La Stampa - 05.04.98
"ASSURDA QUESTA RESA AI VIOLENTI". PAURA PER I PETARDI LANCIATI FRA LE BANCARELLE DEL MERCATO, 3 PERSONE PORTATE IN OSPEDALE. L'IRA DELLA GENTE: CASTELLANI, CHI PAGA I DANNI?
TORINO.
VIA, via di qui, andate via. Dentro, entrate, dentro, forza".
Gli agenti urlano, si sbracciano, agitano i manganelli, spingono la gente nei portoni mentre i commercianti tirano giù le saracinesche, si barricano nei loro regni. E, laggiù, ecco l'onda. E' lunga centinaia di metri: rotola dietro un enorme stendardo nero, il nero dell'anarchia. Trascina minacce contro tutto e tutti (giornalisti in primis), slogan, farneticazioni gridate da una voce di ragazza amplificata da grandi altoparlanti nell'aria che promette pioggia. Puntinata da bandiere rosse e nere, da striscioni multicolori, increspata da migliaia di pugni chiusi levati al cielo insieme ai bastoni a scandire cori e invettive, lenta ma inarrestabile quest'onda incontra sul suo cammino viali e strade deserte, un silenzio da dopo-bomba, un panorama sempre uguale di serrande sprangate. Come sprangate sono le finestre degli alloggi al pianterreno. Solo ai piani alti, sui balconi, facce. Guardano giù e in su, dove il rombo dell'elicottero accompagna il fluire dell'onda. Così Torino, una Torino irreale, asserragliata nelle case, chiusa nelle macchine bloccate nelle vie laterali ingorgate, ha vissuto il sabato del grande corteo degli squatter. Cinquemila inferociti, preceduti e seguiti da quasi duemila scudi, elmi, tute antiguerriglia, tubi lancialacrimogeni. Un pomeriggio blindato: dentro la paura, la tensione. E, anche dentro lo stupore, l'incomprensione della gente, il suo scandalizzarsi: "Ma come, se io andassi in giro conciato così mi bloccherebbero subito. Questi, invece...". Invece, in cima all'onda, in fondo, e in testa ai vari segmenti che la frastagliano (anarchici torinesi, i gruppi romani, i milanesi del Leoncavallo, i veneti) è sempre una schiera di incappucciati e mascherati. In particolare, spettacolare quella dei quattrocento dietro l'azzurro striscione del Leoncavallo, armati di bastoni reggibandiere, sulle spalle zaini colmi di pietre, in vita cinturoni con larghe fondine che scendono sino a metà coscia gonfie di oggetti definiti dai proprietari "mezzi di autodifesa". Difesa da chi? Ma via, è chiaro, "dalle provocazioni della polizia" spiega l'urlante voce di ragazza. Una polizia che subito cede alla pressione dell'onda e la lascia rotolare verso l'animazione del mercato di Porta Palazzo. Sarà il momento più pericoloso e teso: migliaia di inferociti in mezzo alla ressa tranquilla, allegra del sabato. Qua, dietro gli scudi degli agenti, assiste la folla che s'aggira tra le bancarelle. Quella che sui controviali di corso Regina Margherita sta arrivando o si sta allontanando carica della spesa è bloccata dalle forze dell'ordine e subito fatta riparare nell'androne più vicino. Ne uscirà venti minuti dopo, quando l'onda è fluita: bottiglie di birra vuote, le bottiglie scolate dai manifestanti, scritte di spray di vernice sui muri e sulle serrande le tracce del suo passaggio. E di nuovo, nei torinesi che osservano il mare di vessilli rossi e neri galleggiare sul mare di teste e allontanarsi laggiù, oltre il muro scuro delle uniformi dei carabinieri, ci sono meraviglia, sdegno, irritazione, la constatazione: "Il corteo doveva passare altrove, assurdo che si ceda sempre ai violenti". Buon per loro che sindaco, questore, prefetto non sono qui ad ascoltare: sentirebbero solo critiche, insulti, richieste di dimissioni. La voce popolare ad ogni modo racconta anche il sollievo perché il corteo se n'è andato senza fare grossi danni. Sollievo, ovunque: dal senegalese che nel sempre più arabizzato bazar del Balon, dove l'onda s'è formata, vende a 20 mila lire le videocassette pirata del Titanic: "Adesso finalmente posso riprendere a fare affari", al bancarellaio di Porta Palazzo: "E' logico che una città debba essere blindata per colpa di questi violenti?", ai capannelli di spettatori nei pressi degli incroci: "Pazzesco, sembra di essere precipitati nel buio degli Anni 70". Fonte di stupore è soprattutto l'età degli inferociti. Corteo di squatter, corteo dei giovani dei centri sociali di Italia, s'è detto e scritto. Però, tra gli anarchici, nel plotone del Leoncavallo, che fa paura davvero con i suoi scherani incappucciati, nel gruppo romano altro che ragazzi: c'è fior fiore di trentenni, quarantenni, non pochi i cinquantenni. Lasciamo perdere l'ultimo spruzzo dell'onda, quelli di Rifondazione (dove spiccano l'assessore comunale alle finanze Alberione e il consigliere regionale Papandrea), pacifici, attempati signori e signore che camminano dietro lo striscione "Insieme contro l'esclusione" chiacchierando e scherzando, lasciamo perdere questa sorta di terza età della protesta, ma nel cuore dell'onda abbondano i "non ragazzini", i professionisti della spranga, rodati da anni di manifestazioni e scontri. Sette di costoro, squatter giunti da Roma, hanno animo musicale, con sax, due trombe, trombone, due flauti e grancassa suonano l'Internazionale, le canzoni dell'anarchia e della Resistenza: nei momenti di riposo, slogan e pugni chiusi al cielo. Se i tutori dell'ordine hanno ceduto lasciando che gli inferociti si facessero beffe dell'itinerario concordato, complimenti invece a chi ha autorizzato il passaggio davanti al carcere delle Nuove e la circumnavigazione del palazzo di giustizia nuovo da 4 anni e da 4 anni ancora cantiere. Fumogeni e razzi da stadio contro la prigione, tirassegno di pietre contro le vetrate del palazzo. Nei giardini, da lontano, la gente guarda perplessa o arrabbiata: "Chi pagherà i danni? Il Comune: cioè, noi. Ah, il sindaco che parla di dialogo, di tolleranza...". Di nuovo dobbiamo scrivere, fortunato Castellani a non essere qui, quali e quanti poco lusinghieri apprezzamenti sentirebbe. Gruppi di ragazzini si divertono a indovinare quanti cristalli saranno centrati. Nella sassaiola contro questi due bersagli virtuali (le Nuove ospitano ben pochi reclusi, il palazzo di giustizia è vuoto monumento allo spreco e all'insipienza progettuale) si distingue la gioventù del corteo, i veterani tirano dritto: anzi, qualcuno, come l'anarchico ultraquarantenne Mario del centro sociale torinese del Barrocchio, cercano di dissaduere dal giochino. L'onda dovrebbe rompersi a Porta Susa. Come alla partenza, inventa ancora un percorso di suo gradimento, va a prosciugarsi nel comizio tenuto dall'instancabile voce di ragazza in piazza Statuto. I soliti deliri, le solite minacce ai giornalisti sin dall'inizio avvertiti: "State lontani, non vi vogliamo, assassini". Il solito deserto di traffico e saracinesche chiuse, solo nel vicinissimo corso S. Martino le saracinesche non si sono abbassate; quelle dell'agenzia di scommesse ippiche, decine di giocatori inseguono, nel fumo, "il cavallo buono" infischiandosene del farneticare squatter, dei proclami della loro emittente, "Radio black-out". Alle 18, dopo quattro ore di tensione e paura, l'onda si sfrangia in mille rivoli, Torino torna alla normalità. L'elicottero non volteggia più in cielo, a poco a poco, strada dopo strada il silenzio da post-bomba cede al frastuono delle macchine, negozi e bar riprendono a vivere. Stavolta, è andata bene.
Marina Cassi Claudio Giacchino