La Repubblica - 01.04.98
"Edoardo è ancora vivo i morti siete voi...
Il grido di rabbia dei "marginali"
di FABRIZIO RAVELLI
TORINO - "Dove eravate, stronzi, quando cercavamo di parlare? Quando telefonavamo, quando c'era da segnalare uno sgombero? Adesso, brutte teste di cazzo, venite qui a lucrare su un morto. Fate i disegnini su cosa mangia uno squatter, come si veste uno squatter, che musica ascolta. Tutto confuso, appiattito, tutto uguale. Io sono una marginale, sono una singola persona. E sono sempre stata qua, stronzi". La ragazza volta la testa di capelli arancione, il viso trafitto di anellini, e se ne torna dentro. Su quel divano scassato, dove stava un minuto fa a guardare il cielo. C'è un bel cielo, oggi a Torino, e lo si vede perfino da qui, davanti al Delta House di via Stradella. Vanno e vengono, mentre il sole tramonta, ragazzi e cani. Ostili, questi che chiamano squatters, occupanti di case abbandonate, anarchici. Ce l'hanno, soprattutto, coi giornalisti. "Assassini", gridava l'unico striscione quando sono scesi in piazza, quando la polizia li ha caricati e loro hanno spaccato qualche vetrina. "Assassini", grida oggi il volantino: "Edoardo Massari "Baleno" è morto. Per noi è vivo per sempre. I morti siete voi". Segue elenco: amministratori e padroni del Tav, magistrati, poliziotti e carabinieri, giornalisti, politici tutti. E i "cittadini silenziosi". C'è chi sente tornare brividi, dal fondo degli anni Settanta, di quando un nome gridato sui volantini diventava bersaglio. Chi ascolta le telefonate a Radio Blackout, e ripensa agli autonomi padovani di Radio Sherwood. Ma è un passato, questo, che ragazzi sbrindellati e rabbiosi nemmeno conoscono. Non gliene importa un accidente. Gridano rabbia per esser stati mescolati tutti insieme, inchiodati a un'identità che non vogliono. "Noi siamo estranei, siamo marginali", ripetono sprezzanti: avevano alzato un muro fra sé e Torino, e vedono gente estranea che da lassù oggi li spia. Certo, tira aria pesante. Anche se, forse, la tensione accenna a calare. Sabato i centri sociali, le varie realtà della galassia giovanile, faranno uno corteo nazionale. Edo Massari è morto suicida, i suoi compagni Maria Soledad Rosas detta Sole e Silvano Pelissero fanno lo sciopero della fame in cella: sono sospettati di essere vicini ai Lupi Grigi, organizzazione che ha firmato degli attentati eco-terroristici in Val di Susa. "A me mi castigano e mi mettono in isolamento - ha scritto Sole ieri -. Non mi lasciano piangere in pace". Stringe un po' il cuore, quel verbo infantile: mi castigano. Quando li hanno arrestati, dormivano in una casa occupata: lì si è saldata l'inchiesta sui Lupi Grigi con la realtà degli squatters, ed è salita la temperatura. Ma come è diversa Torino, in questa primavera 1998, da quella di vent'anni fa. Niente è più uguale a sé, e le vecchie chiavi per leggere la città non girano più nella serratura. Marco Revelli (professore, scrittore, consigliere comunale di Rifondazione e figlio del leggendario Nuto) misura a passi lenti il Lungo Po dei Murazzi, davanti al centro sociale: "Una città smembrata, insicura, piena di un'inquietudine che cerca figure in cui incarnarsi. Il fragilissimo volto degli alternativi finisce per incarnare questa paura. La tragedia è che loro sono ben felici di questo ruolo che gli viene attribuito, ma è un ruolo totalmente virtuale". Il popolo degli squatters va a occupare i luoghi tarlati e grigi che la crisi ha creato: "Mica il Lingotto, o la Borsa. Occupano le rovine, in pieno mimetismo con le macerie. È come se abitassero gli orrori che la città ha prodotto, e te li rovesciassero contro. Case fatiscenti, capannoni dismessi, luoghi spettrali e rugginosi. Questa è stata una one- company town: ora la Fiat che la strutturava è un guscio vuoto. Aveva 130 mila operai nel '79, oggi sono meno di 40 mila. Le membra si disgregano: alle Vallette, quartiere creato per l'i migrazione della produzione di massa, c'è il più alto tasso di disoccupazione del Nord Italia. Su cento giovani maschi, 45 sono senza lavoro". Allora, vent'anni fa, tutto era denso, popolato e netto: le linee di conflitto erano chiare. Tutto si teneva, fra opposizione, politica, lavoro, intellettualità. Ora l'antagonismo giovanile si muove in un vuoto, è una galassia senza culture condivise: "Voi fate in fretta a mescolare - dice uno di Askatasuna, centro giovanile comunista -. Ma ci sono tante situazioni diverse. Centri come il nostro o i Murazzi o Gabrio, dove si fa politica, si cercano rapporti col quartiere. Centri di matrice anarchica come il Paso, o Prinz Eugen, o Delta House, con i quali di fatto non abbiamo rapporti. Salvo quando, come ora, qualcosa precipita". "La verità - dice un redattore di Radio Blackout - è che il movimento dei centri sociali è al lumicino. E tutto il casino di questi giorni è sovradimensionato: da voi dei giornali, dalla magistratura. Qualcuno ha voglia di crearsi un nemico. La differenziazione giovanile è soprattutto esteriore, e composita". E gli squatters? "Hanno la politica del ghetto. Gente che occupa uno spazio per abitarci, perché non sa dove andare, o vuole chiamarsi fuori. Stanno magari in pochi, in 500 metri quadri, con cani e gatti. Magari il sabato e la domenica tornano a casa. Ci sono figli di professori e giornalisti, e ragazzi senza un quattrino". Questo sì, come una volta. Quando i figli della Torino intellettuale andavano ai cancelli della Fiat. Ma volevano fare la rivoluzione. Oggi, quando si rintanano in una casa occupata, è per vivere "da marginali". E se il figlio di Giancarlo Caselli fa una trasmissione a Radio Blackout è solo per mandare la musica che gli piace. "Anche sulla radio vi sbagliate - dice un altro redattore, pure anonimo perché oggi coi giornalisti non si parla -. C'è di tutto, è un canale aperto con la realtà. Certo, se la ascoltate il giorno dopo che è morto Baleno, sentirete gli insulti e le minacce. Ma poi magari arrivano due professori dell'università, o un'intervista a Furio Colombo, e poi la musica techno". Ecoterroristi? "Ma fammi il piacere, ma che cazzo dici? - questo è uno di Prinz Eugen -. Noi siamo estranei anche a quelli". "Non ci interessano - dice quello di Askatasuna -. Anzi, se le loro rivendicazioni erano vere, erano pure preoccupanti: tutto quell' inneggiare alla Padania e alla Val di Susa". "Qui - commenta Marco Revelli - s'è creato un corto circuito virtuale ad altissimo potenziale simbolico. Come se i "nemici" che vivono fra le nostre macerie fossero in grado di far saltare i meccanismi dell'interconnessione globale, la Tav, le reti di trasmissione. Ma figuriamoci. State attenti, voi dei media, a non alimentare questo equivoco, a non comportarvi come sismografi impazziti".