Il Manifesto - 03.04.98
LETTERA - DIAMOCI LA POSSIBILITÀ DI DIALOGARE
- LIVIA TURCO* -
Caro direttore, ho letto sul suo giornale la lettera scritta dai giovani del centro sociale Gabrio di Torino e, senza entrare per il momento nel merito delle denunce che nel loro scritto vengono proposte, vorrei approfittare dell'ospitalità del suo giornale per dir loro che non c'è alcuna ipocrita scelta di silenzio di fronte a quello che è accaduto. Il problema se mai è non parlare a vanvera e cercare invece la strada per un dialogo che non obblighi nessuno a rinunciare alla sua identità. Il suicidio di un ragazzo in carcere ci interroga tutti. Sia che le cause siano riconducibili ad un abuso di custodia cautelare, sia che vadano ricercate nella fragilità personale, nella solitudine, nel non vedere sbocchi o vie di uscita alla propria condizione, sia che siano risultato di tutto ciò e di quel qualcosa di misterioso e di insondabile che sta dentro il cuore di ogni uomo e di ogni donna. Ciascuno deve chiedersi dove ha sbagliato, chi sta nelle istituzioni e chi ne sta fuori. E anche chi si dichiara estraneo e contro. Ho da tempo la convinzione che il carcere non sia la risposta ai problemi e alle trasgressioni dei giovani e che bisognerebbe ricorrervi il meno possibile. Ma chi ha il compito di governare, soprattutto, non può cavarsela con un po' di sociologia sul mondo giovanile, di quella che riempie i giornali, talvolta utilmente, giusto il tempo che mantiene attualità una notizia spettacolare. Per quanto mi riguarda, da tempo ho cominciato a ragionare su che cosa fare per aprire nell'agenda politica uno spazio, per i giovani, che non si riduca alla pur fondamentale questione dell'occupazione. Viviamo in un paese dove gli adulti e gli anziani sono la stragrande maggioranza dei cittadini, anzi, siamo il primo (e per ora unico) paese al mondo dove gli ultrasessantacinquenni hanno superato il numero dei ragazzi con meno di 15 anni. E' facile capire come le nuove generazioni si sentano accerchiate. I giovani sono considerati interlocutori quasi soltanto da chi vuole vendere loro dei prodotti, legali o illegali. Il mercato criminale della droga, ad esempio ha saputo approfittare dei bisogni e degli stili di vita giovanili diffondendo a man bassa le nuove droghe sintetiche, fatte apposta per coltivare l'autoemarginazione e lo stordimento dei ragazzi. L'associazionismo giovanile, ma anche le strutture informali, i centri sociali, hanno cercato di dare altre risposte. Ma è decisivo che le città come Torino non si chiudano, che facciano spazio, che prestino ascolto alle nuove culture dei giovani. E' importante che la difesa della legalità, sacrosanta per la convivenza di tutti, non diventi pretesto per alimentare il pregiudizio e il rifiuto. I sindaci, gli enti locali devono trovare il modo di offrire ai giovani opportunità di espressione, spazi per la creatività, percorsi e strumenti di autonomia, luoghi dove fare valere il loro punto di vista. "Cura la vita" è uno slogan che abbiamo usato per le nostre iniziative contro le droghe. Ma, credo, può sintetizzare più in generale i compiti che le istituzioni hanno di fronte. Cura le città, le loro periferie, perché siano più accoglienti. Cura il modo di comunicare, perché le persone non siano inchiodate alle etichette facili, alle frasi ad effetto. Cura le scuole, perché diventino uno spazio agibile e amico. Cura la formazione, perché faccia venire fuori i talenti di ciascuno. Cura la giustizia, perché il carcere non sia l'unica risposta ai comportamenti cosiddetti devianti. Lentamente, perché niente è facile a fronte della scarsità di risorse e della necessità di costruire mediazioni tra culture diverse, su questa strada ci stiamo muovendo. E già da alcuni mesi, dopo il convegno dello scorso novembre, proprio a Torino, abbiamo aperto una consultazione tra i giovani per mettere a punto, insieme, un disegno di legge che offra nuovi strumenti di comunicazione e di potere. So che tutto questo sembrerà ininteressante a coloro che, pieni di sfiducia e di rancore, pensano al governo e alle istituzioni come nemici sempre e comunque, ma ugualmente chiedo a loro - e alla grande maggioranza di giovani che non protestano ma che non sono per questo, necessariamente, più felici - di concedere a se stessi e a noi, la possibilità di un ascolto reciproco e di un confronto. Sarebbe, io credo, un modo di dare significato alla morte di Edoardo Massari e di far sì che non sia dimenticata in pochi giorni e pochi titoli di giornale.
* ministro per la solidarietà sociale