La Repubblica - 03.04.98
IL RITORNO DELLA VIOLENZA
di GIORGIO BOCCA
LA VIOLENZA di Brosso ha di particolare e direi di inedito la sua apoliticità. Non vengono picchiati, feriti dei giornalisti perché di sinistra o di destra, ma perché giornalisti, perché strumenti di una informazione che, nel suo complesso, appare come nemica. Vengono indifferentemente picchiati, feriti cronisti della sinistra estrema come di fogli governativi o conservatori in quanto informazione, apparato di trasmissione delle notizie e delle immagini che interviene nel sociale, e che dal sociale viene a volte considerato come qualcosa di autonomo rispetto ai mandanti politici o economici, qualcosa che per conto suo interviene, diventa parte in causa. Forse qualcosa che l'informazione doveva aspettarsi da quando ha in misura sempre maggiore sostituito la politica e lo stesso Stato. Ho fatto il giornalista per mezzo secolo di conflitti sociali aspri, a volte vere e proprie insurrezioni armate come dopo l' attentato a Togliatti, o movimenti di massa come nel Sessantotto e negli anni del movimento. Incidenti ce ne furono certo ma sempre politicamente definiti fino agli attentati delle Brigate rosse e di Prima linea ma non c'era mai stata a mia memoria una voglia di sparare nel mucchio, di attaccare, ferire l'informazione in quanto tale. Gli squatter torinesi non sono un fenomeno sociale di massa, sono alcune centinaia di disadattati, di disgraziati, di sventurati, di anomali, di provenienti da precedenti ribellioni e violenze, chiamateli come volete, di cui è impossibile dare una definizione comunque. È STATA l'informazione a tirarli fuori dalla loro emarginazione e dalla loro solitudine sociale ed essi, nelle ore della grande emozione del suicidio e del funerale di un compagno, ne hanno fatto il nemico, schierato su una collinetta con le sue armi, penne stilografiche, teleprese, flash, telefoni cellulari, radio ricetrasmittenti. Il nemico che prima aveva ucciso uno dei loro e ora veniva a guardarne il funerale. Qualcuno ha detto che le combinazioni dei sentimenti umani sono infinite e che è vana fatica prevederle. Una combinazione come questa a nostra memoria non si era mai data. Nessuno nella nostra società è riuscito a capire fino in fondo che cosa vogliano e come lo vogliano questi gruppi di giovani disadattati, come possa una società che rincorre disperatamente una mutazione continua occuparsi di loro se non come fa ora tenendoli in ghetti o rifugi sociali. Constatare davanti ai fatti di Brosso che la violenza è uno degli ingredienti inevitabili delle misteriose combinazioni sentimentali e istintuali è motivo di seria preoccupazione. Non è che si uccida di più e si usi violenza più che nel passato, ma che si uccide e si usa violenza come nel passato, si coltivano ora come allora le tentazioni e le retoriche della violenza come nel passato, e ritornano le divise di parte, i servizi d'ordine fatti per il disordine, le eroiche imprese sovversive. Di moderno, nei fatti di Torino c'è solo questa coincidenza, questa sovrapposizione fra la società reale delle nostre città e quella virtuale per dire fabbricata con mezzi tecnici dell' informazione. Come se stessero in un rapporto diretto, di causa effetto, come se essere uno squatter dipendesse da quanto scrivano i giornali o faccia vedere la televisione. E forse si potrebbe anche capire che una minoranza schizofrenica ed esaltata la pensi così. Ma per quanto si capisca, la violenza inutile resta una cosa orrenda.