Elementi di innovazione al POP 940025I1

Premessa

L'evoluzione del contesto di riferimento

Gli obiettivi del PO

La struttura del PO

Vedi anche http://dante.bdp.it/fse

 

 

PREMESSA

 

La qualificazione del capitale umano, a partire dai sistemi dell’istruzione di base dei Paesi che evidenziano ritardo nello sviluppo, costituisce una delle più importanti priorità della programmazione cofinanziata dai fondi strutturali ed, in particolare, degli interventi del FSE. In questo contesto i giovani, soprattutto quelli al di sotto dei 20 anni, costituiscono un target di utenza privilegiato delle politiche comunitarie per il sessennio 1994-1999. L’attenzione volta alle nuove generazioni non è solo motivata da una visione strategica e di lungo periodo dell’investimento comunitario, ma si spiega, nel caso italiano, anche per i rilevanti deficit del sistema formativo, sia con riferimento alla formazione di base che alla formazione post-diploma. Per queste ragioni la programmazione del FSE in Italia ha dato particolare risalto al rafforzamento del sistema dell’istruzione e al suo collegamento, in termini sinergici e integrati, con i sistemi di formazione professionale, in particolar modo nel Mezzogiorno.

Il Programma Operativo 940025I1, Un Impegno per la Qualità, a titolarità del Ministero della Pubblica Istruzione, ha tradotto queste finalità generali nell’obiettivo di elevare la qualità complessiva del sistema dell’istruzione professionale nel Mezzogiorno sia attraverso un miglioramento della funzione formativa interna al sistema scolastico, sia mediante una stretta integrazione con il sistema produttivo, allo scopo di aumentare le probabilità di successo occupazionale e professionale dei servizi formativi offerti.

Si tratta di finalità strategiche assegnate al sistema scolastico per il periodo di programmazione in corso, non solo in funzione degli obiettivi indicati dalle politiche comunitarie ma anche della evoluzione ordinamentale del sistema scolastico nazionale e di quello dell’Istruzione Professionale in particolare.

Il valore del P.O. è strategico anche rispetto al più ampio scenario di riforma dei sistemi dell'istruzione e della formazione. In particolare le attività di post-diploma e di post-qualifica, costituiscono un significativo terreno di sperimentazione e di anticipazione di forme di integrazione fra il sistema scolastico e quello della formazione professionale regionale. Tale caratteristica corrisponde ad una esplicita finalità dell'azione del FSE, nei diversi Quadri Comunitari di Sostegno italiani, proprio per agevolare lo scambio e ridurre la distanza tra le diverse componenti del sistema formativo e la domanda espressa dal sistema produttivo locale. Più in generale, la spiccata articolazione territoriale delle attività e l'inserimento delle strutture scolastiche in network locali connotano l'azione della gran parte dei Sottoprogrammi, anche in questo caso rappresentando un importante terreno per la sperimentazione di forme di programmazione integrata.

L’ampiezza del periodo di programmazione ha consentito di cogliere gli elementi evolutivi del contesto nazionale e di precisare ulteriormente le strategie di intervento del P.O., estendendo il campo di azione e modificando le procedure di intervento.

In particolare, gli effetti del nuovo contesto normativo e l’accelerazione al processo di riforma del sistema formativo impressa dal primo triennio di attuazione hanno introdotto innovazioni di contenuto delle politiche promosse nell’ambito del P.O. che si trovano riflesse, nella programmazione per gli anni 1997/1999, con l’aggiunta di nuovi sottoprogrammi e di modifiche e riorientamenti a quelli già esistenti. L’evoluzione del contenuto si basa su due elementi fondamentali:

Accanto alle linee portanti della programmazione iniziale (professionalizzazione dei percorsi, lotta all’abbandono scolastico, e formazione dei formatori) hanno dunque acquistato un nuovo rilievo i temi dell’integrazione tra istruzione e formazione, quello dell’alternanza tra scuola e lavoro, mentre le azioni volte all’inserimento o al reinserimento di adulti occupati e disoccupati sono state arricchite di metodologie innovative.

L’evoluzione e gli ampliamenti delle linee di intervento del P.O. hanno così dato luogo ad un impianto programmatico più articolato e complesso rispetto a quello descritto nel documento originario di programmazione. Ne conseguono, da un lato, l’utilità di riportare a sintesi e coerenza interna le diverse linee di intervento che oggi contraddistinguono il campo di azione del P.O., dall’altro lato la necessità di razionalizzare la struttura interna del programma articolandola secondo più livelli (sottoprogrammi, misure, azioni) all’interno di aree omogenee di programmazione.

L'EVOLUZIONE DEL CONTESTO DI RIFERIMENTO

 

A tre anni di distanza dal momento in cui è stato progettato il P.O. il contesto di riferimento è stato soggetto a rilevanti modifiche, in particolare per quanto concerne la cornice normativa per il sistema della formazione e dell’istruzione e lo sviluppo delle politiche nazionali su questi temi.

Meno vistosi risultano, naturalmente, i cambiamenti socio-economici prendendo in esame i principali indicatori di descrizione del sistema dell’istruzione e del mercato del lavoro del contesto di riferimento. Si tratta in questo caso di fornire dati aggiornati alle rilevazioni più recenti, ma anche di segnalare, ove possibile, gli elementi di continuità ovvero di novità registrati rispetto al quadro descrittivo presentato nel documento di programmazione al fine di mantenere elementi di coerenza, interni al programma, tra azioni promosse e fenomeni di contesto.

1. Le novità nel contesto normativo

Il riferimento principale è, come ormai noto, l’Accordo per il Lavoro del settembre 1996 tra Governo e Parti sociali, il quale definisce le aspirazioni in termini di politiche nazionali nel lungo periodo e dal quale si dipanano le norme più recenti in tema di istruzione, formazione e lavoro.

L’Accordo pone come priorità assoluta per l’attuazione delle politiche di sviluppo economico e dell’occupazione la necessità di adeguare, innovare e integrare il sistema dell’istruzione e della formazione. Il rinnovamento culturale, dunque, costituisce l’elemento strategico per il raccordo tra istruzione e formazione e fra questi ultimi e gli obiettivi e i temi dello sviluppo.

Il linea con gli orientamenti europei, l’Accordo prevede:

L’integrazione tra i due sistemi della formazione e dell’istruzione e quello del lavoro è sicuramente lo snodo principale per dare forza alle politiche di sviluppo a livello territoriale attraverso:

a) la flessibilità dei modelli formativi, da perseguire mediante una riforma dei modelli di intervento (crediti formativi, capitalizzazione delle competenze, personalizzazione dei percorsi e dei curricoli) in modo da facilitare l’utilizzo di più segmenti dell’offerta; lo sviluppo di capacità di programmazione e progettuali a livello locale; l’affermazione di un ruolo per il governo centrale legato a funzioni di monitoraggio, valutazione degli interventi, omogeneizzazione degli interventi sul territorio nazionale;

    1. l’integrazione sul territorio fra i vari attori (Istituti e Centri di formazione professionale, imprese, parti sociali) al fine di migliorare l’impatto occupazionale del sistema formativo;
    2. il recupero della dimensione territoriale per mirare gli interventi a seguito delle analisi di contesto, stabilire priorità degli interventi in base ai fabbisogni, progettare interventi finalizzati per recuperare i divari fra le aree del paese, facilitare il collegamento a livello locale tra istruzione, formazione e occupazione;
    3. la costruzione di un quadro organico di riferimento anche dal punto di vista gestionale-organizzativo, attraverso la creazione di opportune sedi di coordinamento delle istituzioni coinvolte nelle iniziative secondo una "strategia unitaria".

Il sistema formativo riformato nell’ottica dell’integrazione dovrà, secondo l’Accordo, configurarsi nel modo seguente:

- post-obbligo scolastico
- post-obbligo non scolastico

- apprendistato
- università
- formazione continua e permanente

Il disegno di legge sul Riordino dei cicli scolastici presentato dal Ministro della Pubblica Istruzione riprende e sviluppa i principi contenuti nell’Accordo, indicando la necessità di far perdere al sistema dell’istruzione "la sua caratteristica fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente propedeutica rispetto ai cicli successivi, per assumere una struttura modulare nella quale ogni segmento identifichi precise soglie da raggiungere e consolidi risultati spendibili in termini culturali, scientifici e professionali". Nella nuova articolazione dei cicli scolastici è possibile, in particolare, individuare alcune aree di integrazione fra i due sistemi dell’istruzione e della formazione, nell’ambito del triennio di orientamento (obbligo scolastico) e del triennio di specializzazione (scuola secondaria):

Gli orientamenti strategici stabiliti nell’Accordo per il lavoro e nel disegno di legge sul riordino dei cicli sono tutt’ora al centro del dibattito nazionale per una loro traduzione operativa e normativa. Di certo, l’autonomia delle istituzioni scolastiche locali costituisce un elemento centrale della riforma del sistema scolastico, in quanto consente di definire territorialmente il coordinamento tra le strutture dell’offerta e strategie unitarie nel quadro della programmazione regionale. Le scuole divengono, quindi, da un lato, organi-enti, dall’altro agenzie formative di base, in grado di collegarsi alle regioni e agli enti locali come centro di servizi e di compiere la propria missione educativo-formativa in collaborazione con il sistema della formazione professionale.

Un impulso determinante al processo di autonomia proviene dalla L.59/97 (Legge Bassanini) che interviene in una nuova definizione dei rapporti tra Stato, Regioni e Enti locali nella direzione di un forte decentramento territoriale. Alle istituzioni scolastiche vengono conferite personalità giuridica e autonomia didattica, organizzativa, e di sviluppo.

Il processo di autonomia del sistema scolastico si inserisce così in un più ampio contesto di autonomie funzionali. Si tratta di:

2. L’istruzione e il mercato del lavoro

Il confronto fra le analisi di contesto effettuate in fasi successive all’interno del P.O. ha permesso di riscontrare la persistenza di numerosi fenomeni critici che caratterizzano il sistema scolastico italiano in tutti i suoi aspetti e in particolare rispetto ai momenti di raccordo tra cicli formativi e tra scuola e lavoro. E’ stato possibile inoltre individuare elementi di novità che oggi si presentano all’interno del mondo dell’istruzione e che denotano l’emersione di problematiche derivanti, da un lato, dall’evoluzione, spesso in chiave negativa, di fattori già noti, dall’altro, dagli effetti che l’economia di questi anni ha prodotto sul versante sociale.

In realtà, per motivi di varietà di fonti e difformità dei dati considerati, risulta difficile fare una verifica puntuale delle persistenze e dei cambiamenti intervenuti durante il periodo intercorso tra le due analisi. Tuttavia, tenendo conto di dati registrati nel periodo 1994-1996, è possibile enucleare una serie di annotazioni utili per la conferma delle azioni previste all’interno del PO o la necessità di ridefinizione delle stesse.

Alcuni fenomeni, approfonditi nei paragrafi che seguono, contraddistinguono ancora l’intero contesto nazionale, con accentuazioni più negative nelle aree del Mezzogiorno, pur con lievi miglioramenti rispetto al passato.

2.1. L’Istruzione

La scuola elementare e media inferiore

L’elevata quota degli insuccessi scolastici, nel nostro Paese, non può essere considerata "fisiologica" ma rappresenta una concreta indicazione dell’inefficacia del sistema formativo di base.

La percentuale di ragazzi che non porta a compimento gli studi secondari inferiori, nel 1995, è piuttosto rilevante (4,7% del totale persone di età 15-19; meno del 4% del totale persone di età 20-24), nonostante il suo andamento sia decrescente. Decresce in particolare la quota di coloro che non hanno conseguito nessun titolo o la licenza elementare.

Il periodo della selezione si è spostato e innalzato passando dalla scuola elementare a quella media, dove si verifica anche una sensibile riduzione, rispetto agli anni passati, dei ripetenti.

La scuola superiore

L’analisi dei dati ISTAT derivanti dalla "Rilevazione sugli alunni delle scuole secondarie superiori 1995-96" consente di porre in evidenza il perdurare di alcune problematiche presenti ormai da anni all’interno del sistema scolastico ma, allo stesso tempo, suggerisce scenari emergenti da interpretare all’interno di fenomeni generali che stanno interessando e modificando le caratteristiche della nostra società.

Le variazioni quantitative avvenute all’interno dei corsi di studio superiori nell’anno scolastico 1995-96, con particolare attenzione e riferimento alle diverse aree geografiche, sono avvenute secondo gli apporti di soggetti in "entrata" ed in "uscita" di seguito illustrati.

Rispetto ai flussi in entrata, la maggior parte degli studenti che si sono licenziati dalla scuola media inferiore nel periodo 1994-95 si sono iscritti a quella superiore (92 su 100), anche se in diversa misura relativamente alla ripartizione territoriale. Questo passaggio è stato particolarmente intenso nel caso del Centro dove si è verificato per la quasi totalità degli studenti medi inferiori (99,8%). Le altre tre ripartizioni geografiche fanno registrare dei tassi piuttosto simili anche se il Mezzogiorno risulta, pur di poco, più sfavorito (89,2%) rispetto al Nord ovest e al Nord est.

Alcuni indicatori della selezione scolastica per ripartizione geografica
 

 

Tasso di passaggio medie/superiori nel 1995 (%)

Diplomati nel 1994-95 su 100 iscritti al 1° anno 5 anni prima

Maturi per 100 19enni nel 1995

Nord-ovest

90.4

71.3

55.2

Nord-est

91.4

76.2

60.7

Centro

99.8

78.3

68.5

Mezzogiorno

89.2

74.3

58.0

Italia

91.7

74.7

59.6

Fonte: ISTAT

Il successo nel conseguimento del titolo medio superiore si ha in 3 casi su 4 (74,7%), dato che però andrebbe depurato dalle componenti dei ripetenti e dei trasferiti da una scuola ad un’altra. In effetti, rapportando i maturi a 19 anni sulla popolazione studentesca appartenente alla stessa età il risultato si ridimensiona sensibilmente e la percentuale scende al 59,6%.

Il tasso di scolarità passa dal 75,3% al 77,6% e il tasso di diploma mostra un aumento più sensibile passando dal 60,3% al 65,3%.

Se si osserva l’andamento delle iscrizioni per tipo di istituto emerge che per gli istituti tecnici o che comunque forniscono una formazione specifica si assiste ad un decremento (-5,3% nel 94-95 rispetto all’anno scolastico precedente; -2,7% nel 95-96). Vengono preferiti, al contrario, i licei e le scuole e Istituti Magistrali.

Studenti iscritti* al primo anno della scuola secondaria superiore per tipo di scuola
 

 

1993-94

1994-95

1995-96

Istituti professionali

130.874

126.458

123.113

Istituti tecnici in complesso

236.481

223.855

217.903

Scuole e istituti magistrali

51.749

48.893

52.470

Licei scientifici (*)

107.093

107617

105.919

Licei ginnasi

50.094

50.326

50.666

Istituti d’arte e licei artistici

23.526

23.212

22.300

Totale

599.817

580.361

572.371

* al netto dei ripetenti.

Fonte: ISTAT

Un ulteriore indicatore della resa del sistema dell’istruzione è rappresentato dai risultati in termini di rendimento ottenuti dagli studenti delle ultime classi delle scuole secondarie statali inferiori e superiori.

Nell’anno scolastico1995-96 circa la metà degli studenti medi inferiori (46,6%) è stata licenziata con il giudizio più basso "sufficiente" e soltanto il 15,4% con "ottimo". Per quelli delle scuole secondarie superiori questo risultato è meno marcato ma sempre preoccupante; infatti, tra gli stud enti "interni" solo il 16,3% ha riportato una votazione elevata, cioè compresa tra 54 e 60 sessantesimi; il 33,7%, il gruppo più corposo, ha conseguito il diploma con votazione compresa tra 36 e 41 sessantesimi. Bisogna comunque considerare che tali dati riassumono un panorama variegato rispetto alla tipologia di corso di studio (i risultati migliori si hanno, infatti, nei licei e quelli meno brillanti spettano agli istituti professionali).

L’analisi dei rendimenti scolastici degli studenti interni rispetto alla ripartizione geografica non mostra disparità particolarmente rilevanti ma offre interessanti spunti per la definizione di chiavi di lettura di natura territoriale. In particolare, al Sud si rileva una migliore performance qualitativa nei risultati degli studenti medi che nel 18,1% dei casi hanno conseguito la licenza con un giudizio "ottimo". Questo dato sembra in apparenza confliggere con la visione generale di minore efficacia del sistema formativo meridionale; in realtà è più probabile che sia il risultato di una selezione naturale più intensa che connota questo sistema rispetto agli altri e che porta all’emersione, per chi riesce a conseguire un titolo, da una lato dei soggetti maggiormente motivati e con elevato grado di preparazione e, dall’altro, di coloro (la maggioranza) che riescono in vario modo a portare a compimento il corso di studi con un livello solo sufficiente di preparazione.

Al fenomeno della dissipazione va ricondotto quello, emblematico in Italia, della dispersione scolastica.

Le principali patologie, causa della dispersione del sistema scolastico, sono, notoriamente, di due tipi: una risale all’incapacità dei percorsi formativi di incidere sulla riduzione delle differenze sociali di partenza degli studenti; l’altra, alla sempre minore attrattività che il conseguimento dell’istruzione secondaria riveste per molti giovani rispetto all’immediata possibilità di inserimento nel mercato del lavoro.

La prima patologia, da sempre presente, interessa in modo particolare le regioni del Mezzogiorno e influenza in modo netto andamenti ed esiti conseguiti dai soggetti che si inseriscono nel sistema scolastico.

La seconda, va intensificandosi in quelle aree del paese dove sono presenti condizioni occupazionali particolarmente favorevoli a svantaggio dei fabbisogni di formazione e cultura. E’ poi evidente che pesa su questa seconda patologia la considerazione di una sempre minore e profittevole spendibilità degli elevati titoli di studio in termini di crescita professionale.

I dati, infatti, mostrano che nel 1996 rispetto all’anno precedente si verifica una riduzione degli alunni pari al 2% alla quale si associa un calo delle iscrizioni al 1° anno pari al 4,1%.

Il corso di studi superiore è quello in cui si verifica in maniera più netta la selezione ( nel 1995-96 il ben 18% degli scrutinati iscritti al primo anno sono stati respinti). In corrispondenza di questa fase del ciclo di studi emerge dunque in maniera evidente l’effettivo grado di preparazione conseguito e la reale capacità della scuola dell’obbligo di formare gli alunni a livelli soddisfacenti.

I percorsi successivi, seguiti dai respinti al primo anno, sono molteplici e dipendono in larga misura dall’influenza di variabili di contesto sociali, culturali e economiche.

Pertanto, si può verificare l’abbandono definitivo degli studi finalizzato alla ricerca di un lavoro, il passaggio ad un altro istituto (es. in un sistema educativo alternativo quale quello privato di recupero) o corso di studi, la ripetizione dell’anno presso lo stesso istituto scolastico, ecc.

Se si esaminano le percentuali di coloro che respinti decidono di ripetere l’anno (e quindi di non abbandonare gli studi) si riscontrano differenze anche significative secondo il tipo di scuola e rispetto all’anno di corso frequentato.

Nel caso della ripetenza si osserva una percentuale che oscilla dal 64,7% per i licei al 71,8% per gli Istituti tecnici, da confrontare con un valore medio del 69,9%.

Rispetto all’anno di corso, si registra complessivamente una tendenza all’aumento della ripetizione dell’anno con l’avvicinarsi dell’anno di conseguimento della maturità, per cui si passa dal 57,4% di ripetenti nel caso di bocciatura al primo anno, al 74,2% nel quarto anno (va però considerato che questo dato risente anche del peso della quota totale dei respinti).

L’esame del fenomeno della selezione scolastica a livello di ripartizione territoriale, considerando i ripetenti per 100 iscritti (periodo 1995-96), le interruzioni di frequenza (1994-95), e le persone senza licenza media appartenenti alle classi di età 15-19 e 20-24 anni (1995) delinea il seguente quadro.

Nel caso dei primi due indicatori si riscontra una variabilità territoriale minima, anche se relativamente alle interruzioni di frequenza la situazione del Nord-est è migliore delle altre ripartizioni geografiche ( Nord-est 5,1 Nord-ovest e Centro 7,4%, Mezzogiorno 6,5%).

Alcuni indicatori della selezione scolastica per ripartizione geografica
 

 

Ripetenti per 100 iscritti scuole superiori 1995-96

Interruzioni di frequenza nelle scuole superiori su 100 iscritti 1994-95

15-19enni senza licenza media nel 1995 (%)

20-24enni senza licenza media nel 1995 (%)

Nord-ovest

6.2

7.4

3.8

2.2

Nord-est

6.0

5.1

3.8

2.2

Centro

7.1

7.4

3.8

2.4

Mezzogiorno

7.7

6.5

5.9

6.4

Italia

7.3

6.6

4.7

3.8

Fonte: ISTAT

La percentuale di soggetti senza licenza media appartenenti alle classi di età 15-19 anni e 20-24 anni è invece nettamente squilibrata dal punto di vista ripartizionale: il Centro-nord si colloca su livelli simili e decrescenti all’aumentare dell’età (4% circa nel caso della fascia di età 15-19 anni e 2,3% circa in quella 20-24 anni). Il Mezzogiorno presenta invece un dato decisamente superiore (il 5,9% tra i 15 e19 anni e il 6,4% nella classe 20-24 anni) rispetto agli altri contesti e differenziato per le due classi di età considerate, con una netta prevalenza di soggetti privi di licenza media tra i 20 e i 24 anni. L’indicazione riportata per il Sud, pur denotando un complessivo particolare stato di gravità, mostra tuttavia segnali positivi in termini di riduzione del divario rispetto alle altre ripartizioni nel caso dei giovani (15-19enni) senza licenza media che si attestano al 5,9% contro una media nazionale del 4,7%.

In sostanza, in relazione alle connotazioni attuali del mercato del lavoro e anche per effetto del calo demografico, si conferma il progressivo innalzamento dei livelli di scolarizzazione dei giovani, in particolare nell’area meridionale dove al contempo, però, si va rafforzando la funzione " di parcheggio" da sempre svolta dal mondo scolastico.

L’istruzione universitaria

Il quadro relativo all’istruzione universitaria mostra di anno in anno un progressivo aumento degli iscritti, anche se tale dato risente in modo sensibile dell’incremento del numero degli studenti "fuori corso".

Gli "ingressi" nel periodo 1995-96 gli immatricolati sono stati complessivamente 335.348 per una percentuale pari al 68,4% degli studenti risultati maturi nell’anno scolastico precedente. Per quanto riguarda la provenienza di questi soggetti, il maggiore apporto è dato dai licei (le percentuali superano il 100%) seguiti, con scarti significativi, dagli Istituti magistrali (59,9%). Per gli Istituti tecnici (49,6%) e gli Istituti professionali (27,0%), le percentuali risultano sensibilmente più basse ma acquistano significati piuttosto importanti se considerati alla luce della relativa completezza del profilo tecnico e professionale costruito da questo percorso di studi.

In merito alla provenienza geografica i dati indicano una partecipazione massiccia dei residenti nelle aree del Mezzogiorno, i quali rappresentano il 35,7% del totale complessivo degli immatricolati.

Immatricolati all’Università nel periodo 1995-96
 

     

Nord ovest

Nord est

Centro

Mezzogiorno

70.541

60.600

84.668

119..539

21,0

18,1

25,2

35,7

65,0

74,3

84,5

59,7

ITALIA

335.348

100,0

68,4

Fonte: Istat

La percentuale più bassa di immatricolati all’Università riguarda il Nord-est con 60.600 soggetti, per una percentuale sul totale pari al 18,1%.

Nonostante il "contingente" del Sud sia il più corposo, gli immatricolati nell’anno 1995-96 appartenenti a questa ripartizione costituiscono solo il 59,7% dei maturi dell’anno scolastico precedente, contro l’84,5% degli appartenenti al Centro e al 74,3% di quelli appartenenti al Nord est. Nel caso del Nord-ovest gli immatricolati sono stati pari al 65,0% dei maturi.

In termini di performances di successo, appare piuttosto emblematico il dato relativo alla percentuale di soggetti che nell’ambito di sei anni di corso sono riusciti a conseguire il titolo universitario.

Laureati 1995-96 per 100 iscritti al primo anno di corso sei anni prima per sesso *
 

 

Maschi

Femmine

Totale

Nord ovest

Nord est

Centro

Mezzogiorno

40,0

37,4

29,9

28,0

41,9

45,1

33,4

35,9

40,9

41,1

31,7

31,9

ITALIA

33,1

38,2

35,6

* Il dato sui laureati si riferisce all’anno solare iniziale dell’anno accademico

Fonte: ISTAT

Si osserva che soltanto il 35,6% degli iscritti riesce a conseguire il titolo nel periodo considerato. Se si procede con la scomposizione del dato aggregato emerge come nel Mezzogiorno si ripresentino condizioni meno positive rispetto agli altri contesti territoriali; infatti la percentuale di laureati entro sei anni dall’immatricolazione scende al 31,9%, un valore molto vicino a quello registrato per il Centro, ma decisamente inferiore a quelli individuati per il Nord- est (41,1%) ed il Nord -ovest (40,9%).

In generale sono le donne a conseguire i risultati migliori dal punto di vista quantitativo; esito, questo, piuttosto marcato nel caso del Sud (35,9% donne contro 28,0% uomini).

Accanto agli andamenti descritti permane un tasso di produttività del sistema universitario che si presenta ancora a livelli bassi, indicativo della presenza di numerosi elementi che frenano il conseguimento del titolo.

Piuttosto significativo è il rapporto tra laureati e immatricolati 5 anni prima che, pur migliorando nel tempo, è attualmente pari al 33,2%. Inoltre la quota di laureati "fuori corso" sul totale laureati è nel 1994 dell’85%. I due dati mostrano da un lato, come il fenomeno dell’abbandono di questo tipo di studi riguardi una componente numericamente elevata di soggetti, e, dall’altro, una generale difficoltà di portarli a compimento nei tempi previsti.

In particolare, l’analisi degli abbandoni registrati nell’anno accademico 1995-96 danno una misura dell’intensità con cui si manifesta la dispersione a livello universitario e di come, sempre a causa della forte autoreferenzialità tra cicli di istruzione, si attui anche nel caso dei corsi di laurea un ulteriore autonomo processo di selezione.

Abbandoni al 1° e 2° anno di corso degli iscritti all’Università nel periodo 1995-96
 

 

Abbandoni al 1° anno (%)*

Abbandoni al 2° anno (%)**

Nord ovest

Nord est

Centro

Mezzogiorno

23,5

22,6

27,5

25,6

15,0

9,4

15,6

12,1

ITALIA

25,1

13,2

* Non iscritti al 2° anno per 100 iscritti al 1° anno nell’anno accademico precedente

** Non iscritti al 3° anno per 100 iscritti al 2° anno nell’anno accademico precedente

Fonte: ISTAT

Nel periodo considerato gli abbandoni registrati complessivamente al 1° anno di corso sono stati pari al 25,1% ( quindi su 4 immatricolati soltanto 3 hanno deciso di proseguire il ciclo di studi); nel caso del 2° anno la percentuale si è attestata al 13,2%, manifestando una riduzione considerevole. Il processo di selezione e la fuoriuscita dei soggetti dal percorso universitario, tende dunque ad attenuarsi, anche fortemente, con l’aumentare degli anni di corso, ma viene sostituito da altri fenomeni, a valenza negativa, come il già accennato aumento vertiginoso dei percorsi irregolari rispetto alla durata prevista del singolo corso di laurea (la percentuale di laureati fuori corso nel 1995-96 si è collocata al 92,8%).

2.2. I principali indicatori del mercato del lavoro

Il quadro emergente dall’analisi dei dati più recenti mostra come le forze di lavoro, in valore assoluto, crescono negli anni 1994-1995-1996 in tutto il territorio nazionale anche se con intensità minima. Le relative percentuali sul totale della popolazione mostrano invece per il Mezzogiorno una riduzione delle stesse nel corso dei tre anni esaminati; nelle altre ripartizioni territoriali anche l’andamento percentuale è crescente. Sempre a livello percentuale, il dato complessivo Italia si rivela costante nel 1994 e nel 1995 (40,1%), mentre accenna ad una seppure lieve crescita nel 1996 (40,3%).

Forze di lavoro e non forze di lavoro. 1994-1995-1996
 

1994

1995

1996

 

Nord

FORZE DI LAVORO

11.025

11.040

11.121

- occupati

10.274

10.294

10.386

- persone in cerca di occupazione

751

746

735

NON FORZE DI LAVORO

14.116

14.108

14.051

TOTALE

25.141

25.148

25.172

 

Centro

FORZE DI LAVORO

4.447

4.482

4.509

- occupati

4.022

4.020

4.045

- persone in cerca di occupazione

425

462

464

NON FORZE DI LAVORO

6.404

6.375

6.377

TOTALE

10.851

10.857

10.886

 

Mezzogiorno

FORZE DI LAVORO

7.209

7.213

7.221

- occupati

5.825

5.696

5.657

- persone in cerca di occupazione

1.384

1.517

1.564

NON FORZE DI LAVORO

13.339

13.422

13.467

TOTALE

20.548

20.635

20.688

 

Italia

FORZE DI LAVORO

22.681

22.735

22.851

- occupati

20.121

20.010

20.088

- persone in cerca di occupazione

2.560

2.725

2.763

NON FORZE DI LAVORO

33.859

33.905

33.895

TOTALE

56.540

56.640

56.746

Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT

Il principale apporto alla crescita delle forze di lavoro nel periodo 1995-1995 è fornito: nel caso del Nord dall’aumento degli occupati, che passano da 10.294 migliaia di unità a 10.386 (le persone in cerca di occupazione decrescono di 11.000 unità); nel Centro dall’incremento degli occupati da 4.020 migliaia di unità a 4.045 migliaia (in questo caso però crescono anche dalle persone in cerca di occupazione per complessive 2 migliaia di unità); infine, nel Mezzogiorno, si assiste ad un decremento degli occupati (da 5.696 a 5.657 migliaia) accompagnato da una crescita delle persone in cerca di occupazione (+ 43.000 unità). In Italia, in complesso gli occupati mostrano una crescita numerica nel 1996 rispetto al 1995 di 78.000 unità circa.

La spiegazione alla base della crescita riscontrata nel 1996, a fronte di un sensibile rallentamento delle attività produttive, va ricondotta a due distinti fenomeni: il ritardo (sfasamento) della domanda di lavoro rispetto all’andamento ciclico dell’economia, in particolare nel settore manifatturiero; una nuova fase di sviluppo dei servizi destinabili alla vendita, successiva ad una fase di ristrutturazione avvenuta negli anni precedenti.

Per quanto riguarda le non forze di lavoro, si verifica, in percentuale sulla popolazione, una situazione di stazionarietà nel 1994 e nel 1995 (59,9%) e una lieve diminuzione nel 1996 (59,7%). Rispetto alla ripartizione geografica, solo il Mezzogiorno mostra una crescita del peso percentuale delle non forze di lavoro nel 1996 rispetto all’anno precedente.

A livello nazionale il tasso di disoccupazione aumenta nel triennio considerato, anche se in percentuale minima tra il 1995 e il 1996, come risultato della crescita riscontrata nel Mezzogiorno dove la percentuale dei disoccupati passa dal 19,2 del 1994 al 21,7% del 1996. Particolarmente allarmanti si mostrano i livelli di disoccupazione giovanile che risultano in crescita in tutte le ripartizioni geografiche con punte drammatiche nel Mezzogiorno.

L’andamento del tasso di attività ricalca tendenzialmente quello di disoccupazione, mostrando quindi, anche in questo caso i valori più negativi nelle aree del Sud.

Il Mezzogiorno presenta anche la percentuale più alta di soggetti disoccupati disposti a svolgere un lavoro a qualsiasi condizione (51,1%), contro percentuali decisamente inferiori registrate per le altre ripartizioni.
 

Principali tassi riscontrati nel mercato del lavoro
 

 

1994

1995

1996

 

Italia

Tasso di disoccupazione in complesso

11,3

12,0

12,1

Tasso di disoccupazione 15-24 anni

32,4

33,9

 

Tasso di attività

40,1

40,1

40,3

 

Centro-nord

Tasso di disoccupazione in complesso

7,6

7,8

7,7

Tasso di disoccupazione 15-24 anni

23,0

23,2

 

Tasso di attività

43,0

43,1

49,8

 

Mezzogriono

Tasso di disoccupazione in complesso

19,2

21,0

21,7

Tasso di disoccupazione 15-24 anni

51,3

55,4

 

Tasso di attività

35,1

35,0

34,9

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Disponibilità lavorative dei disoccupati (%)
 

 

a qualunque condizione

a condizioni lavorative adeguate

Nord-ovest

37,3

62,7

Nord-est

23,8

76,2

Centro

38,6

61,4

Mezzogiorno

51,1

48,9

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Concentrando l’attenzione sul Mezzogiorno, nuovamente i dati riportano la gravità della situazione del mercato del lavoro locale, incapace di assorbire risorse umane, nonostante l’inversione di tendenza rispetto al periodo precedente e la crescita registrata da parte dell’economia del Paese. Le cause del fenomeno vanno rintracciate, come noto, nella morfologia del tessuto produttivo del Sud, dove la diffusione di imprese manifatturiere è inferiore rispetto ad altre aree e dove il settore agricolo continua e mostrare difficoltà di ripresa e rivitalizzazione. Inoltre, non bisogna dimenticare l’incidenza che sul dato possono avere fenomeni quali il lavoro sommerso che assume particolare rilevanza al Sud e ben si associa all’elevata disponibilità a lavorare a qualsiasi condizione.

2.3. La resa del titolo di studio

Relazioni tra titoli di studio conseguiti e mercato del lavoro

Indicazioni mirate emergono dall’analisi del tasso di disoccupazione per ripartizione territoriale, titolo di studio e classe di età dove, a partire dai dati percentuali, si può definire un’incidenza della disoccupazione estremamente differenziata.

In generale, l’evidenza più preoccupante riguarda l’elevato tasso di disoccupazione per i possessori di laurea appartenenti alla classe di età 25-34 anni e, sempre per la stessa classe, per coloro che non hanno titolo della scuola dell’obbligo. Se si esamina l’altra classe di età, quella dei 35-64 anni, il tasso di disoccupazione si riduce invece notevolmente in tutte le ripartizioni geografiche e in corrispondenza di tutti i titoli di studio (anche se emerge un’accentuazione del dato fra i titoli di studio più bassi e tra i senza titolo di studio).

Il Mezzogiorno, nuovamente, ripropone valori estremamente superiori a quelli registrati altrove, anche se nella classe più giovane la gravità maggiore sembra caratterizzare prima di tutti coloro che non possiedono titoli dell’obbligo seguiti da coloro che hanno conseguito una qualifica professionale. I laureati si collocano al terzo posto di una classifica dello "svantaggio" che colpisce in modo drammatico tutta la popolazione attiva del Sud.

Tassi di disoccupazione per titolo di studio, sesso e classe di età
 

 

Classi di età

 

25-34

35-64

25-64

 

Nord ovest

Laurea

12,8

1,2

5,1

Diploma

6,3

2,3

4,0

Qualifica professionale

6,7

4,2

5,1

Licenza media

7,3

4,0

5,4

Senza titolo della scuola dell’obbligo

15,4

4,6

5,3

TOTALE

7,7

3,4

4,9

 

Nord est

Laurea

14,8

1,5

5,9

Diploma

5,7

2,1

3,8

Qualifica professionale

4,5

2,9

3,7

Licenza media

4,8

3,4

4,0

Senza titolo della scuola dell’obbligo

10,5

3,8

4,0

TOTALE

6,1

3,0

4,1

 

Centro

Laurea

20,1

2,2

6,9

Diploma

13,8

3,0

7,5

Qualifica professionale

16,3

5,2

9,3

Licenza media

11,7

5,1

7,7

Senza titolo della scuola dell’obbligo

17,5

5,1

5,7

TOTALE

13,9

4,1

7,3

 

Mezzogiorno

Laurea

30,8

2,9

10,8

Diploma

28,6

5,7

15,3

Qualifica professionale

32,0

79,8

19,2

Licenza media

25,8

10,9

17,5

Senza titolo della scuola dell’obbligo

34,7

14,7

17,4

TOTALE

28,2

9,6

16,2

 

Italia

Laurea

20,1

2,0

7,5

Diploma

14,5

3,5

8,3

Qualifica professionale

11,5

4,9

7,9

Licenza media

13,7

6,3

9,4

Senza titolo della scuola dell’obbligo

25,8

8,0

9,5

TOTALE

15,0

5,4

8,8

Fonte: ISTAT

La scarsità di posti di lavoro colpisce in modo particolare i soggetti appartenenti alla classe 25-34 anni il cui tasso di disoccupazione è pari al 15,0%, decisamente superiore a quello dell’altra classe di età analizzata.

Questo fenomeno si registra su tutto il territorio nazionale anche se con pesi diversi nelle varie ripartizioni, con un’incidenza maggiore nel Mezzogiorno (28,2%) e minima nel Nord (7,0%). Oltre alla carenza di domanda di laureati e diplomati proveniente dal settore industriale (settore non solo a più alta concentrazione di addetti ma dove prevalgono figure professionali di tipo tecnico) questo risultato va anche ricondotto alla richiesta da parte delle imprese di personale in possesso di esperienze professionali precedenti. Fattore, questo, che penalizza ulteriormente i laureati in relazione alla maggiore durata degli studi e al minor tempo dedicato allo svolgimento di attività lavorative.

Se nel Mezzogiorno il problema è di una generale carenza di domanda di lavoro che interessa tutti i titoli di studio, le caratteristiche della domanda di lavoro a cui si è accennato chiariscono invece il più elevato tasso di disoccupazione fra i laureati del Nord, dove il tessuto economico è costituito prevalentemente da piccole e medie imprese che esprimono una domanda di lavoro prevalentemente di tipo tecnico.

Altre indicazioni sul rendimento dell’istruzione sul mercato del lavoro italiano possono derivare dall’analisi dei dati sul tasso di attività dei giovani fra i 25 e i 34 anni, per ripartizione geografica e per titolo di studio, confrontati con quelli relativi all’intera popolazione compresa tra i 25 e i 64.

La relazione tra tasso di attività e titolo di studio risulta tendenzialmente crescente, poiché, come è facile immaginare, quanto maggiore è stato l’investimento in formazione tanto maggiore risulta la propensione ad entrare sul mercato del lavoro; questa affermazione vale ancora di più per le aree in cui si registrano maggiori problemi nel trovare opportunità di lavoro. Ad esempio il differenziale tra tasso di attività per i laureati e tasso di attività totale è maggiore nel Mezzogiorno rispetto al Nord. Per quanto riguarda la popolazione giovanile, nel Mezzogiorno la differenza tra il tasso di attività dei laureati (pari al 77,6%) e quello totale (pari al 61,8%) ammonta al 16%, mentre al Nord complessivamente questa differenza si riduce a circa il 5%.

Un altro dato interessante riguarda il tasso di attività dei possessori di qualifiche professionali che, nelle aree territoriali maggiormente industrializzate (Nord-Est) è superiore anche a quello dei laureati, confermando la prevalenza di una domanda di lavoro prevalentemente volta a figure tecniche immediatamente spendibili nel contesto aziendale.

Rispetto alla classe di età 25-64, i tassi di attività dei giovani sono superiori generalmente per i titoli di studio inferiori al diploma, anche se questo fenomeno non risulta verificarsi omogeneamente in tutte le aree geografiche. Nel Nord infatti il tasso di attività dei giovani risulta sempre superiore per tutti i titoli di studio, mentre nel Centro la maggiore partecipazione dei giovani si ha per i titoli di studio più bassi.

Tassi di attività per titolo di studio, sesso e classe di età
 

Classi di età

 

25-34

35-64

25-64

 

Nord ovest

Laurea

89,8

88,5

88,9

Diploma

82,4

78,2

80,0

Qualifica professionale

88,9

67,7

76,2

Licenza media

82,9

62,7

69,5

Senza titolo della scuola dell’obbligo

59,8

36,6

37,4

TOTALE

83,1

58,1

65,0

 

Nord est

Laurea

87,7

87,8

87,8

Diploma

82,2

81,7

81,9

Qualifica professionale

90,1

72,5

80,0

Licenza media

84,4

66,4

73,1

Senza titolo della scuola dell’obbligo

63,3

39,7

40,5

TOTALE

84,0

60,0

67,0

 

Centro

Laurea

82,2

89,2

87,4

Diploma

74,2

79,4

77,1

Qualifica professionale

81,4

72,2

75,3

Licenza media

75,1

63,4

67,6

Senza titolo della scuola dell’obbligo

50,6

39,9

40,4

TOTALE

74,7

61,2

65,1

 

Mezzogiorno

Laurea

77,6

89,8

86,0

Diploma

63,2

77,7

70,9

Qualifica professionale

68,3

70,6

69,8

Licenza media

61,4

59,6

60,4

Senza titolo della scuola dell’obbligo

46,1

36,5

37,5

TOTALE

61,8

55,8

57,8

 

Italia

Laurea

83,9

88,9

87,4

Diploma

73,8

78,9

76,6

Qualifica professionale

83,9

70,5

76,1

Licenza media

73,3

62,5

66,6

Senza titolo della scuola dell’obbligo

50,3

37,8

38,6

TOTALE

73,7

58,3

62,9

Fonte: ISTAT

L’inserimento professionale dei laureati

L’indagine condotta dall’ISTAT nel 1995 sull’inserimento professionale degli 88.000 laureati nel 1992 fa emergere che nel 1995 solo il 33,6 ha trovato un’occupazione, il 33,2% non svolge alcuna occupazione, il 22,9% è alla ricerca di un lavoro e, infine, il 10,3% non è attivamente alla ricerca di un lavoro (i motivi principali sono riconducibili a proseguimento degli studi, altre attività di formazione, problemi personali o familiari, ecc.).

Se si analizza il gruppo di laureati che ha effettivamente trovato un’occupazione, che è pari a 29.568 unità, si delineano esiti occupazionali che li vedono per lo più in condizioni di stabilità, ma accompagnati da significative percentuali di precariato e, per una minima parte, da una percentuale di soggetti che ha mantenuto l’occupazione che svolgeva prima del conseguimento della laurea.

Lo studio dei dati secondo la ripartizione territoriale (residenza del laureato) indica un sensibile scarto della condizione occupazionale dei laureati tra il Nord e il Mezzogiorno: nel primo caso, la maggiore capacità di assorbimento che dimostra il mercato del lavoro riduce la percentuale di quelli che cercano lavoro a poco più del 10% contro una percentuale che supera il 50% di coloro che lavorano stabilmente; nel Mezzogiorno le due componenti si ribaltano anche se assumono valori prossimi tra loro (in questo caso coloro che lavorano stabilmente sono meno del 30%, mentre coloro che cercano lavoro si attestano al 40% circa).

2.4. La domanda di lavoro

Da una recente indagine Unioncamere sulla domanda di lavoro delle imprese italiane (dall’indagine sono esclusi il settore agricolo, la pubblica amministrazione e i servizi di pubblica utilità) emergono informazioni interessanti ai fini dell’analisi dei divari esistenti tra offerta e domanda di risorse umane qualificate. In particolare, emerge con chiarezza il permanere di una contraddizione tra la richiesta, espressa anche da parte del mondo imprenditoriale, di elevare i livelli di istruzione della forza lavoro e una domanda di lavoro concentrata prevalentemente su qualifiche medio-basse.

Su un totale di 518mila posti di lavoro, previsti per il biennio 1997-98 dalle circa 90.000 imprese intervistate, la percentuale di richieste di lavoro per le quali è necessario possedere un diploma di scuola secondaria è pari al 31,3% mentre, è ancora meno rilevante la domanda di laureati, pari, infatti, al solo il 7,7% delle previsioni di assunzione. Per il 30,6% delle potenziali nuove occasioni di lavoro è richiesto soltanto il titolo dell’obbligo mentre addirittura per ben il 13,7% il titolo di studio non ha alcuna importanza. Tale fenomeno si presenta comunque in modo non omogeneo, sia rispetto alle diverse aree geografiche del paese sia rispetto alle differenze settoriali e alla dimensione delle imprese.
 

Ripartizioni geografiche

Assunzioni previste

Livello di istruzione

(valore %)

 

(valore assoluto)

Laurea

Diploma

Qualifica

Licenza media

Non rilevante

Totale

Nord-ovest

166.773

10,7

33,8

16,6

24,7

14,3

100,0

Nord-est

150.360

5,9

30,7

19,8

26,8

16,8

100,0

Centro

91.863

9,2

31,3

13,7

32,1

13,7

100,0

Mezzogiorno

109.538

4,4

28,5

15,1

43,3

8,6

100,0

Totale

518.534

7,7

31,3

16,7

30,6

13,7

100,0

Fonte: UNIONCAMERE. Sistema informativo Excelsior, 1997

Anzitutto sono le diverse caratteristiche del modello di sviluppo territoriale, in termini di specializzazioni settoriali e di cultura e dimensione d’impresa, che determinano una diversa conformazione della domanda futura di lavoro. Al Nord-Ovest e nel Centro la percentuale delle assunzioni previste per cui è richiesto un diploma di laurea è pari rispettivamente al 10,7% e al 9,2% contro il 4,4% del Mezzogiorno. Lo stesso risultato vale per il diploma (33,8% nel Nord-Ovest contro 28,5% nel Mezzogiorno). Per quanto riguarda la licenza media, nelle regioni del Nord su un totale di 320.000 assunzioni previste per il 25,7% viene richiesto questo titolo di studio, mentre nel Mezzogiorno su 110.000 assunzioni previste, la percentuale di lavoratori con solo titolo dell’obbligo è pari al 43,3%.

Differenze si registrano, inoltre, anche tra imprese che svolgono attività manifatturiere o attività di servizio e tra imprese di piccola dimensione e imprese di più grande dimensione.

Il livello di istruzione richiesto per lavorare nel settore dei servizi risulta nettamente superiore a quello richiesto dall’industria dove la richiesta di laureati, nel biennio 1997-98, sarà probabilmente pari al 5,8% del fabbisogno totale contro il 10% dei servizi. Lo stesso discorso vale per il diploma con un 38,6% di nuove richieste nel settore dei servizi e con il 25,3% nel settore industriale.

Se si osserva invece il rapporto tra dimensione di impresa e livello di istruzione richiesto, notiamo che (come è facile prevedere) la percentuale di laureati cresce al crescere della dimensione delle aziende che hanno risposto al questionario, così come la percentuale di lavoratori con la sola licenza media diminuisce all’aumentare del numero di dipendenti dell’impresa.
 

 

Assunzioni previste 

Livello di istruzione 

(valore %)

 

(valore assoluto)

Laurea

Diploma

Qualifica

Licenza media

Non rilevante

Totale

Settori

 

 

 

 

 

 

 

Industria

281.607

5,8

25,3

19,5

38,3

11,2

100,0

Servizi

236.927

10,0

38,6

13,4

21,4

16,7

100,0

Classi dimensionali

 

 

 

 

 

 

 

1-9

211.748

2,8

29,4

18,1

44,5

5,2

100,0

10-49

106.176

6,6

28,0

18,0

38,9

8,5

100,0

50-199

81.459

11,2

32,5

15,2

12,2

28,9

100,0

< 200 

119.151

15,0

37,0

14,0

10,9

23,1

100,0

Fonte: UNIONCAMERE. Sistema informativo Excelsior, 1997

Complessivamente, per quanto riguarda il totale delle assunzioni previste più del 60% di queste riguardano le regioni del Nord mentre soltanto il 21,1% interessa il Mezzogiorno.

È interessante inoltre notare che, sempre a livello totale, il 44,5% dei laureati richiesti dal mercato dovrebbero essere potenzialmente assorbiti soltanto dalla imprese del Nord-Ovest, con una netta differenza rispetto al Nord-Est (a conferma dell’esistenza di strutture produttive e modelli organizzativi diversi tra le due aree) mentre solo il 12% troveranno una collocazione nelle imprese meridionali.

Un ulteriore livello di analisi fa riferimento alla spendibilità dei diversi titoli di studio per tipologia di specializzazione.

 
 

Tipo di diploma

Assunzioni previste (%)

Richiesta conoscenza Lingue (%)

Richiesta conoscenza
Informatica (%)

Diploma agro-alimentare

2,1

21,5

25,6

Diploma tecnico-industriale

27,6

55,8

74,7

Diploma amministrativo-aziendale

25,8

63,4

87,9

Altri diplomi tecnici

4,8

41,8

49,5

Licei (artistici-scientifici-classici-linguistici)

0,7

67,5

72,4

Diploma non specificato

39,0

58,6

67,3

Totale

 

57,6

73,0

Fonte: UNIONCAMERE. Sistema informativo Excelsior, 1997

Se osserviamo il rapporto tra diplomi di scuola media superiore e assunzioni previste, la specializzazione maggiormente indicata dalle aziende intervistate risulta essere, tra quelli specificati, il diploma tecnico-industriale (27,6%) e il diploma amministrativo-aziendale (25,8%) con prevalenza delle figure più tradizionali come quelle del perito meccanico e del ragioniere. Va comunque rilevato che competenze informatiche sono complessivamente molto richieste dalle imprese per tutte le specializzazioni (73%).

La conoscenza delle lingue è un requisito richiesto per il 57% delle nuove assunzioni previste per il biennio, con livelli di richiesta più alti per i diplomi a carattere gestionale e per i diplomati nei licei.
 

Tipo di diploma

Assunzioni previste (%)

Richiesta ulteriore formazione (%)

Senza esperienza (%)

Lauree agro-alimentari

1,28

60,5

4,8

Lauree ingegneristiche

28,66

88,0

33,8

Lauree economico-giuridico-sociali

45,78

91,6

51,1

Lauree scientifiche

16,78

86,2

44,2

Lauree linguistico-letterarie

2,10

84,1

29,8

Lauree non specificate

5,41

50,7

22,9

Totale

 

60,5

42,4

Fonte: UNIONCAMERE. Sistema informativo Excelsior, 1997

Accanto al dato già negativo della scarsa domanda di laureati, si registra un ulteriore dato penalizzante le specializzazioni più alte relativo alla limitata domanda di ingegneri (28,6%) e di laureati in materie scientifiche (16,7%). Il limitato fabbisogno di risorse umane qualificate va interpretato, oltre che in funzione della struttura dimensionale dell’industria manifatturiera italiana, in relazione al grado di innovazione delle imprese italiane caratterizzato in generale da scarsa presenza di una vera e propria funzione strutturata di ricerca e sviluppo, anche nelle grandi imprese.

È interessante infine notare che per il 60,5% di questi nuovi potenziali occupati viene richiesta una ulteriore formazione e soltanto per il 42,4% non viene richiesta una precedente esperienza lavorativa. Ma le imprese continuano, come indica l’indagine, ad affidarsi prevalentemente alla formazione svolta al loro interno, per soddisfare precisi fabbisogni aziendali, piuttosto che al sistema scolastico e formativo a loro esterno.

GLI OBIETTIVI DEL P.O.

1. Il sistema di obiettivi del P.O.

Le linee strategiche che guidano la programmazione comunitaria per il sessennio 1994/1999, in particolare per le aree del Mezzogiorno, definiscono il primo livello di obiettivi assegnati al P.O. del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel QCS dell’Obiettivo 1 le grandi finalità di mantenimento e allargamento della base occupazionale e di una formazione per lo sviluppo vengono infatti associate a specifiche direttrici di intervento, tra le quali assume particolare rilievo il rafforzamento della formazione iniziale (sub asse 7.1) assegnato, come noto, all’azione multiregionale dei due programmi operativi a titolarità del MPI (qualificazione dell’offerta formativa post - obbligo) e del MURST (qualificazione dell’offerta formativa post-diploma e di eccellenza).

In particolare nel caso del P.O. "Un impegno per la qualità" l’azione congiunta dei fondi strutturali è mirata:

All’interno di queste finalità generali acquista un valore prioritario l’obiettivo di costruire un sistema integrato di offerta formativa sul territorio da perseguire nel P.O. mediante la riforma dei curricola degli Istituti Professionali e la collaborazione tra istruzione statale e formazione professionale regionale.

Come si è visto, tali obiettivi risultano ulteriormente rafforzati dall’evoluzione delle politiche nazionali a seguito dell’Accordo per il lavoro del settembre 1996 e dai processi di riforma del sistema dell’istruzione in via di definizione nel contesto nazionale.

Gli obiettivi generali del Programma operativo a titolarità del Ministero della Pubblica Istruzione si possono dunque riferire alle nuove politiche dell’istruzione e della formazione che prevedono:

Da questi due macro obiettivi, tra loro intimamente connessi, discendono alcuni obiettivi specifici del P.O., ritenuti strategici per l’impatto atteso in termini di rafforzamento del sistema della formazione iniziale e anch’essi soggetti ad una evoluzione nel corso dei primi anni di attuazione del P.O. In particolare, l’esplicitazione di questo sottoinsieme di finalità della programmazione tiene conto di quanto già efficacemente attuato, come nel caso della professionalizzazione dei percorsi (che può pertanto essere considerato un terreno consolidato di offerta formativa) ed è guidata dai nodi problematici che invece ancora incidono sul pieno conseguimento degli obiettivi strategici del programma e che assumono, pertanto, carattere di priorità nell’azione di breve e medio periodo.

Collocati trasversalmente rispetto ai differenti sottoprogrammi, gli obiettivi specifici del P.O., di seguito descritti, riassumono le finalità di singole linee di intervento e indicano i risultati da conseguire in termini di processi che devono supportare la realizzazione degli interventi (ad es. modalità di selezione dei progetti e/o controllo della qualità). Gli obiettivi specifici sono individuati nei seguenti:

1. Lo sviluppo di competenze-chiave spendibili in diversi ambiti professionali e modularizzazione dei percorsi di apprendimento

Il rafforzamento della terza area di specializzazione nei percorsi post-qualifica e la sperimentazione di percorsi innovativi post-diploma permettono di adeguare l’offerta formativa degli Istituti di scuola secondaria superiore alle richieste del mercato. Il processo di rinnovamento avviene attraverso:

 

2. La qualificazione dei segmenti formativi, realizzati in azienda e nei centri di formazione professionale, inseriti negli interventi professionalizzanti per giovani e adulti

Facilitare la transizione dei giovani dalla scuola al lavoro, l’inserimento e il reinserimento dei disoccupati adulti e la qualificazione dei lavoratori, richiede un forte raccordo, a livello locale, tra i sistemi di istruzione e formazione e tra questi e la rete delle imprese. Il soggetto in formazione, giovane o adulto, deve poter costruire il proprio percorso di qualificazione nella scuola, nei centri di formazione professionale, in azienda - come previsto dall’Accordo per il lavoro e dal Riordino dei cicli - seguendo i propri interessi, supportato dai tutor della formazione e da quelli aziendali che rappresentano il filo rosso tra i diversi segmenti. L’alternanza permette di perseguire, contemporaneamente ed efficacemente, gli obiettivi di professionalizzazione dell’individuo e quelli di qualificazione delle risorse umane delle imprese che rispondono a specifiche strategie aziendali.

In questo ambito si intende attivare:

3. La capitalizzazione delle competenze acquisite e la certificazione di crediti e debiti formativi

La valorizzazione delle competenze acquisite nella formazione di base, nell’esperienza professionale e in quella sociale permettono all’individuo adulto di formulare un proprio progetto formativo e professionale e alle agenzie formative di tarare l’offerta sulle reali necessità e potenzialità degli utenti.

Il bilancio delle competenze, come metodologia innovativa per l’orientamento e la rimotivazione di soggetti che hanno difficoltà a inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro, diviene, nella programmazione del P.O., un obiettivo centrale per i percorsi di qualificazione degli adulti così come la certificazione dei crediti acquisiti dagli individui nelle esperienze formative e lavorative, che rappresenta uno strumento essenziale per la flessibilizzazione dei percorsi formativi e per l’integrazione tra i differenti sottosistemi dell’offerta formativa.

Il P.O. prevede in quest’ambito:

La sperimentazione promossa in quest’ambito con il contributo dei Fondi strutturali potrà, successivamente, essere diffusa in tutto il sistema dell’istruzione in concomitanza con la modularizzazione dei percorsi e con l’individuazione di unità capitalizzabili.

4. Il potenziamento delle modalità di accoglienza, orientamento e supporto degli allievi

Il permanere di squilibri e diseguaglianze nelle opportunità di accesso all’istruzione, in particolare nelle aree Obiettivo 1 - per cause economiche, sociali e culturali - e la mancanza di politiche efficaci di orientamento determinano ancora un alto tasso di dispersione tra gli alunni degli Istituti Professionali e Tecnici e, quindi, anche nelle azioni finanziate dal Programma Operativo. E’ necessario concentrare interventi e risorse in questa area per:

5. La promozione della cultura europea

La realizzazione di iniziative innovative e qualificanti con il supporto dei Fondi strutturali ha certamente contribuito a diffondere le prassi migliori, ma richiede ancora un maggiore impegno al fine di offrire percorsi formativi "europei" nei loro paradigmi culturali, ma anche nelle loro implicazioni operative al fine di poter spendere le competenze acquisite al di fuori dei mercati del lavoro locali e nazionali.

Al fine di operare una "apertura" verso le lingue e le culture degli altri paesi europei il P.O. prevede:

6. La diffusione delle informazioni, delle esperienze significative e delle iniziative di formazione dei formatori

Si è evidenziata la necessità di raccogliere e diffondere, ai diversi livelli e attori del sistema, le informazioni disponibili sulle modalità attuative utilizzate dai diversi Istituti e le innovazioni sperimentate negli interventi di formazione dei formatori, al fine di migliorare gli standard dell’offerta formativa.

A questo obiettivo possono concorrere due diverse modalità di intervento:

Queste nuove modalità di intervento permetteranno l’accesso di tutti gli attori alle informazioni e alle pratiche migliori, la verifica dei cambiamenti nelle prassi didattiche consolidate e l’individuazione di standard qualitativi da fissare per l’attuazione dei percorsi realizzati nell’ambito del P.O.

LA STRUTTURA DEL P.O.

Gli obiettivi individuati trovano la loro base realizzativa in 17 Sottoprogrammi in cui si articola il P.O., ulteriormente organizzati al loro interno in misure ed azioni.

Questo impianto è il frutto dell’originaria programmazione del 1994 che ha riguardato sostanzialmente le attività del primo triennio a cui si sono aggiunte nuove linee di intervento per il secondo triennio proposte ed approvate con la Decisione C(97)2377 del 17/9/1997. Emerge, quindi, un quadro programmatico estremamente complesso che ha richiesto l’individuazione di un ulteriore livello nella struttura del programma individuato nelle aree di programmazione. Queste consentono, infatti, di accorpare tra loro diversi sottoprogrammi, e le misure ad essi interne, secondo linee di intervento omogenee sotto il profilo dell’impatto sul sistema della formazione e secondo l’appartenenza ad uno o più obiettivi specifici del programma.

Le aree di programmazione sono individuate nel modo seguente:

1. Educazione permanente

In quest’area sono inserite le parti professionalizzanti delle azioni di qualifica e post-qualifica per gli occupati privi di titolo di studio e i percorsi di riqualificazione concordati tra Istituti e imprese. Questi percorsi mirano alla creazione di un sistema territoriale integrato nel quale gli Istituti concorrono, insieme ad altri soggetti del sistema formativo regionale, a rispondere efficacemente a una domanda sempre più qualificata e differenziata. In quest’ambito si prevedono anche moduli di bilancio delle competenze, percorsi in alternanza formazione-istruzione-lavoro - anche per apprendisti - per il conseguimento di un titolo formale o di crediti formativi e la pre-professionalizzazione dei genitori degli allievi delle scuole medie ed elementari coinvolti nei Sottoprogrammi per la lotta all’esclusione, al fine di qualificare i contesti familiari e sociali delle realtà dove queste esperienze vengono realizzate. Vengono compresi in questa area i Sottoprogrammi:

2. Inserimento lavorativo

In questo ambito vengono compresi gli interventi per la professionalizzazione delle azioni post-qualifica e post-diploma e quelli per la diffusione delle lingue e delle culture europee in questi percorsi. I progetti per l’inserimento lavorativo dei giovani hanno il duplice obiettivo di rinnovare i curricula dell’istruzione professionale e tecnica e costruire il sistema territoriale integrato di formazione. Appartengono a questa area i Sottoprogrammi :

3. Riduzione dispersione scolastica

Le azioni sono finalizzate alla lotta contro la dispersione e l’esclusione negli IPS (Istituti Professionali di Stato), negli ITS (Istituti Tecnici di Stato) e nelle scuole elementari e medie di alcune realtà territoriali particolarmente degradate attraverso i Sottoprogrammi:

4. Rafforzamento del sistema

Per perseguire il rinnovamento dei curricula scolastici, in relazione anche alle recenti proposte di riordino dei cicli, il P.O. supporta una vasta azione di formazione dei docenti, attraverso la realizzazione di pacchetti multimediali per l’autoformazione, fruibili anche a distanza. Per gli interventi cofinanziati dal FESR, invece, sono state identificate le necessità degli Istituti Professionali e Tecnici per l’adeguamento delle strumentazioni, per la creazione di centri contro la dispersione, per la diffusione della rete delle imprese simulate e per adeguare la rete esistente tra gli Istituti, il Ministero, la BDP e il CEDE, al fine di raccogliere e diffondere le informazioni utili alle azioni di monitoraggio e valutazione e le esperienze migliori. Sono racchiusi in questa area i Sottoprogrammi:

Alcune principali caratteristiche che differenziano, nel tempo, la struttura del P.O. meritano di essere evidenziate.

 

P.O. Fondi residui 1993/96 

n. 936105-I1

P.O. Ob. 1 1994/99, n. 940025-I1

"Un impegno per la qualità"

Sottop. 1 Post qualifica

Sottop. 1 Post qualifica

Sottop. 1/a Lotta alla dispersione 

Sottop. 9 Lotta alla dispersione 

Sottop. 2 Formazione formatori (discipline di indirizzo)

Sottop. 3 Formazione formatori (qualità)

Sottop. 2 Formazione formatori (discipline di indirizzo)

Sottop. 4 Formazione formatori (handicap)

Sottop. 8 Formazione formatori (handicap, svantaggiati)

Sottop. 5 Post diploma 

Sottop. 5 Post diploma

Sottop. 6 Formazione formatori (valutazione) 

Sottop. 6 Formazione formatori (valutazione)

 

Sottop. 3 Formazione formatori (parità uomo-donna)

 

Sottop. 4 Qualificazione lavoratori

 

Sottop. 7 Formazione formatori (valutazione in itinere)

 

 

 

Sottop. 10 FESR - Tecnologie per l'innovazione

 

Sottop. 11 FESR - Assistenza tecnica

 

Sottop. 12 Cultura d'impresa

 

Sottop. 13 Orientamento

 

Sottop. 14/1, 14/2, 14/3 Lotta alla dispersione nella scuola dell'obbligo, in aree di particolare degrado

 

Sottop. 15 Bilancio delle competenze

 

Sottop. 16 Apprendimento delle lingue comunitarie 

 

Sottop. 17 Alternanza lavoro-istruzione-formazione totalmente integrata

 

- la quantificazione del cofinanziamento della Unione Europea e dello Stato membro. Mentre per il primo triennio e per tutti i Sottoprogrammi la quota comunitaria è stata del 75% e la quota nazionale del 25%, nel secondo triennio la percentuale dell'intervento comunitario scende al 65% e la quota nazionale sale al 35% per i Sottoprogrammi 1, 4, 9, 12, 14 e 17. Per tutti gli altri la percentuale rimane invariata: 75% - 25%;

- l'adeguamento della scansione temporale del Programma al criterio dell'anno finanziario, anziché scolastico, nell'ottica di un'armonizzazione delle procedure nazionali con quelle stabilite dai Fondi comunitari. Fino ad oggi uno dei problemi maggiori è infatti derivato dalla struttura di alcuni sottoprogrammi (ad esempio 1, 4 e 9) che, per la stretta connessione alla struttura dell’anno scolastico italiano, non possono concludersi nello stesso anno in cui hanno inizio. La modifica adottata consiste nella articolazione dei Sottoprogrammi in due fasi separate, da attuarsi nei periodi ottobre-dicembre e gennaio-giugno, non alterando tuttavia la coerenza interna del percorso pedagogico-didattico;

- la soppressione del sottoprogramma 7 poiché i suoi obiettivi e contenuti sono già previsti nel Sottoprogramma 6;

- l’ampliamento del sottoprogramma 10, che oltre all’adeguamento delle strumentazioni tecnologiche degli Istituti, è finalizzato alla realizzazione di centri contro la dispersione e al potenziamento delle rete delle imprese formative simulate.