Il Manifesto - 05.04.98

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CENTRI SOCIALI E ORA COSA SI FARA'?
Uniti per un giorno La manifestazione di Torino aggrega realtà molto diverse  
- BENEDETTO VECCHI - TORINO 
S ono arrivati da Roma, Milano, dalle Marche, da Firenze, da Bologna senza
avere alcun dubbio sui motivi della partecipazione alla manifestazione di
Torino in solidarietà con i due giovani arrestati con accuse pesantissime e
per Edoardo Massari, morto suicida in una cella delle Vallette. La
condivisione della condanna della "repressione" ha per un giorno
accantonato il fatto ovvio che all'interno dell'arcipelago dei centri
sociali convivano anime diverse, che, spesso, non sono altro che un
riflesso delle differenti realtà sociali che li esprimono.  Così non è
strano che a Napoli il problema più urgente è l'assenza di lavoro e che su
questo nodo i centri sociali cercano di imbastire iniziativa politica,
mentre la Milano europea abitata dal popolo delle partite iva ponga ai
centro sociali Leoncavallo e al Garibaldi, tanto per citarne due, il
problema di come agire in una situazione dove la precarizzazione del mondo
del lavoro ha il volto bifronte di una erosione dei diritti sociali e
quello del lavoro autonomo, spesso percepito, a torto e semplicisticamente,
come un inaspettato regno della libertà. E che dire di Roma, città
ministeriale per eccellenza, dove la posta in gioco è condizionare il
risanamento urbano?  Ma non è solo un problema di - per usare una
espressione molto in voga nei centri sociali - "composizione sociale", ma
anche, e sopratutto, di una diversa percezione della recente storia e del
futuro possibile per i centri sociali, nonché di una rappresentazione del
centro sociale come collettivo politico o "zona temporaneamente autonoma" o
come "rete dell'autorganizzazione sociale".  Per molti di loro, comunque,
si è conclusa la fase della difesa dello "spazio liberato", visto che la
loro presenza o è tollerata o ignorata dalle amministrazioni locali;
oppure, come a Roma, hanno deciso di "discutere" con la giunta comunale,
senza che questo dovesse significare la rinuncia alla "autogestione" dello
stabile occupato, cioè la definizione autonoma delle stare assieme,
ignorando regolamenti da rispettare o carte da bollo da inoltrare a questo
o quell'ufficio.  E proprio sul "che fare" che le diverse anime hanno
dibattuto a lungo negli ultimi due anni. C'è stato l'invito, proveniente da
intellettuali esterni ai centri sociali, a trasformarsi in tante imprese
non-profit, discussa criticamente da alcuni centri sociali di Milano e
rifiutata da altri, perché giudicata normalizzatrice di una una realtà
politica antagonista, come è accaduto per esempio a Torino durante un
convegno organizzato ai Murazzi sulle future scelte da compiere.  Poi, si è
svuluppata soprattutto negli ultimi tempi la discussione su come stabilire
un rapporto, o al contrario nessun tipo di rapporto, con un partito come
Rifondazione comunista. In questo caso le differenze politiche tra le
diverse realtà sono state meno nette, perché all'unanimità è stato
affermato che un centro sociale si trova nei fatti all'antitesi di un
partito politico. E tuttavia su quale dovesse essere il rapporto tra i
centri sociali e la realtà circostante che le diverse anime si sono di
nuovo confrontate.  "Parliamo con tutti", è la risposta del centro sociale
Leoncavallo di Milano. "Identità forte, comunicazione aperta", aggiungono i
militanti del Melting dei centri sociali del nord-est. Altri, invece, con
una certa nettezza, hanno messo l'accento su una radicale estraneità dei
centri sociali a una "società di morti".  E se proprio si deve cercare una
differenza tra i centri sociali non è tra "buoni" e "cattivi", né tra
"dialoganti" e no, ma tra chi ripropone una radicale "estraneità" alla
società che "produce-consuma e uccide" e chi sostiene la necessità di
presentare progetti e proposte per risovere i problemi sociali di cui,
forse loro malgrado, le realtà autogestite sono espressione. 
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