Il Manifesto - 03.04.98

WB01343_.gif (599 bytes)


LETTERA - DIAMOCI LA POSSIBILITÀ DI DIALOGARE 
- LIVIA TURCO* -
Caro direttore, ho letto sul suo giornale la lettera scritta dai giovani
del centro sociale Gabrio di Torino e, senza entrare per il momento nel
merito delle denunce che nel loro scritto vengono proposte, vorrei
approfittare dell'ospitalità del suo giornale per dir loro che non c'è
alcuna ipocrita scelta di silenzio di fronte a quello che è accaduto. Il
problema se mai è non parlare a vanvera e cercare invece la strada per un
dialogo che non obblighi nessuno a rinunciare alla sua identità. Il
suicidio di un ragazzo in carcere ci interroga tutti. Sia che le cause
siano riconducibili ad un abuso di custodia cautelare, sia che vadano
ricercate nella fragilità personale, nella solitudine, nel non vedere
sbocchi o vie di uscita alla propria condizione, sia che siano risultato di
tutto ciò e di quel qualcosa di misterioso e di insondabile che sta dentro
il cuore di ogni uomo e di ogni donna. Ciascuno deve chiedersi dove ha
sbagliato, chi sta nelle istituzioni e chi ne sta fuori. E anche chi si
dichiara estraneo e contro. Ho da tempo la convinzione che il carcere non
sia la risposta ai problemi e alle trasgressioni dei giovani e che
bisognerebbe ricorrervi il meno possibile. Ma chi ha il compito di
governare, soprattutto, non può cavarsela con un po' di sociologia sul
mondo giovanile, di quella che riempie i giornali, talvolta utilmente,
giusto il tempo che mantiene attualità una notizia spettacolare. Per quanto
mi riguarda, da tempo ho cominciato a ragionare su che cosa fare per aprire
nell'agenda politica uno spazio, per i giovani, che non si riduca alla pur
fondamentale questione dell'occupazione. Viviamo in un paese dove gli
adulti e gli anziani sono la stragrande maggioranza dei cittadini, anzi,
siamo il primo (e per ora unico) paese al mondo dove gli
ultrasessantacinquenni hanno superato il numero dei ragazzi con meno di 15
anni. E' facile capire come le nuove generazioni si sentano accerchiate. I
giovani sono considerati interlocutori quasi soltanto da chi vuole vendere
loro dei prodotti, legali o illegali. Il mercato criminale della droga, ad
esempio ha saputo approfittare dei bisogni e degli stili di vita giovanili
diffondendo a man bassa le nuove droghe sintetiche, fatte apposta per
coltivare l'autoemarginazione e lo stordimento dei ragazzi.
L'associazionismo giovanile, ma anche le strutture informali, i centri
sociali, hanno cercato di dare altre risposte. Ma è decisivo che le città
come Torino non si chiudano, che facciano spazio, che prestino ascolto alle
nuove culture dei giovani. E' importante che la difesa  della legalità,
sacrosanta per la convivenza di tutti, non diventi pretesto per alimentare
il pregiudizio e il rifiuto. I sindaci, gli enti locali devono trovare il
modo di offrire ai giovani opportunità di espressione, spazi per la
creatività, percorsi e strumenti di autonomia, luoghi dove fare valere il
loro punto di vista. "Cura la vita" è uno slogan che abbiamo usato per le
nostre iniziative contro le droghe. Ma, credo, può sintetizzare più in
generale i compiti che le istituzioni hanno di fronte. Cura le città, le
loro periferie, perché siano più accoglienti. Cura il modo di comunicare,
perché le persone non siano inchiodate alle etichette facili, alle frasi ad
effetto. Cura le scuole, perché diventino uno spazio agibile e amico. Cura
la formazione, perché faccia venire fuori i talenti di ciascuno. Cura la
giustizia, perché il carcere non sia l'unica risposta ai comportamenti
cosiddetti devianti. Lentamente, perché niente è facile a fronte della
scarsità di risorse e della necessità di costruire mediazioni tra culture
diverse, su questa strada ci stiamo muovendo. E già da alcuni mesi, dopo il
convegno dello scorso novembre, proprio a Torino, abbiamo aperto una
consultazione tra i giovani per mettere a punto, insieme, un disegno di
legge che offra nuovi strumenti di comunicazione e di potere. So che tutto
questo sembrerà ininteressante a coloro che, pieni di sfiducia e di
rancore, pensano al governo e alle istituzioni come nemici sempre e
comunque, ma ugualmente chiedo a loro - e alla grande maggioranza di
giovani che non protestano ma che non sono per questo, necessariamente, più
felici - di concedere a se stessi e a noi, la possibilità di un ascolto
reciproco e di un confronto. Sarebbe, io credo, un modo di dare significato
alla morte di Edoardo Massari e di far sì che non sia dimenticata in pochi
giorni e pochi titoli di giornale.
* ministro per la solidarietà sociale

WB01343_.gif (599 bytes)