La Repubblica - 05.04.98

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LA MARCIA DEGLI SQUATTER - CINQUEMILA SFILANO IN CORTEO:
TRE FERITI, PETARDI E VETRI ROTTI 
di LEONARDO COEN
RADIO Black Out dice che sono diecimila. Il questore
Francesco Faranda la metà. Al movimento degli
"antagonisti" che stanno superando il ponte Mosca sulla
Dora Riparia - zona di spaccio e spesso di conflitti con gli
extracomunitari - non gliene frega nulla. E se glielo chiedi
capiscono subito che sei un giornalista: cioè "assassino" di
Edoardo Massari detto "Baleno" che oggi avrebbe compiuto
trentacinque anni. Più tardi, sul muro di una casa vicino al
nuovo tribunale leggeremo: "Buon compleanno, Edo".
Quindi, cari signori giornalisti, "fuori dai coglioni". State alla
larga. Perchè "noi conosciamo a fondo il loro modo
subdolo, i trucchi per infiltrarsi, per esercitare quello che
chiamano diritto di cronaca". Si risente, intanto, il fortunato
slogan del Leoncavallo: "Servi dei servi dei servi". Al Balon
c'è gente che concorda, pur non simpatizzando con gli
squatter. 
FANNO eco i centri sociali torinesi: "Giornali e Rai-Tv, le
vostre balle non le leggiamo più". E' il leit motiv della
manifestazione, il collante politico che rattoppa antiche
divisioni, per esempio, con il Fai, la federazione degli
anarchici italiani. Che chiude la marcia.
Sono quasi le tre del pomeriggio. Il cielo sopra Torino
resiste alle nubi color piombo che arrivano dalla Val Susa, la
Valle dove tutto è cominciato. Il corteo "è una delle mille
forme di protesta che utilizziamo, sarà un corteo deciso, ma
non vogliamo provocare scontri con gli sbirri", è la prima
raccomandazione contenuta nel foglietto distribuito da
qualche ragazzo, intitolato "istruzioni per l'uso". Sotto le
finestre della Uil, in piazza Statuto, la mano di un punk ha
pennellato in rosso: "Rabbia. Moderna". Per capire meglio
segue una precisazione: "Questo è un corteo in solidarietà a
Sole e Silvano e di protesta per la morte di Baleno,
impiccato dallo Stato, cui partecipa tanta gente, non il luogo
di confronto tra gruppi politici". Comunque, "se sei un duro,
o corri veloce, o sai batterti, magari vicino a te c'è qualcuno
che lo è di meno".
"Non siamo strani, né cattivi - grida lo speaker dagli
altoparlanti sistemati su un furgone - noi siamo buoni,
abbiamo dimostrato di non essere teppisti". C'è la voglia di
riprendere il contatto con la gente, con gli altri, con la città
che potrebbe stare schierata con i giovani "alternativi".
Peccato, è appena esploso un grosso petardo che è andato
a finire sopra il tendone di una bancarella, una donna vicino
a me urla "i carabinieri caricano, scappiamo via!", accenno
di fuggi fuggi, "falso allarme", la rimbecca qualcun altro, la
tensione è forte, fortissima, la paura anche, come se si
camminasse tutti assieme su un corda sottile sottile, pronta a
spezzarsi, "il vero scandalo non sta in qualche vetro rotto o
in qualche giornalista sbattuto perchè non ha ancora
imparato la buona educazione del rispetto del dolore e della
morte di un essere umano, cosa che gli riesce guarda caso
solo quando si tratta dei funerali di un Giovannino Agnelli
qualsiasi...", dicono quelli del Centro sociale anarchico
Gabrio, preceduti da uno striscione che invece illustra quello
che è il "vero" scandalo, "di carcere si muore di lotta si vive".
I petardi si moltiplicano, sono castagnole da stadio,
fumogeni puzzolenti rossi e fumogeni azzurri, bombardelle
rumorosissime che accompagnano la marcia...
Poi mi avvicino ad una banda. Nel senso di una piccola jazz
band di Milano. Uno suona il sax, un altro il clarinetto, un
terzo il trombone, un quarto la chitarra, altri due non
ricordo. Indossano una T- shirt bianca con su scritto "Luca
Rossi 23-2-86". La data di un brutto giorno, quando una
pallottola sparata da un poliziotto raggiunge alla schiena
Luca Rossi e lo fredda, dodici anni fa. Scappava assieme ad
altri compagni: "Una ferita ancora aperta...", una storia che si
è portata via con la vita di Luca anche quel poco di giustizia
che uno pensa debba esserci.
"Prove granitiche per falli calcarei" leggo in corso Regina
Margherita, ed ecco decifrata la frase misteriosa: il
procuratore aggiunto Laudi arresta Massari sostenendo che
ha "prove granitiche", gli squatter lo sbeffeggiano perchè il
granito si starebbe sbriciolando. E i falli? Beh, lì dubbi non
ce ne sono...
L'ala creativa degli antagonisti pitta i muri del percorso:
"Rottamazione per caschi e manganelli", in rosso. In nero:
"Mc Donald's, verrai bruciato". Quelli del Gabrio alzano il
tiro ideologico della loro "insurrezione", contro i silenzi e le
verità nascoste. Ce l'hanno con la pretesa "omertà" dei mass
media e degli intellettuali. Hanno molto successo, tra chi
ascolta, gli attacchi contro il TAV, il tre no ad alta velocità
che dovrebbe attraversare la Val Susa, "siamo tutti Lupi
Grigi", è l'ironico slogan disegnato su l'ennesima facciata di
un palazzo scrostato, i Lupi Grigi sarebbe la fantomatica
formazione ecoterroristica che ha firmato gli attentati contro i
cantieri del TAV. "Vedete? A chi governa questa città
interessa solo il centro, mentre lasciano marcire tutto il
resto", continuano a ripetere dagli altoparlanti gli oratori, il
lento avanzare del nostro corteo è in realtà un lento,
inesorabile j'accuse verso la Torino ingiusta che discrimina,
che lesina lavoro, che emargina (strano: questa parola è
assente dai volantini), c'è anche una sorta di autocritica, "ci
mancano dei canali di comunicazione, ma non con la città
che voi rappresentate - noi, cioè, che rappresentiamo i
poteri forti, noi intellettuali "addomesticati" - bensì con quella
parte di Torino che lavora, che è sfruttata in fabbrica come
in ufficio, in ospedale come in cooperativa, che è
sottopagata e costretta a lavori precari, intermittenti,
interinali, comunque sempre umiliata ed offesa dalla
condizione del lavoro e non lavoro". Una piattaforma
ragionevole di discussione e di confronto, osservano i
giovani comunisti di Rifondazione che si sono accodati al
corteo.
In corso Inghilterra un gruppetto - passamontagna e aste di
bandiere utilizzate come bastoni, davanti agli occhi del
consigliere regionale Verde, Pasquale Cavaliere che in
questi giorni è stato uno dei fautori del dialogo con gli
squatter - assalta le vetrine del negozio di elettronica
Marvin, perchè il titolare sarebbe conosciuto come uno degli
esponenti più intransigenti della destra torinese. Sassate
contro le guardie carcerarie alle Nuove, nello stesso corso,
un petardone finto, uova piene di vernice viola, tre tubi di
silicone avvolti dal filo elettrico per scimmiottare una bomba
ad orologeria, una pompa di benzina danneggiata, due
cassonetti in fiamme e altra sassaiola contro il futuro palazzo
di Giustizia.
Insomma, un bilancio che tutti alla vigilia avrebbero
sottoscritto. Quando si ritorna a piazza Statuto c'è aria di
smobilitazione, gli autonomi dell'Askatasuna ritornanano al
loro centro che è lì a due passi, gli anarchici vanno a
festeggiare al Prinz Eugen. Un "ribelle di capitan Nemo" mi
affida una sorta di sarcastico epitaffio, "Autopsia di un
anarchico". Ed è il ritorno coi piedi per terra, anzi,
sottoterra: "L'analisi delle escoriazioni cutanee e delle
lacerazioni dell'epidermide intorno al collo rivela che le fibre
del lenzuolo che serravano la gola del Massari erano
formate da un tessuto composto di cieca meschinità
umana...l'analisi del sangue e dei liquidi intestinali mostra che
il Massari aveva assunto la sua ultima razione di soprusi e di
ingiustizie carcerarie quotidiane poche ore prima del
decesso. Il tessuto molle intestinale seppur minato da anni di
sottomissione forzata e di false prove costruite a suo carico
mostra ad un'analisi non superficiale uno spirito indomito,
libero dai dogmi e dalle paure impostegli da un sistema
intollerante e corrotto. Il cuore del Massari ha cessato di
battere nel momento in cui gli obiettivi dei mass media
distorcevano definitivamente il contenuto di mafia, tangenti e
massoneria di cui è formato l'affare del Treno ad Alta
Velocità".
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