La Repubblica - 05.04.98

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"NON SONO COME LE BR MA QUELLA VIOLENZA..."
PIERO FASSINO: EPPURE È NECESSARIO CERCARE UN DIALOGO
DI CARLO CHIANURA
ROMA - Piero Fassino è torinese, fa parte del governo
Prodi, nei Settanta ha conosciuto e combattuto le Brigate
rosse (fu tra i primi a dire che "il terrorismo rosso esiste ed è
in mezzo a noi"), l'altro giorno è entrato in un carcere della
Repubblica e ha visitato la detenuta Maria Soledad Rosas,
compagna dello squatter suicida Edo Molinari.
Fassino, lei ritiene che tutti i suoi elettori siano contenti di
questa sua visita in carcere? 
"Un momento. Un uomo si era suicidato dentro una
istituzione dello Stato. Come sottosegretario (agli Esteri,
ndr.) e come parlamentare presente a Torino in quel
momento, avevo il dovere di informarmi perché un uomo era
morto".
Non era lecito pensare che lei legittimasse un gruppo di
violenti?
"Io sono andato a conoscere una ragazza per capire. E per
esprimere solidarietà umana. Era morto il suo compagno.
Un morto si rispetta sempre, il che non significa condividere
le sue ragioni".
Eppure il governo è stato accusato in queste ore di
eccessiva tolleranza verso gruppi che hanno l' hobby di
compilare liste di proscrizione.
"Accusa sbagliata alla prova dei fatti. Vietare la
manifestazione avrebbe comportato rischi più grandi.
Rischiavamo di rivedere le vetrine distrutte di qualche
settimana fa. E un governo ha il dovere di evitare tensioni più
gravi".
Da torinese si è chiesto perché tutto esplode proprio qui?
"Più delle altre Torino ha conosciuto un gigantesco
mutamento di identità: a partire dagli Anni Ottanta la
ristrutturazione industriale ha inciso pesantemente sulla città
e determinato anche aree e sacche di marginalità. Il
fenomeno degli squatter è una coda di questo processo, di
dimensioni circoscritte".
Anarchici, anarcoidi, simil-autonomi, persino autistici, forse
nichilisti: li stanno definendo in molti modi. Lei come vede gli
squatter?
"Hanno tratti di cultura anarco individualista. Non chiedono
di contare di più: semplicemente si dichiarano estranei, fuori.
Contestano destra e sinistra, rifiutandosi di distinguerle. Sì,
certi elementi di autismo li vedo anch'io. Mi sembrano il
sintomo di una febbre in una città che però ha conosciuto
ben altri periodi di crisi".
Lei ha avversato il terrorismo e oggi si ritrova di fronte
vent'anni dopo gruppi che qualificano gli individui
"pericolosi" in categorie, anche queste le stesse degli Anni
Settanta: i giudici, i giornalisti, i politici. Non le fa
impressione?
"C'è contemporaneamente una differenza grande e una
similitudine tra il terrorismo e gli squatter. La differenza è che
il terrorismo era un movimento politico armato che aveva
come scopo - violento e velleitario finché si vuole - il
cambiamento della società attraverso una "rivoluzione". Gli
squatter avversano questa società, ma non si propongono di
cambiarla: semplicemente la negano".
E qual è la similitudine, che ci sembra più importante?
"Detto in due parole, è l'identico ricorso alla violenza e il
forte valore simbolico dei bersagli di questa violenza".
Da politico si sarà chiesto che si fa in questa situazione?
"Se la mia analisi ha un senso, si dovrebbe operare in due
direzioni. La prima va molto al di là degli squatter e riguarda
il disagio giovanile: lo studio, il lavoro, la qualità della vita e
delle città. La seconda è non dare per perse anche le frange
più radicali".
Come si fa a comunicare con chi per comunicare spranga?
"Certo c'è un confine: nessuna concessione va fatta ai
comportamenti violenti. Eppure io ho ascoltato molto in
questi giorni la loro radio, Radio Blackout: provocatoria,
beffarda, ma anche con una forte capacità di comunicare. In
quel linguaggio c'è la volontà di lanciare messaggi al di fuori
dalla tribù".
E uscire d all'autismo, dice?
"Sì, a quelli che lo vogliono dobbiamo essere capaci di
tendere una mano".

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