Il Manifesto - 04.04.98
TORINO CITTA' APERTA
- LUIGI CIOTTI
Troppe parole e a voce troppo alta. Troppe semplificazioni, troppa voglia di etichettare e condannare. Troppa voglia di trovare il nemico di turno, da investire simbolicamente delle insicurezze e paure di una città così insicura e impaurita da diventare talvolta, in alcune sue parti, intollerante, incapace di capire ed essa stessa indisponibile a quel dialogo di cui lamenta l'assenza. Troppe violenze, verbali e fisiche. Una violenza, quella di Brosso, che ha colpito, prima di tutti, Edoardo, anche dopo morto. Perché la sua morte chiedeva a tutti, nessuno escluso, almeno il rispetto. Rispetto per quella scelta estrema, che si sarebbe dovuto e forse potuto evitare. Rispetto per la sua identità, le sue fatiche e la sua biografia, facilmente deformata da una cronaca troppo veloce e stereotipata. Rispetto per la sua protesta di estraneità alle accuse. Rispetto per la sua preoccupazione verso Maria Soledad. Rispetto per i suoi famigliari e per un paese ferito. Rispetto per chi era lì a esprimere, fuori o dentro la chiesa, affetto e partecipazione. Rispetto e silenzio. Innanzitutto per lui, per il prezzo che ha pagato, in ogni caso troppo alto, quali che siano la verità e le responsabilità, e quindi ingiusto. Ma rispetto anche per il lavoro di magistrati e giornalisti: criticabile come quello di chiunque da parte di chi lo ritenga criticabile e ne sappia, però, argomentare e documentare limiti e storture. Insomma, col confronto civile, non con la minaccia e la violenza. Con la forza della ragione, non con la ragione della forza. Perché, anche in quest'occasione, trova conferma l'antica verità che dimostra che la violenza è una spirale, facile da innescare e imprevedibile negli esiti, il cui antidoto è il rispetto delle regole, della legalità, della convivenza. Rispetto e silenzio non significano rinuncia al proprio punto di vista, a culture e riferimenti politici anche, ed anzi positivamente, diversi o conflittuali; non significano rinuncia a denunciare, anche con forza, una morte e accuse ritenute ingiuste. Rinunciare a parole e gesti violenti giovedì al funerale sarebbe stato il modo migliore per accompagnare Edoardo. Così come, il rispetto e il silenzio oggi, alla manifestazione di Torino sarebbero - speriamo siano - l'unico vero modo per testimoniare il dolore per la sua morte, che non appartiene solo ai suoi amici e compagni, ma in qualche modo a tutti. Perché la solidarietà umana viene prima di quella politica. Perché di carcere non si deve morire. Perché la città deve saper dare un posto e consentire uno spazio a tutti e saper guardare dentro le proprie contraddizioni, gestire i conflitti e le diversità riconoscendo loro cittadinanza e diritti, elaborando e superando le paure e il rifiuto. La manifestazione di oggi è occasione per riallacciare un rapporto tra questa parte di giovani e la città. E' importante che parole di responsabilità e di dialogo siano venute dai centri sociali di altre città, che saranno anch'essi a Torino. E' importante che ognuno faccia la sua parte per ricucire uno strappo che viene da lontano e riavvicinare i lembi di una ferita aperta. E' un'occasione che non possiamo sciupare, altrimenti perderemmo tutti: chi lavora con le istituzioni e chi rivendica un'identità "altra" e antagonista.