Parliamo di guerra...

Parliamo di guerra... Quella che vediamo sui teleschermi ogni giorno, quella che doveva essere rapida ed indolore, una guerra lampo in cui i 'liberatori' avrebbero dovuto essere accolti con i fiori e i festeggiamenti, ed invece hanno trovato la resistenza di quello che viene definito un 'esercito di straccioni'.  Questa volta le immagini non sono solo quelle dei bombardamenti ipertecnologici, questa volta il sangue schizza sullo schermo.  Cade definitivamente il mito, l'illusione di una guerra asettica, chirurgica, senza morte e distruzione, quel mito a cui noi non avevamo mai creduto, buono solo per rassicurare chi non vuole rendersi conto di quello che gli succede intorno. Questa volta non c'è un paese invaso da 'salvare', come il  Kuwait nel '91, un'etnia da "proteggere", come il Kossovo nel '99, dei pericolosi terroristi da fermare, come l'Afghanistan nel '99. 

  Neppure allora accettavamo quelle guerre, perché ne vedevamo, dietro le giustificazioni ufficiali, solo il pretesto per portare avanti gli interessi economici, di controllo delle aree da parte dei potenti del mondo.  E adesso è tutto ancora più chiaro: la superpotenza USA non fa mistero dei suoi interessi e delle sue mire e invade un paese ritenuto un pericolo per le stabilità mondiale perché possiede armi di distruzione di messa.  Dovremmo ringraziare il caro Bush, che ci protegge ed ha a cuore le sorti dell'intera umanità.  Dovremmo chiuderci gli occhi e non vedere le vere motivazioni che stanno dietro a questa ennesimo guerra imperialista, il fatto che l'Iraq è i il secondo paese al mondo per i giacimenti petroliferi, o il fatto che quell'area è strategicamente fondamentale, la sua conquista è un insediamento degli USA in quei territori destinato ad ampliarsi sempre di più. Oppure dovremmo far finta di non sapere che lo staff di Bush e le lobby economiche che lo hanno portato al potere sono legate strettamente alle industrie petrolifere, industrie di armamenti, e che la guerra è sempre un buon affare.  E poi c'è la ricostruzione, che in questo periodo è oggetto di dispute e contrattazione da parte di vari sciacalli.  Dovremmo insomma diventare ciechi, sordi. stupidi, me anche muti.  Muti perché il dissenso viene negato quotidianamente, nelle piazze, nei quartieri,in tutta la società.  Viene negato con le parole, le dichiarazioni, le menzogne,e anche con i f atti, con la repressione            che            sta diventando            sempre più brutale, e si            esprime con i manganelli            sui manifestanti, con gli assassini dei compagni da parte dei fascisti coperti dalla polizia, con la nostra quotidianità trasformata lentamente  ma inesorabilmente in un inferno...Parliamo di guerre...ma non solo di quella che vediamo nei nostri televisori e che ci propinano i nostri giornalisti asserviti al potere ... parliamo della nostra guerre di ogni giorno, di quella che ci vorrebbero far dimenticare, coinvolgendoci nella visione delle bombe intelligenti, dei dibattiti inutili tra i veri opinionisti che affollano i programmi televisivi.  Quello che accade a livello internazionale è solo il riflesso delle nostre vite quotidiane.  La nostra guerra non è scoppiata il 17 marzo, l'11 settembre, né nel '91 o nel '99.  La nostra guerra c'è sempre stata, e ci sarà anche dopo la fine di questo ennesimo massacro.  E' la guerra per un lavoro, per una casa, per una vita

dignitosa, tutto quello che ci viene negato quotidianamente da un sistema che sì fondo sullo sfruttamento, sull'oppressione, che ci invade in ogni minimo aspetto della nostra esistenza, dei nostro pensiero.  E' la guerra di chi opprime contro chi è oppresso.  La nostra vita, le nostre relazioni, anche quelle che crediamo più libere e autentiche sono vittime dei pensiero unico delcapitalismo.  E' difficile da accettare, ma è fondamentale rendersene conto.  Fino a che non ce ne renderemo conto, sarà ben poco quello che potremo fare per rompere queste catene che ci imprigionano.  Ci vogliono perfettamente allineati a questa logica, anzi, di più.  Vogliono che noi stessi la riproduciamo ogni giorno, in ogni nostro pensiero, in ogni nostro gesto.  Con l'indifferenza, con la competitività, con il dominio dei genere maschile su quello femminile ... prima ci buttano gli avanzi e poi ci osservano sbranarci ... così recita il verso di una canzone che ci fa capire molto.

E allora cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo, nei nostri rapporti, nella quotidianità?  Sabotare la guerra, ad ogni livello, nelle piazze, ma anche nei posti di lavoro, nei quartieri, nei rapporti con gli altri, nella famiglia.  Rompere il pensiero dominante, prendere coscienza dei fatto che l'unico modo per cambiare quello che ci circonda è cambiare noi stessi, continuamente, nelle relazioni con gli altri, cambiare insieme e proporre qualcosa di altro rispetto all'ideologia capitalista, di cui siamo tutti, anche chi se ne crede libero.

  Rilanciare pratiche di autorganizzazione e autogestione, liberarci del pensiero che ci trasmette la società da quando nasciamo.  Riprenderci gli spazi, i tempi che ci vengono negati, liberarli.  Costruire spazi e tempi nostri, che non hanno nulla a che fare con il potere, che possano essere la reale espressione dei nostri bisogni e dei nostri desideri.  Quindi, prima di tutto, prendere coscienza dei nostri bisogni e desideri, senza lasciare che qualcun altro decida quello che dobbiamo sognare, desiderare, o quello di cui abbiamo bisogno.  Metterci in discussione costantemente e buttare fuori dalle nostre viscere quello che abbiamo di questo       pensiero capitalista,       di       questa cultura di oppressione e di morte.  Tutto questo può sembrarci difficile, e in parte lo è, ma è anche l'unico modo che abbiamo per abbattere questo sistema che, oltre ad essere economico, è immateriale, è pensiero, dominio sul pensiero.

E' per questo che siamo comunisti autonomi, anarchici, libertari-, disobbedienti, no global, o come cazzo ci vogliono chiamare.  Perché siamo stanchi di accettare questo mondo che stiamo devastando come l'unico possibile.  Perché non ci rassegnano ad accettare tutto questo come qualcosa di inevitabile.  Perché vogliamo essere protagonisti delle nostre vite e dei loro cambiamento.  Perché odiamo chi ci sfrutta, e non lo vogliamo nel nostromondo.

E' l'unico modo per sentirci davvero vivi.

 

 

rukola81

 

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