Il Manifesto - 31.03.98

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TORINO LA CITTA' E' SOTTO CHOC. MA C'E' ANCHE CHI CERCA UN CONFRONTO
Chi trova un Nemico trova un tesoro 
- PAOLO GRISERI - TORINO 
Cercasi nemico disperatamente. Il grido di Torino ha trovato finalmente
ascolto. I tentativi di un anno si sono coronati nelle ultime settimane
dopo mesi di fallimenti. Dalla campagna elettorale per l'elezione del
sindaco (aprile '97) - quando il campione della destra Raffaele Costa aveva
provato, rischiando il successo, a indicare il nemico negli extracomunitari
- la ricerca aveva conosciuto periodi di autentica defaillance. Il caso più
patetico è dell'autunno scorso con i barboni di un dormitorio pubblico nel
tranquillo quartiere di Santa Rita trasformati in attentatori della
sicurezza civica. Mai si era caduti così in basso.
Dal 5 marzo scorso invece la musica è cambiata grazie a una serie di azioni
e reazioni ormai incontrollabili: "Rischiamo di creare degli assoluti
virtuali - sintetizza Marco Revelli, eletto in comune nelle liste di
Rifondazione - di appiccicare addosso ai ragazzi dei centri sociali
l'etichetta del Nemico assoluto". Perché dal 5 marzo, dal giorno
dell'arresto di Edoardo Massari, Maria Soledad Rosas e Silvano Pellissero,
accusati di essere gli "ecoterroristi" della Val di Susa, il Nemico è stato
finalmente individuato. E, per la gioia dei ricercatori, fa di tutto per
essere un Nemico: si dichiara antagonista contro tutti i poteri, sfascia le
vetrine del centro se caricato dalla polizia, rifiuta ogni definizione e
ogni collegamento con la politica ufficiale. E' talmente antagonista "da
rischiare l'isolamento", come sottolinea Revelli. Insomma, il cacio sui
maccheroni.
Anche perché il nuovo Nemico ha cominciato a ricopiare nelle ultime ore
linguaggi e atteggiamenti tipici dell'ultimo vero Nemico assoluto di
Torino, il terrorismo degli anni '70. I processi sommari trasmessi da Radio
Blackout contro magistrati e giornalisti additati per nome e cognome e
aggettivati come "macellai e assassini", non fanno altro che confermare
l'universo simbolico della "Torino che ha paura" come ai tempi di Curcio.
Il suicidio in carcere, venerdì notte, di Edoardo Massari ha fatto da
detonatore. Massari, Rosas e Pellissero erano stati seguiti per settimane
dalla Digos con intercettazioni ambientali dalle quali - come scriveva ieri
il tribunale della libertà - sarebbe emersa l'"intenzione di preparare atti
dimostrativi con materiali incendiari" contro l'alta velocità in val di
Susa. In quelle intercettazioni ci sarebbero anche le prove della
partecipazione dei tre ad alcuni attentati minori compiuti in valle. In
realtà la posizione della ragazza sembra assai più defilata essendo
sostanzialmente accusata di essere a conoscenza dei propositi del suo
compagno Massari. Ma escludendo Maria Soledad Rosas dall'associazione
sovversiva non ci sarebbero più i presupposti (la presenza di almeno tre
persone) per ipotizzare il reato. La tensione era già alle stelle poche ore
dopo gli arresti, per le modalità con cui erano avvenuti: "Un'irruzione in
piena regola nel centro sociale - avevano raccontato i testimoni - con i
poliziotti che distruggono tutto e qualcuno che piscia sui materassi". "Se
invece di sfogare la rabbia il giorno dopo contro le vetrine della città, i
ragazzi dei centri avessero denunciato pubblicamente quel che dicevano di
aver visto la notte degli arresti, forse non saremmo arrivati a questo
punto", ipotizza Pasquale Cavaliere, dei Verdi.
E' uno dei tanti "se" della pericolosa rappresentazione virtuale che sta
andando in scena a Torino. Gli altri riguardano la carcerazione di Massari:
perché era solo in cella? E' vero che aveva chiesto lui quell'isolamento? E
perché consentirglielo se aveva mostrato segni di grave depressione? Ma con
i "se" non si va lontano. E oggi, invertire la tendenza appare difficile.
Con gli inviati che calano a Torino alla ricerca del clima degli anni di
piombo e i centri che danno appuntamento a tutti per sabato pomeriggio a
Porta Palazzo, da dove partirà la manifestazione nazionale di protesta.
Chi prova a ragionare a mente fredda in questa situazione rischia di fare
la parte dell'ingenuo: "Ma vale la pena tentare lo stesso - dice Revelli -
perché i centri sociali hanno dimostrato una capacità di autorganizzazione
notevole e io non mi rassegno all'idea che quella capacità venga utilizzata
solo per confermare la propria separatezza. Se i centri non escono
dall'autoisolamento, se non corrono il rischio della contaminazione aprendo
un discorso all'esterno, l'eventualità che cadano nel trappolone del Nemico
virtuale è molto forte". Torna la domanda di prima: "Ma perché dovrebbero
farlo?". "Perché in una città dove le periferie hanno tassi di
disoccupazione giovanile superiori al 30%, l'emergenza sociale è reale, non
virtuale. E sarebbe importante che chi rappresenta una parte significativa
di quell'emergenza non scegliesse di autoisolarsi dal discorso politico".
Insieme a Revelli, don Luigi Ciotti, Giorgio Cremaschi (Fiom), Nicola
Tranfaglia (Pds), Vanna Lorenzoni (Cgil), Rinaldo Bontempi (Pds), Stefano
Alberione (Prc), e lo storico Giovanni De Luna, hanno lanciato ieri un
appello "contro la spirale perversa del muro contro muro": "Proponiamo la
costruzione di uno spazio aperto, di confronto e di discorso, entro cui
misurare con franchezza, anche con durezza, le rispettive ragioni". E
propongono ai centri sociali di partecipare "al più presto" a un'assemblea
cittadina. Chi raccoglierà l'appello nella Torino del Nemico virtuale? 
31 Marzo 1998 

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