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DAL CUORE DELLA GUERRA GLOBALE PERMANENTE

Più di trecento italiani sono andati in Palestina all'interno della missione "Action for Peace", per realizzare un'operazione di "diplomazia dal basso", che è riuscita ad entrare negli uffici di Arafat, assediati dai carri armati israeliani, per portare solidarietà al popolo palestinese. Qui di seguito vi presentiamo uno stralcio del documento dei Disobbedienti presenti in Palestina.

I pensieri scorrono con fatica, appesantiti dal piombo e sporcati dal sangue che piove su questa terra. Se scegliessimo di arrestarli, per il fatto che maturano in mezzo al fuoco, con Arafat assediato a Ramallah e gli M16 dell'esercito israeliano che vomitano pallottole e morte per ogni dove commetteremmo un errore imperdonabile. Mentiremmo a noi stessi. Bisogna scandagliare le impressioni generate nel silenzio della nostra impotenza. Dar loro voce. Perche', per paradosso, osserviamo il mondo da un punto di vista privilegiato. Dal cuore della guerra globale permanente.Non c'e' piu' nessuna crisi mediorientale. Nessun inasprimento del clima o peggioramento della situazione. Qui, come in altri territori dell'Impero, c'e' guerra permanente, senza fine. Non ci sara' mai piu' una guerra del Golfo o del Kossovo, mai piu' una guerra fra stati, una guerra che inizia e finisce. Non si intravede alcun dopoguerra nel quale godere della pace. Eravamo venuti a parlare di pace. Ed abbiamo finito le parole. Non possiamo farci portavoce di una morale e di una retorica d'oltremare che riecheggia ipocrita nelle parole del presidente Bush o dei governanti dei paesi dell'Unione Europea o dei paesi arabi che chiedono pace. Sono vassalli di un Impero che scrive con la guerra la propria costituzione materiale e che e' disposto a difendere le sue elite a qualunque costo. Soprattutto se si avvia a barattare il massacro del popolo palestinese con il placet ad una guerra in Iraq. Non ci spiegheremmo, altrimenti, l'immobilismo e l'inazione di "stati sovrani" che si sono affannati ad intervenire tempestivamente, e di comune accordo, ai tempi delle "operazioni di polizia" in Kuwait o della "guerra umanitaria" in Kossovo. Non c'e' che guerra nelle strade di Ramallah, nei campi profughi di Bettlemme, ai check points di Ram e Kalandia e in mille altri luoghi. Non e' solo il conflitto israelo-palestinese, e' la guerra globale che ha diversa intensita' e diverse gradazioni, nello spazio e nel tempo, ma e' la stessa guerra. E' la stessa che si combatte nei paesi dell'area andina, devastati dal Plan Colombia, la stessa delle piantagioni di soia nel Karnataka, la stessa dell'Argentina, accompagnata dal rumore dei mestoli sulle casseruole, la stessa guerra combattuta nelle strade di Genova. E' la guerra in Iraq, anno del signore 2002. Viviamo un imbarazzo, un'impotenza. Eravamo partiti con le nostre sagge e ragionevoli categorie custodite nelle sacche degli zaini e le abbiamo riconosciute come strumenti inservibili.Non c'e' piu' spazio per "Action for Peace". C'e' bisogno di "Action against the Global War". Se il concetto di guerra non e' piu' lo stesso, non e' lo stesso nemmeno il concetto di pace. La pace non puo' piu' essere la sospensione delle ostilita' fra gli stati. Gli stati sono bugie dell'Impero, come conferma la colpevole inazione dell'Onu che pure riconosce l'autorita' nazionale palestinese umiliata e minacciata, in queste ore, dalle milizie del governo Sharon. Anche le sospensioni delle ostilita' saranno bugie fino a quando non saranno costituite reti globali di resistenza, disobbedienza, e diserzione alla guerra capaci di arrestarla prefigurando nuove prospettive di vita e di liberazione. Eravamo venuti a fare interposizione con i nostri corpi e abbiamo conosciuto corpi di quindici, sedici, o diciassette anni scagliati come bombe umane contro altre vite ed altri corpi. Eravamo venuti a parlare con la societa' civile israeliana e abbiamo conosciuto coloni che portano in spalla gli stessi mitra della polizia nazionale, gli stessi dell'esercito. Parlavamo di pace ed iniziamo a vedere con orrore l'eventualita' di una pace armata, la possibilita' di un congelamento della sopraffazione e delle innumerevoli violazioni della dignita' che e' costretto a subire oggi il popolo palestinese. Attraversando i territori occupati e ascoltando le parole dei messi imperiali, d'America e d'Europa, ci siamo convinti sempre di piu' che occorre schierarsi. Combattere. Anche se questo, per noi, qui ed ora, puo' voler dire soltanto sfidare una selva di pallottole nelle strade di Ramallah per portare cibo e medicinali a Yasser Arafat o donare il sangue ad uso esclusivo degli uomini, delle donne e dei bambini che rischiano la vita negli ospedali palestinesi.Chiedere la pace e' come chiedere nulla. Lo sanno bene i riservisti israeliani che pagano con il carcere le proprie diserzioni. Lo sanno bene i palestinesi conosciuti a Bettlemme, pronti a difendere le proprie case con il fucile sulle spalle. Adesso lo sappiamo anche noi. Da quando siamo venuti a conoscenza del fatto che ottocento dei mille bambini palestinesi uccisi sono stati freddati con una pallottola sulla fronte non abbiamo piu' alcun dubbio. Costruire un altro mondo possibile vuol dire, prima di ogni cosa, con tutte le proprie forze, combattere contro la guerra globale permanente. Sabotarla. Disertarla. Essa e' oggi, sempre e soltanto, guerra contro i civili. Ma l'opposizione alla guerra non puo', non deve trasformarsi anch'essa in guerra contro i civili, come e' oggi in Palestina nella follia disperata dei kamikaze. Mai. Deve trasformarsi, al contrario, in conflitto per la democrazia. Dal laboratorio di dubbi e di linguaggi che e' stata per noi la Palestina, portiamo a casa questa piccola grande certezza. Un anno fa, esattamente in questo periodo, tornavamo da un altro viaggio. Era la marcia della dignita' indigena del SubComandante Marcos e dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.In Chiapas abbiamo imparato che resistere alla guerra globale, resistere al neoliberismo non vuol dire stare fermi, attestarsi a difesa dell'esistente. Vuol dire resistere e, al contempo, indicare altre strade e altre possibilita' di vita, di autogoverno, di democrazia radicale. Questo ci hanno insegnato le donne egli uomini che sono del colore della terra. Ieri era il 30 di Marzo, la giornata della terra per l'appunto. Qui si e' conosciuto soltanto l'ennesimo giorno di fuoco.

Movimento dei/lle Disobbedienti, 31 marzo 2002

 

NO GLOBAL WAR!!

 

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