Il Manifesto - 04.04.98
ATTENTATI ALTA VELOCITA' - Quei misteri della Val di Susa
Mafiosi, agenti dei servizi disoccupati, ufficiali dei carabinieri.
Tutto quel che non dice l'inchiesta sulla pista anarchica
- PAOLO GRISERI - TORINO
Dietro l'inchiesta sugli attentati contro l'Alta velocità c'è una valle di misteri, intrighi, ricatti che sta producendo da sola più indagini dell'intera provincia di Torino. Una valle crocevia, non solo in senso geografico. I cento chilometri che dal capoluogo piemontese giungono al confine francese di Modane sono stati teatro dei ricatti mafiosi dei clan calabresi insediati a Bardonecchia, dei traffici d'armi dell'armeria Brown Bess di Susa, delle azioni, a fine anni '70, dei terroristi di Prima Linea, delle attività non sempre limpide degli uomini dei servizi insediati da Dalla Chiesa per reprimere lo stesso terrorismo e poi rimasti in valle sull'orlo di una imbarazzante disoccupazione. Al centro delle inchieste anche la Sitaf, la società che ha costruito l'autostrada per Modane e che ora sarebbe intenzionata ad entrare anche negli appalti sull'Alta velocità.
Una storia di bombe Trovare un filo in queste vicende non è facilissimo. La stessa procura di Torino, sommersa da esposti, accuse e ritrattazioni, ha faticato non poco a ricostruire gli eventi. La sigla degli "eco-terroristi" compare per la prima volta a firmare due attentati compiuti fuori dalla valle, a Settimo torinese e a Rondissone, tra la fine dell'89 e l'inizio del '90. Due attentati ai tralicci Enel che trasportano in Italia l'energia prodotta dal Superphoenix, il surgeneratore nucleare francese di Creis Malville, vicino a Lione. Il primo dei due attentati fallisce, il secondo raggiunge l'obiettivo. Già allora serpeggiano molti dubbi sulla effettiva paternità delle azioni che qualcuno attribuisce a spezzoni deviati dei servizi segreti impegnati a combattere per conto terzi una guerra commerciale sull'approvvigionamento dell'energia. Il verminaio della val di Susa comincia a essere scoperchiato invece il 17 giugno del '93 con l'arresto dei titolari dell'armeria Brown Bess di Susa, Luisa Duodero e il figlio, Andrea Torta. I due sono accusati di traffico d'armi per aver fatto sparire 397 pistole. Finite a chi? E con quali complicità? Il 12 dicembre del '94 il processo si chiude con la condanna dei due armieri, e nella requisitoria finale il pm avanza il sospetto che i due abbiano gestito il traffico grazie alla complicità di pubblici ufficiali. I responsabili dei carabinieri della zona avevano infatti reso dichiarazioni evasive al processo. Contestualmente alla condanna il fascicolo sulle dichirazioni dei militari torna alla procura per ulteriori indagini. La svolta nell'inchiesta arriva nel marzo del '95 con una serie di esposti presentati in procura dall'ex maresciallo dei carabinieri di Susa, Germano Tessari, già uomo dei servizi antiterrorismo di Dalla Chiesa. Tessari suggerisce ai magistrati di interrogare sul punto un altro personaggio legato ai servizi, Franco Fuschi, fino ad allora sconosciuto alle cronache. Forse per rendere il "favore" all'ex amico Tessari, Fuschi si rivela più "collaborativo" del previsto e inizia una fluviale serie di rivelazioni e autoaccuse. Alcune di queste verranno ritenute inverosimili e archiviate come casi di millantato credito (l'asserita partecipazione di Fuschi all'atttentato di piazza Fontana e addirittura all'omicidio Calvi). Vengono invece ritenuti credibili i racconti dell'ex agente dei servizi su undici omicidi compiuti da lui stesso nel torinese e mai scoperti. Inoltre la procura approfondisce con lo stesso Fuschi l'inchiesta sul traffico d'armi e sui misteriosi ritrovamenti di pistole ed esplosivi avvenuti in valle negli ultimi anni. Come era prevedibile, Fuschi coinvolge pesantemente nelle sue rivelazioni l'ormai ex amico Tessari, accusandolo di aver organizzato, insieme ai servizi sergreti, il traffico d'armi dell'armeria. Germano Tessari è stato maresciallo dei carabinieri di Susa fino al febbraio del 1990. Nel corso della sua lunga permanenza in servizio si è occupato, oltreché di Prima linea, anche di vicende minori. E' stato lui, ad esempio, ad arrestare nell'81 Silvano Pellissero, uno dei tre frequentatori dei centri sociali ora accusati degli attentati contro l'Alta velocità. Pellissero viene arrestato con il padre in seguito all'esplosione nel pollaio di casa, a Bussoleno, di un rudimentale ordigno. Nella stessa abitazione vengono trovati fucili e pistole. Ma una perizia del tribunale sosterrà che si trattava di vecchie armi in disuso e, grazie a questa circostanza, Pellissero otterrà la concessione della condizionale. I ricatti dell'autostrada Terminata, nel '90, la carriera di maresciallo, Tessari si dà alla politica e viene eletto nello stesso anno assessore ai servizi sociali di Susa e consigliere provinciale nelle liste del Psdi. Nel '92 si alza in consiglio provinciale per una circostanziata denuncia contro la corruzione alla Sitaf (la vicenda porterà successivamente al processo e alla condanna di due funzionari della società). Nel '94 lascia il consiglio provinciale tentando di farsi candidare dai Progressisti alle elezioni politiche. Nel '95 ci riproverà nelle file del patto Segni alle regionali, anche qui senza successo. Contemporaneamente la cronaca fornisce altro materiale alle indagini. All'inizio del '95 vengono ritrovati cento candelotti di dinamite all'interno di una galleria in costruzione dell'autostrada Torino-Bardonecchia. Altri ritrovamenti di esplosivi vengono effettuati nelle settimane successive. All'inizio del marzo '95 la Sitaf assume Tessari, che pure aveva pesantemente attaccato la società solo tre anni prima, come responsabile della sicurezza per tutelarsi dai rischi di attentato. Effettivamente i ritrovamenti cessano ma nel dicembre del '96, nell'ambito delle nuove indagini sull'armeria di Susa, vengono perquisiti l'ufficio e l'abitazione di Tessari, dove l'ex maresciallo custodiva apparecchiature di intercettazione ambientale. L'ex carabiniere dei servizi ha continuato a lavorare nel settore? Il suo avvocato, Claudio Novaro, lo difende affermando che tutte le attività di Tessari si sono svolte alla luce del sole. Ma le rivelazioni del loquace Fuschi riguardano anche altri esponenti dei servizi. In particolare i due agenti del Sisde Dante Caramellino e Raffaele Guccione: "Con loro - ha detto Fuschi ai magistrati - ci mettevamo d'accordo. Una volta hanno messo un po' di armi in un furgone a Rivoli per poi farcele ritrovare", naturalmente al termine di una brillante operazione. Iniziative da agenti disoccupati o un mezzo per effettuare nuovi ricatti? Forse non lo sapremo mai, perché l'inchiesta sta per essere archiviata per scadenza dei termini. Sparo in procura Il 19 aprile del '96, mentre viene interrogato in procura, Fuschi si fa accompagnare in bagno e si spara alla tempia. Sopravviverà ma da quel giorno la storia delle sue rivelazioni diventa di dominio pubblico. Pochi mesi dopo, in questo scenario di intrighi e ricatti, comincia la serie dei 13 attentati contro l'Alta velocità che si apre il 23 agosto '96 e si chiude il 10 novembre scorso. Solo tre di questi attentati sono firmati dal gruppo "Lupi grigi-Valsusa libera", cui sono accusati di essere contigui Silvano Pellissero, Maria Soledad Rosas e il suo compagno, suicida in carcere, Edoardo Massari. Dei 13 attentati due sono contro le centraline elettriche delle gallerie dell'autostrada della Sitaf. E non sempre le rivendicazioni appaiono attendibili. Il 21 maggio dello scorso anno, ad esempio, viene attaccato di notte un cantiere dell'Alta velocità sopra Mompantero. Prima di bruciare una trivella gli attentatori prendono a fucilate due telecamere nascoste nella boscaglia. Un recente volantino dei "Lupi grigi" che rivendica l'azione parla invece di "una telecamera nascosta in un container". Circostanza palesemente falsa. Altri attentati non riguardano l'alta velocità ma ripetitori Mediaset o Omnitel. Certamente, secondo quanto affermano gli stessi magistrati della procura, non esiste prova che i tre arrestati siano stati coinvolti direttamente nelle 13 azioni al centro dell'inchiesta. Infatti sono accusati per altri tre attentati minori. Qual è dunque il filo che legherebbe i tre ai gruppi che hanno rivendicato le azioni in val di Susa? E' solo il volantino inneggiante, tra gli altri, ai "Lupi grigi" ritrovato in casa di Pellissero? "Tempo fa - racconta Gianni Pacchiardo, cronista del periodico locale Luna nuova - mi è arrivata una lettera firmata dal gruppo Valsusa libera. C'era scritto: "Vedrai che i servizi incastreranno per queste storie il solito ragazzotto di campagna". Il solito sospetto verso i servizi segreti o qualcosa di più?