FONDAMENTALISMI “Le parole sono importanti!!… chi parla male pensa male… e chi pensa male vive male!!”. Dai giorni degli attentati alle Twin Towers i media
ci ossessionano con un insieme di termini
che vengono utilizzati come sinonimi: islam, fanatismo, terrorismo,
fondamentalismo, integralismo, islamismo… il risultato di questa mistura
di ignoranza e malafede è la creazione di una pericolosa confusione,
confusione che scava un fossato tra due civiltà. Fondamentalismo e Integralismo sono due fenomeni
estranei all’Islam: il primo è di origine protestante, l’altro
cattolica. Anche il termine islamismo viene usato impropriamente per
designare l’islam politico. Forte è anche la confusione circa i
movimenti e i partiti islamici. Queste sono organizzazioni molto diverse
tra loro ed a volte non hanno nulla in comune se non il riferimento alla
religione del profeta che interpretano in modo profondamente diverso. Il
movimento islamista nato nel 1928 in Egitto con i Fratelli musulmani ha
conosciuto evoluzioni e cambiamenti; la sconfitta araba nella guerra dei
sei giorni segnò un momento significativo, con il crollo delle formazioni
nazionaliste e socialiste considerate responsabili della catastrofe. Le
popolazioni umiliate e sconcertate trovarono conforto nella fede. Gli
islamici ormai costretti nella clandestinità dalla maggior parte dei
regimi al potere, utilizzarono le moschee come tribune e le associazioni
caritatevoli come mezzo di trasmissione del loro messaggio. Adattarono il
loro discorso politico a quello dei loro predecessori, facendo uso della
retorica islamica per mobilitare le masse. L’islam politico divenne
quindi uno dei pochi veicoli della protesta e delle rivendicazioni
nazionaliste, anti-imperialiste e sociali. I regimi arabi di fronte alla
minaccia dei “fondamentalisti” li hanno o perseguitati o integrati
nelle istituzioni statali. Ma gli scontri tra regimi al governo e
fondamentalisti non sono scontri tra sostenitori e avversari della laicità.
Alcuni stati ostili all’islam politico sono dotati di costituzioni e
legislazioni conformi agli insegnamenti dei libri sacri, molti sono scesi
a patti con loro per utilizzarli contro avversari considerati più
pericolosi. È
il caso di Israele: nei territori occupati i vari governi dello stato
ebraico hanno sostenuto i Fratelli musulmani all’epoca in cui questi
criticavano l’OLP perché la consideravano un miscuglio di nazionalisti
e marxisti, di traditori dell’islam. Solo più tardi nel 1997,
all’inizio della prima intifada i dirigenti israeliani si sono resi
conto che i Fratelli musulmani hanno creato l’attuale organizzazione
Hamas, che combatte per la liberazione della Palestina mediante la lotta
armata e il terrorismo. È il caso degli Stati Uniti che ritenevano gli
islamisti degli amici poiché nemici degli “atei comunisti” e
sostenitori dell’economia di mercato. L’alleanza degli Stati Uniti con
l’Arabia Saudita non è mai stata messa in discussione dopo la seconda
guerra mondiale. Negli anni ’50, ’60 paesi musulmani e movimenti
islamisti militavano insieme agli americani contro il nasserianesimo e
contro “l’impero del male” sovietico. Era la prima versione della
lotta del bene contro il male. Ma le cose cambiarono con la cacciata dei
russi dall’Afghanistan, il crollo dell’impero sovietico, e la guerra
del Golfo. Nacque
un nuovo tipo di ”integralismo” tra le montagne dell’Afghanistan. I
mujaheddin non si sentivano appendici degli Stati Uniti, erano convinti di
aver liberato la terra dell’islam con la loro forza e col martirio. Ma
all’indomani della vittoria, capirono che gli Stati Uniti gli avevano
giocato un brutto tiro. Con la guerra del Golfo, che provocò
manifestazioni e proteste nel mondo arabo musulmano, questi popoli
capirono che Washington usava due pesi e due misure: punire l’Iraq per
la sua aggressione al Kuwait e lasciare che Israele continui ad occupare
impunemente i territori arabi! Per questo la superpotenza statunitense
divenne il bersaglio dei “fondamentalisti” di ogni tendenza. Ma
l’ “antiamericanismo” non è sempre stato uno degli obiettivi degli
arabi musulmani, per molto tempo anzi questi hanno ingenuamente creduto
alle belle promesse fattegli dagli Stati Uniti: -
l’emancipazione promessa dal presidente Wilson per i popoli colonizzati
all’indomani della seconda guerra mondiale; -
l’impegno del presidente Roosvelt con il re Ibn Saud di risolvere
il problema palestinese; -
dopo la seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti erano visti
come i nemici del colonialismo britannico e francese; -
nel ’56 quando il presidente Eisenhower intimò al Regno Unito,
alla Francia e ad Israele di ritirare le loro truppe dall’Egitto. Ma
la storia li ha spinti a ricredersi. Non per questo si può ritenere che
il terrorismo sia una pratica inerente all’islam. Esso può avere
qualsiasi nazionalità, religione e fini alternativi. Il terrorismo di Al
Qaeda, l’organizzazione fondata da Osama Bin Laden alla fine della
guerra antisovietica in Afghanistan è atipica, senza precedenti storici.
Mira a colpire quasi esclusivamente interessi americani; è transnazionale
nel suo reclutamento e nella sua identità, poiché agisce in nome dell’Umma
(la nazione musulmana) presente in tutto il mondo; è globalizzata perché
si muove su tutto il pianeta e fa uso delle più avanzate tecnologie; i
suoi adepti sono imbevuti di cultura occidentale e appartengono alle
classi medie; è finanziata da privati; non dispone di una base popolare
organizzata. È stata sconfessata sia dagli integralisti che dalle autorità
religiose musulmane che ritengono bin Laden un eretico. Ma fa presa sulla
popolazione musulmana e non: “i dannati della terra”, gli emarginati
della globalizzazione (di questa globalizzazione
neoliberista) si sentono vittime dell’egemonia statunitense e nel vuoto
politico che oggi lacera anche il mondo arabo, sono facili prede del
massaggio di Al Qaeda. Questo
movimento si è sviluppato in ambienti modernizzati, tra i musulmani che
vivono in occidente. È riuscito ad avere un seguito perché i grandi
classici movimenti islamisti sono diventati più nazionalisti che
islamisti e non rispondono più alle richieste dei giovani
deterritorializzati per effetto dell’emigrazione o di studi compiuti
all’estero. Ad una popolazione musulmana globalizzata si adatta meglio
questo tipo di fondamentalismo che trasforma la dolorosa esperienza della
negazione della loro cultura nella rifondazione di un islam universale, in
cui la umma diviene il mondo
globale. Hanno saputo islamizzare la globalizzazione, cogliendo in essa
l’occasione per ricostruire una società musulmana universale. Per far
ciò hanno bisogno di detronizzare l’occidentalismo americano. Il
risultato a cui aspirano è la creazione di un universo speculare a quello
annientato, fatto di discriminazioni, oppressioni, ingiustizie, identità
ossessive con un falso Allah al posto del dio-dollaro. Stanno cercando di
trasformare l’islam in un contenitore vuoto, versatile, adatto ad ogni
situazione globale e per questo ostile a tutto ciò che è cultura. Solo
la lotta dal basso contro le povertà e le ingiustizie economiche e
politiche, per una democrazia reale, unita ad una grande battaglia
culturale che faccia del dialogo tra tutte le culture e della
contaminazione le sue parole d’ordine contro ogni ossessione identitaria,
può fermare gli integralismi di ogni tipo (Bin Laden, Bush, Le Pen, ecc)
e ridare speranza ad un mondo che va verso la guerra globale permanente. R.u.k.o.l.a. 77
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