chiunque si trovi a vivere in una società complessa che senza "tipi" non riesce a comunicare. Nel caso in esame, però, il gran circo mediatico ci ha poi aggiunto del suo dando a quella parola un contenuto che va dal folkloristico al criminalizzante. La cosa assurda è che, aldilà del suo uso strumentale, la stessa parola squatter non aiuta a capire e rischia di generare ancora più confusione. Innanzitutto non è stata inventata a Torino, né dai giornalisti né dagli etichettati, ma in Inghilterra. E non oggi ma almeno una trentina d'anni fa. La traduzione letterale di squatter è "chiunque occupi il suolo pubblico", ma il suo significato reale, concreto, si lega in particolare all'occupazione di case. Nella Londra degli anni Settanta l'occupazione delle case era una attività normale, con contenuti al limite dell'impolitico: non occorreva essere dei ferventi rivoluzionari per entrare di notte in un appartamento e tentare di piazzarvicisi. La cosa era facilitata anche da una legge che stabiliva che se da quella casa non si veniva cacciati entro tre mesi si poteva rimanerci come fosse la propria. Capirete che manna per un'intera generazione di giovani, ansiosi di lasciare il triste focolare domestico e senza una sterlina in tasca. L'uso concreto di questa benedetta parola si è poi via via allontanato da Londra spostandosi in Germania ed in particolare ad Amburgo (quartiere St. Pauli) e a Berlino (Kreuzberg) acquistando altri sensi. Qui la cosa assume subito connotati più politici, il movimento delle occupazioni - besezt - dalla seconda metà degli anni Settanta in poi si fonde con quello antinucleare e pacifista. Sono gli anni, a Berlino, del "Tuwat", centro sociale ante-litteram che raccoglie l'ala più radicale dei "reduci" del '68 e che oggi vivacchia come eccellente luogo di produzione culturale anche à la page. Il movimento vive un periodo di calo a metà degli anni Ottanta per poi riprendersi brillantemente fino alla caduta del Muro. Con l'89, il movimento vince e in qualche modo perde. I governi locali, ansiosi di fare di Berlino una capitale normalizzata, si accordano con gli occupanti. Oggi Kreuzberg, la lunga Oranienstrasse, è un quartiere che attira i turisti in cerca delle sovversive emozioni di un tempo: gli occupanti hanno messo su famiglia e sono diventati inquilini, hanno ristrutturato le case e pagano affitti simbolici. E' un po' la stessa parabola che hanno vissuto i crackers olandesi - crackers perché per occupare gli appartamenti dovevano sfondarne le porte - con la differenza che ad Amsterdam le amministrazioni hanno semplicemente smesso di occuparsene. Non la Svizzera, poi, ma Zurigo, in quegli stessi anni aveva più o meno copiato il modello tedesco. La zona attorno alla stazione negli anni Settanta appariva agli occhi dei giovani italiani in gita all'estero una zona liberata, con l'Autonomen Jungen Center a condurre battaglie politiche durissime (una ragazza morì bruciata) e creative (celebri le manifestazioni nude e le "bombe" colorate) lungo tutto il corso degli anni Ottanta. Anche qui la parabola assomiglia parecchio a quella seguita nel nordeuropa. L'erede dell'Ajc è oggi la Rote Fabrik, uno splendido edificio in mattoncini rossi che, immerso nel verde, guarda il lago e che è stato "regalato" dall'amministrazione comunale in cambio di una certa pace sociale e dell'osservanza di alcune regole di comportamento tipicamente elvetiche: a cominciare dall'orario di chiusura. In Italia le occupazioni delle case hanno avuto ovviamente un'altra storia. Pur intrecciate ai movimenti politici degli anni Settanta, non hanno coinvolto tanto i giovani quanto intere famiglie, né hanno preteso di essere "zone temporaneamente autonome" come invece è accaduto al movimento degli squatter nordeuropei. Oggi alcuni di quei vecchi occupanti hanno avuto in assegnazione gli appartamenti, altri sono stati violentemente sgomberati dalla polizia. Solo più tardi, nel deserto degli anni Ottanta, a Milano, Roma, Torino, Bologna, proprio i giovani - ora sì, come in Europa, sismografo sensibile alle trasformazioni sociali - riprenderanno le occupazioni di case e soprattutto di fabbriche abbandonate. Ma lo faranno con un altro spirito, tentando di sperimentare forme diverse di vita in un continuo oscillare tra intenzionalità impolitica e progetto politico. Fino a fare intravvedere, ma ancora molto vagamente e con varianti interessanti, parabole simili a quelle seguite dagli squatter nordeuropei. E così torniamo a Torino. Perché se al centro sociale Leoncavallo di Milano il concerto si paga (magari poco), alla Casa Okkupada di Torino vige il baratto. E se a Milano con le istituzioni si parla, a Torino no. Ma non è su queste basi che si può tracciare una linea divisoria tra buoni e cattivi. La differenza semmai sta tra chi affronta le domande poste dai mutamenti sociali e che invece rivendica, a rischio di autoesclusione, la propria alterità nei confronti di "un mondo di morti".
(Hanno collaborato Sandro Mezzadra, Marco Philopat, Benedetto Vecchi)