Autonomia didattica e innovazione dei corsi di studio di livello universitario e post-universitario

Il gruppo di lavoro ministeriale, nominato con d.m. del 29 ottobre 1996, con il compito di formulare proposte al Ministro in tema di "autonomia didattica", ha completato la prima fase dei lavori trasmettendo al Ministro, in data 23 ottobre 1997, un rapporto conclusivo.

Sulle proposte formulate e sui documenti preparatori si apre ora un'ampia fase di confronto e di consultazione, che dovrà vedere coinvolte tutte le componenti universitarie.

RAPPORTO FINALE
(Testo rivisto nella riunione del 3 ottobre 1997, ultima stesura a cura di Guido Martinotti)

INDICE

Presentazione
 1.La filosofia dell'intervento
 2.Principi organizzativi generali
 3.Le principali linee di intervento.
La proposta del Gruppo di lavoro

 A) I crediti didattici nel sistema universitario
 B) Struttura dell'ordinamento didattico
 C) La valutazione
 D) L'orientamento
 E) Coordinamento territoriale e differenziazione competitiva
 F) I collegamenti con gli altri i sistemi europei
 G) Conoscenze per il governo del sistema

Milano, 21 ottobre 1997

Presentazione.

      Il documento messo a punto dal Gruppo di Lavoro Ministeriale su "Autonomia didattica e innovazione dei corsi di studio a livello universitario e post-universitario", come prodotto conclusivo di una prima fase dei lavori, durata dal 14 Febbraio al 3 Ottobre 1997, si compone delle seguenti tre parti.

      In una prima parte vengono delineate le premesse e le condizioni istituzionali e intellettuali in cui si è svolto il lavoro del Gruppo. Sostanzialmente queste premesse mettono in luce l'idea centrale che in questa fase l'azione del MURST si svolge in un quadro di crescente autonomia e che ciò significa avviare un processo destinato a svilupparsi nel tempo e, in potenza, fortemente innovativo. Ciò significa che non è possibile delineare un quadro di riforma dall'alto, ma si devono delineare i criteri minimi generali ai quali devono attenersi gli Atenei, liberi peraltro di estendere la propria azione al di là di questi confini e, come è stato detto più volte, di fare tutto ciò che non è espressamente regolato. Contemporaneamente però, chi è responsabile del governo del sistema, non può nascondersi che definire i limiti in negativo non è sufficiente ad avviare il processo di trasformazione. Affinché l'autonomia proceda al più presto sono necessarie anche azioni di stimolo. Un concetto fondamentale che ha informato l'attività del Gruppo di Lavoro è che l'autonomia non può essere un fine in sè, ma solo uno strumento per ottenere un deciso miglioramento qualitativo dell'insegnamento e delle condizioni di funzionamento dell'università italiana.

      La seconda parte del documento elenca e spiega una serie di principi organizzativi che discendono da queste premesse di carattere più generale e ai quali il Gruppo di Lavoro si è attenuto nel suggerire le proposte contenute nel successivo punto. Il primo di questi principi, che in un certo senso informa il complesso della filosofia organizzativa della proposta è stato definito come principio di contrattualità, cioè la trasformazione dell'attuale meccanismo di iscrizione in cui studentesse e studenti sono poco più che passivi soggetti di imposta, in un accordo trasparente mediante il quale entrambi i contraenti si obbligano a una serie di prestazioni i cui contenuti in termini di obblighi e diritti sono trasparenti e verificabili da entrambe le parti. Questo principio discende anche dalla constatazione, di cui il Gruppo di Lavoro prende atto, che il processo educativo si rivolge a un corpo studentesco non più omogeneo e cristallizabile in un modello "in corso", ma con diverse esigenze che possono essere soddisfatte in modo egualmente legittimo, da una partecipazione a tempo pieno o a tempo parziale in una prospettiva di lifelong learning e in una università in cui è anche necessario dare spazio alla cultura di genere.

      Le proposte specifiche vengono avanzate nella terza parte del documento e riguardano una serie di innovazioni da considerarsi come parti complementari di un disegno istituzionale complessivo. Il primo elemento riguarda l'introduzione dei crediti intesa a sostituire progressivamente la rigidità dell'organizzazione per corsi semestrali o annuali e a sostenere la flessibilità educativa e didattica del modello illustrato al secondo punto. Il modello, proposto come schema di riferimento per l'organizzazione della didattica, punta alla tendenziale riduzione degli anni occorrenti per raggiungere il livello della laurea, introducendo un livello intermedio anche con funzione di orientamento dopo due anni e titoli di specializzazione dopo la laurea, come incoraggiamento a spostare su tutta la gamma dei titoli post-laurea quegli approfondimenti che attualmente gravano sul percorso di laurea. La crescente importanza dei corsi di specializzazione implica una maggiore interazione tra università e ambiti istituzionali e/o professionali esterni (Scuola, Magistratura, Ordini professionali dell'area giuridica, ecc.), anche per quanto riguarda la mobilità - in entrambi i sensi - delle risorse umane. Al fine di aumentare la flessibilità didattica e di offrire un periodo di orientamento alle matricole, si prevede la possibilità di effettuare corsi introduttivi comuni a più facoltà su grandi aree tematiche da definire. Viene confermata l'importanza del diploma triennale con funzioni prevalentemente professionalizzanti come percorso separato, ma dal contenuto recuperabile grazie al sistema dei crediti.

      La maggiore flessibilità e articolazione del sistema di istruzione superiore universitario e non-universitario impone una maggiore e crescente importanza alla funzione di orientamento che assume quindi un ruolo centrale nel nuovo modello proposto dal Gruppo di Lavoro. L'orientamento deve avere una funzione sia nei confronti del sistema formativo che del sistema occupazionale.

      Con l'orientamento assume una importanza centrale la funzione di valutazione. L'autonomia e la flessibilità porteranno inevitabilmente a una differenziazione competitiva tra gli Atenei. Tuttavia il sistema universitario italiano rimane un sistema pubblico con obblighi e responsabilità nazionali. Affinché la differenziazione e l'autonomia producano un miglioramento qualitativo e non un aumento del parrochialismo localistico, è necessario avere uno strumento di misura che permetta un confronto obiettivo e affidabile tra le diverse parti del sistema è necessario mettere a punto un sistema di valutazione nazionale. Questa funzione è esterna ai compiti del Gruppo di Lavoro, che rinvia per tale argomento ai documenti e alle attività dell'Osservatorio presso il MURST, già al lavoro da tempo.

      Per completare le prospettive di funzionamento del progetto proposto è tuttavia necessario prevedere meccanismi che forniscano anche una verifica esterna non affidata esclusivamente alla domanda del mercato del lavoro, la cui elasticità ha tempi non agevolmente commensurabili con le decisioni degli atenei in termini di offerta formativa e con le scelte individuali. Il Gruppo di Lavoro non aveva competenze nel campo della definizione normativa degli impieghi professionali dei titoli di studio, in parte condizionati da obblighi supranazionali. Ha tuttavia individuato due importanti meccanismi che possono offrire strumenti rilevanti per assicurare il massimo possibile di coerenza tra il quadro dell'offerta. Da un lato il coordinamento territoriale, che si deve sviluppare all'interno di bacini non necessariamente coincidenti con l'ambito regionale e che, pur rispettando il principio della differenziazione competitiva, là dove opportuno anche all'interno dello stesso bacino, deve tuttavia evitare ridondanze e sprechi derivanti da decisioni del tutto autoreferenziali di cui la storia dell'università italiana fornisce esempi non scarsi. Il sistema dei crediti dovrebbe tra l'altro mettere a disposizione uno strumento utilizzabile anche per un buon grado di mobilità fisiologica e di ri-orientamento all'interno del sistema locale, nazionale e internazionale, oltre che con le attività di formazione extra-accademiche. Il secondo strumento è di natura conoscitiva. I dati dell'Osservatorio, come detto, gia' attivo al MURST, dovrebbero potersi collegare a un più ampio sistema di monitoraggio della destinazione dei laureati a breve e medio periodo nonché' del sistema della domanda sociale per il quale è necessaria una politica del dato che punti alla cooperazione con i grandi centri produttori di informazioni a cominciare dall'ISTAT.

      Il gruppo di lavoro è cosciente che molti altri elementi costituiscono materie che vanno regolate in un quadro di contemporaneità e di coerenza. Per quanto riguarda lo stesso ambito universitario, vanno considerati lo stato giuridico del corpo docente, l'organizzazione didattica e amministrativa degli atenei, con particolare riguardo alla struttura decisionale, le condizioni per la ricerca scientifica, i rapporti con il mondo delle imprese, le condizioni esistenziali del corpo studentesco e le previsioni per l'attuazione del dettato costituzionale in materia di diritto allo studio. Bisogna tenere conto allo stesso tempo dei vari fattori esterni dai quali possono derivare importanti ripercussioni sull'autonomia universitaria, quali i cambiamenti proposti per l'ordinamento dell'istruzione secondaria superiore, l'internazionalizzazione dei mercati del lavoro con i connessi problemi del riconoscimento di competenze, titoli e qualificazioni e da ultimo, ma solo per ragioni di elencazione, lo sviluppo di una seconda rete di formazione post-secondaria che implica varie forme di interazione e di raccordo con il sistema universitario. Si tratta però di materie al di là della competenza specifica del Gruppo di Lavoro che si è limitato a indicare le più ovvie valenze nelle direzioni summenzionate. Infine, secondo il mandato ricevuto, il Gruppo di Lavoro, che non ha alcuna funzione regolamentare, trasmette il proprio lavoro al Ministro sottolineando che, in previsione di una discussione allargata, su espressa indicazione del Sottosegretario per l'Università, il documento è stato redatto in forma discorsiva e narrativa e non con una struttura da testo regolamentare o proposta di legge. I documenti preparatori, rivisti editorialmente dai vari membri del Gruppo, sono stati inclusi in appendice e costituiscono apporti individuali alla discussione collettiva e servono a segnare un percorso di elaborazione piuttosto che punti di vista divergenti, anche se data la natura e i compiti del Gruppo questi possono legittimamente sussistere anche dopo la stesura e approvazione del documento collegiale.

      Al Gruppo di lavoro, coordinato da Guido MARTINOTTI, Università di Milano, hanno partecipato Gabriele ANZELLOTTI, Università di Trento, Laura BALBO, Università di Ferrara, Luciano BENADUSI, Università di Roma "La Sapienza", Stefano BOFFO, Università di Trieste, Biancamaria BOSCO TEDESCHINI LALLI, Università Roma III, Matilde CALLARI GALLI, Università di Bologna, Sergio LARICCIA, Università di Roma "La Sapienza", Ute LINDNER, Consulente ISTAT, Giuno LUZZATTO, Università di Genova, Andrea MESSERI, Università di Siena, Roberto MOSCATI, Università di Trieste, Antonio RODINÒ DI MIGLIONE, Consigliere Senato della Repubblica, Romilda RIZZO, Università di Catania, Vito SVELTO, Università di Pavia, Nicola TRANFAGLIA, Università di Torino e Rodolfo ZICH, Politecnico di Torino.


1. La filosofia di intervento

      I mali dell'università italiana sono sufficientemente noti e la loro identificazione si può ormai fare con un grado elevato di consenso, anche se non sempre il quadro sul quale concordano gli esperti corrisponde all'immagine diffusa presso l'opinione pubblica. Una immagine che spesso presenta in forma caricaturale problemi reali, ma piu' tipici delle situazioni estreme che non della generalità dei casi. In buona sostanza è accaduto che l'Università italiana non abbia seguito l'evoluzione generale dei sistemi di istruzione superiore dagli anni sessanta in poi, se non con aggiustamenti legali parziali e tardivi, e molti adattamenti spontanei, migliorativi per questa o per quella componente, ma generalmente peggiorativi per il sistema. Si è trattato della trasformazione da un sistema tradizionale di piccole dimensioni basato sulla comunità dei docenti e su un corpo studentesco molto omogeneo in termini di classe sociale, a un sistema ampio e socialmente diversificato, anche se molto lontano dall'idea di accesso universale, che e' stato investito dei problemi della mobilità sociale e della preparazione di una classe dirigente, ma senza aver acquisito gli strumenti istituzionali per risolverli.

      Perciò non è esatto dire che nel sistema accademico italiano non sia mutato nulla. I cambiamenti ci sono stati e sono stati profondi. Tra la metà degli anni sessanta e la metà degli anni novanta il corpo studentesco è più che raddoppiato con un costante aumento delle studentesse, mentre il corpo docente è passato da poche migliaia a varie decine di migliaia, senza che vi si siano sostanzialmente mutati i rapporti quantitativi di genere. Contemporaneamente sono stati creati molti nuovi atenei, istituite nuove facoltà, ammessi nuovi corsi di laurea. Ma a questi mutamenti quantitativi non ha tenuto dietro una adeguata trasformazione della struttura organizzativa dell'università, rimasta in molti suoi aspetti quella adatta a un sistema universitario piccolo e tradizionale, se si escludo alcune innovazioni anche di rilevo, ma parziali, come l'introduzione del Dottorato, l'istituzione del Dipartimento e l'avvio del Diploma. Come in altri settori della società italiana, in mancanza di un quadro evolutivo istituzionale, si sono creati adattamenti perversi, che hanno distrutto molte delle componenti di comunità autoregolantesi necessarie in ogni sistema universitario, trasformandolo in un grande e complesso aggregato poco capace di innovarsi. Solo di recente, con il complesso di leggi messe in cantiere a partire dalla prima metà degli anni '90, si è cominciato a intaccare il contesto che ha portato a questo stato di cose, avviando un processo di autonomia teso a liberare le risorse ingabbiate, ma ancora ben lontano dall'aver prodotto effetti significativi.

      L'inadeguatezza istituzionale ha favorito una serie di adattamenti spontanei alla eccessiva rigidità organizzativa, tradottisi via via anche in diffuse illegalità tollerate, sulle quali si sono creati equilibri e accordi, perlopiù latenti, tra i più diversi interessi costituiti, che abbassano il livello di efficienza e ostacolano seriamente ogni azione di miglioramento del sistema. Il sistema accademico ha finito per adottare in larghissima misura un principio organizzatore che potremmo definire di "particolarismo universalistico". Cioè della utilizzazione di norme rigorosamente e astrattamente generali per il perseguimento di fini particolaristici. Ne troviamo tracce nel meccanismo concorsuale, in superficie capace di garantire una eguaglianza di giudizi su base nazionale, ma spesso sottoposto a interessi locali o di scuola o nella applicazione inordinata del principio della libertà degli accessi che ha portato a squilibri macroscopici tra le dimensioni degli atenei anche nella medesima città. E nel crescente divario tra curricolo tabellare e realtà del percorso di studi di grandi masse di studenti con la formazione di una figura anomala come è il "fuori corso".

      Gli esempi potrebbero continuare, ma riteniamo che il punto sia stato sufficientemente illustrato. È pertanto necessario rovesciare questo processo di proliferazione di particolarismi protetti introducendo le necessarie innovazioni, ma anche prendendo atto che alcuni adattamenti spontanei verificatisi in questi ultimi decenni sono la risposta a esigenze legittime che vanno riconosciute e regolamentate piuttosto che contrastate. In generale, il Gruppo di lavoro rifiuta una immagine catastrofistica del sistema universitario italiano, in larga misura costruita dai mezzi di comunicazione di massa su alcuni eventi senza dubbio significativi, ma non universalmente rappresentativi (megatenei, esiti perversi dei concorsi, conflitti sul numero chiuso ecc.). Piuttosto, l'immagine dell'università italiana che appare più plausibile è di un sistema molto diversificato, con non poche forze innovative che trovano difficoltà a tradurre in pratiche istituzionali accettate le esperienze locali. Il ritardo istituzionale va colmato tenendo ben presente che in tutti i sistemi europei di istruzione superiore si stanno trovando difficili e complessi adattamenti innovativi e rifuggendo da impostazioni che proiettano sull'azione di riforma l'inclinazione a suggerire modelli astrattamente universalistici, ma incapaci di collegarsi con le molte forze innovative presenti nel mondo universitario. Ma anche tenendo presenti alcuni aspetti esterni quali la riforma dei cicli scolastici, la costituzione di una "seconda rete di formazione a livello terziario", di cui si sta discutendo ora in numerosi documenti ufficiali, le carenze formative della popolazione adulta e la diffusione di una cultura di genere nella società.

      Al Gruppo di lavoro è stato chiesto di avanzare proposte per avviare un processo di miglioramento per quanto riguarda "l'Autonomia didattica e l'innovazione dei corsi di studio a livello universitario e post-universitario". Pertanto il GdL si è tenuto all'interno di questi confini e, pur avendoli ben presenti, non ha discusso diversi temi fondamentali, collegati con i problemi didattici, ai quali abbiamo già accennato nella Presentazione.

      Nelle condizioni caratteristiche del sistema accademico italiano, cioè di un sistema complesso molto diversificato che ha trovato suoi equilibri interni che corrispondono a interessi costituiti celati dietro principi obsoleti, non si può proporre un ridisegno complessivo o "riforma" del sistema in senso tradizionale. In primo luogo perché è il grado di complessità raggiunto del sistema accademico a rendere improponibile una azione di questo tipo. In secondo luogo perché proprio per l'abbrivo del sistema, gli interessi costituiti del presente sono in grado di opporre efficaci resistenze a qualsiasi modello innovativo imposto o proposto dal centro. Ogni innovazione viene subito ripresentata come un abbassamento della qualità, e poco vale la constatazione che la qualità si è abbassata soprattutto a causa di decenni di assenza di innovazioni normative. In terzo luogo perché l'avvio del processo di autonomia ha già ridotto considerevolmente la gamma degli strumenti di intervento a disposizione del governo centrale del sistema.

      Per questo non si è adottata la prospettiva di una "riforma organica" o ordinamentale dell'intero sistema universitario. Si è invece scelta la strada di una pluralità di interventi/strumenti parziali, da attivare contestualmente, in funzione di obiettivi determinati, comunque riconducibili a un disegno generale di riforma (conseguentemente: confronto politico-culturale e parlamentare non per modelli, ma su obiettivi e sull'adeguatezza degli strumenti adottati in funzione degli obiettivi perseguiti). Ciò comporta una "strategia a mosaico", che punta ad accrescere ulteriormente l'autonomia con l'obiettivo di ampliare le possibilità di azione delle forze innovative. Va da sè che con questa impostazione vanno minimizzati due rischi contrapposti.

      Da un lato va riaffermato il principio, ribadito nell' articolo 17 della legge 127 del 1997, che finchè il sistema universitario italiano rimane pubblico ed è finanziato con risorse nazionali, deve possedere alcuni requisiti comuni. Però, stabiliti questi "requisiti minimi", è lo spirito stesso del modello dell'autonomia ormai da tempo inserito nella filosofia e nella pratica legislativa del MURST, a suggerire il cambiamento da un approccio "dall'alto" a uno maggiormente basato sulle inziative "dal basso". Peraltro l'autonomia non è un fine in sè, ma un mezzo per ottenere degli obiettivi di migliore funzionamento del sistema. In altre parole lo scopo ultimo dell'azione innovatrice del Ministero non è di assegnare ai singoli atenei maggiore autonomia, ma quello di assicurarsi che la maggiore autonomia significhi soprattutto rimozione di ostacoli sulla via di una maggiore funzionalità di un sistema che oggi appare bloccato o avviato verso una involuzione. Non si deve neppure identificare l'autonomia con la pura e semplice "deregulation". Sarebbe un errore pensare che basti eliminare alcune regole per mettere in moto un processo automatico di aggiustamento del sistema. Oltre a operare per rimuovere gli ostacoli a un completa autonomia l'iniziativa del MURST dovrà perseguire innanzitutto l'obiettivo della creazione di una "cultura dell'autonomia", stimolando le forze vive dell'università.

      In coerenza con l'insieme di queste premesse, il gruppo di lavoro si è trovato concorde, sin dall'inizio, sul principio di cercare soluzioni che non aggiungano, ma riducano i gradi di complessità del sistema a tutti i livelli, e in particolare delle procedure per l'innovazione. Inoltre di favorire soluzioni che accrescano la responsabilità dei soggetti e le capacità di integrazione tra le diverse componenti locali e nazionali. E infine concordano sull'importante principio che tutte le innovazioni proposte abbiano una attuazione graduale, con sperimentazioni da valutare attentamente, ma da stimolare e incentivare, anche con risorse aggiuntive. Il Gruppo di Lavoro segnala inoltre che le proposte sembrano essere perfettamente in linea con gli orientamenti generali a livello europeo quali emergono dalla documentazione riportata in appendice.

2. Principi organizzativi generali

      Il Gruppo di lavoro ha cercato di fissare, come base per il dibattito, alcuni "principi organizzativi", cioè scelte strategiche tra modelli contrapposti (es. centralità/diffusione, gerarchia/parità di funzioni eccetera) che delineano la forma istituzionale di una organizzazione. Le scelte proposte sono da considerarsi interrelate, anche se, naturalmente, ogni scelta non ne determina un'altra in modo automatico. Quindi il principio organizzativo via via indicato in ogni specifica dimensione è da considerare come elemento prevalente piuttosto che unico.

      Il sistema che ci si attende possa emergere al termine di un processo di innovazione stimolata e favorita dal centro dovrebbe avere queste caratteristiche:

*   Contrattualità del rapporto studenti-ateneo

*   Differenziazione competitiva tra gli atenei

*   Pluralità dell'offerta formativa

*   Flessibilità curriculare

*   Mobilità delle risorse umane

*   Accreditamento dei corsi di studio

*   Appoggio alla innovatività bottom up

*   Adozione del sistema dei crediti educativi

*   Adozione di sistemi di valutazione

*   Trasparenza nell' indirizzamento del sistema

      1) Alla base va posto un principio che definiamo di contrattualità e che dovrebbe sostituire il rapporto quasi-fiscale della passiva "iscrizione" a una università. Nel momento in cui intraprende un corso di studio studentesse e studenti definiscono contrattualmente - cioè in base a un "accordo bilaterale con prestazioni corrispettive" - con il singolo Ateneo le condizioni di svolgimento degli studi. Queste condizioni stabiliscono obbligazioni da entrambe le parti, potenziando la componente "consensuale" del rapporto tra studentesse e studenti e istituzione, e ponendo l'accento sulla qualità del servizio dovuto dall'Ateneo. Se da un lato la fruizione di questo servizio contiene inevitabilmente l'adesione a un rapporto pedagogico implicito nell'attività didattica organizzata e nel concetto di università come comunità, dall'altro impone all'Ateneo il rispetto degli standards specificati nell'accordo. Il principio di contrattualità rivaluta il ruolo di studentesse e studenti quali soggetti attivi adulti contribuendo al tempo stesso ad avviare un processo di aumento della trasparenza nell'offerta formativa che stabilisca in modo chiaro le responsabilità dell'ateneo.

      2) Il secondo principio operativo che si intende affermare è quello della diversificazione competitiva tra i diversi atenei, che implica anche una estensione dell'idea di contrattualità. A causa dell'abuso che si fa di questo termine è necessario specificare che "competitività" in questo contesto non può avere il medesimo significato che gli si attribuisce nel linguaggio economico che regola i rapporti tra imprese. Indipendentemente da ogni altra considerazione, nel sistema italiano non è possibile, allo stato attuale, pensare a un sistema di atenei in competizione tra di loro, per la buona ragione che mancano le condizioni al contorno per un vero e proprio mercato accademico, sia per gli studenti, sia per i docenti. Tale mancanza deriva da una serie di importanti vincoli strutturali esterni all'istituzione universitaria e relativi alla mobilità delle persone, al mercato del lavoro e alla sua organizzazione e, infine, al ruolo del sistema familiare nei meccanismi di inserimento dei giovani nella vita adulta, occupazione compresa, e non è pertanto eliminabile, nel breve periodo, con misure normative. Sul lungo periodo la competizione tra i diversi atenei potrà forse contribuire a stimolare una rilevante mobilità di docenti e studentesse e studenti. Oggi, tuttavia, affermare questo principio significa soprattutto accettare e accentuare gli aspetti positivi della diversificazione tra gli atenei, e insistere sulla trasparenza nel confronto tra le condizioni dell'offerta formativa nei diversi atenei in modo da incoraggiare una scelta della sede in base a specifiche esigenze di formazione, piuttosto che la generica preferenza dell' "università sottocasa"

      3) Un terzo principio riguarda la pluralità delle offerte in risposta a diversi tipi di domanda formativa. Il sistema di istruzione superiore deve continuare a tenere conto della domanda prevalente: giovani adulti di entrambi i sessi che intendono acquisire un titolo nei tempi prescritti. Anzi deve creare le condizioni perché questo percorso si svolga con la massima regolarità possibile inserendo nel contratto formativo le condizioni necessarie per il regolare completamento degli studi per le studentesse e gli studenti a pieno tempo e i doveri che essi sottoscrivono. Al tempo stesso deve svilupparsi sempre più una risposta complessa alla articolata proveniente da altri soggetti e cioè giovani adulti, perlopiù già inseriti nel mondo del lavoro, che intendono conseguire il titolo di studio senza un termine di tempo preciso, ovvero in tempi dilazionati, e adulti, o adulti anziani, che rientrano periodicamente nel sistema per una formazione lifelong. Questo principio deve portare alla eliminazione dello status e della idea stessa di "fuori corso", che va sostituita con diverse forme concordate e regolate di studentesse e studenti a tempo parziale. In tale quadro, tenendo presente che le università sono fatte di donne e uomini occorre riporre maggiore attenzione alle esigenze specifiche delle donne che rappresentano oggi una porzione maggioritaria del corpo studentesco.

      4) La pluralità dell'offerta implica a sua volta un quarto principio che possiamo chiamare quello della flessibilità curricolare. Flessibilità curricolare vuol dire offrire agli atenei la possibilità di avviare nuove attività formative, anche temporanee, senza lunghe e defatiganti procedure di approvazione preventiva. La flessibilità curriculare facilita l'adeguamento dell'offerta formativa ai cambiamenti nel modo del lavoro e delle condizioni di vita che sono particolarmente rapidi in questo torno di anni. All'interno di una attenzione allo sviluppo di settori innovativi che tengano conto della pluralità di culture e conoscenze, l'attuazione di questo principio si lega anche alla messa in atto di iniziative per la sensibilizzazione alla cultura di genere. La flessibilità curriculare si ottiene anche facilitando le procedure di approvazione di nuovi corsi di studio, e la loro chiusura una volta che se ne rilevi esaurita l'utilità. L'innovazione didattica deve riguardare non soltanto i curricoli e i contenuti disciplinari, ma anche le modalità delle attività didattiche. In particolare occorrerà che si incrementino le occasioni di effettiva interazione tra docenti e studenti, fin dai primi anni di iscrizione, non trascurando l'uso delle nuove tecnologie comunicative.

      5) Ne deriva un quinto principio operativo che è quello della mobilità delle risorse umane. La possibilità di avviare - e chiudere - corsi di studio di vario tipo implica ovviamente la eliminazione della rigida corrispondenza tra docente e cattedra/materia che del resto è una peculiarità del sistema italiano e che sotto il pretesto della libertà di insegnamento ha mascherato il più perverso intreccio di nicchie, privilegi e cattiva distribuzione delle risorse che abbia mai dominato un sistema organizzativo. I problemi della mobilità delle risorse umane devono ovviamente trovare regolazione nel quadro dello stato giuridico dei docenti e degli statuti e regolamenti didattici addotti autonomamente dai singoli atenei. Sin d'ora tuttavia è possibile ottenere, in applicazione delle leggi esistenti, che i docenti di corsi specialistici possano essere anche solo temporaneamente utilizzati per sostenere lo sforzo didattico dei corsi introduttivi e affollati. Infine va stimolata la mobilità tra atenei, anche ricorrendo ad accordi interateneo che permettano mobilità per limitati periodi di tempo.

      6) Flessibilità curriculare e mobilità delle risorse umane si ricollegano a un sesto principio organizzativo che mira alla graduale sostituzione di un valore formale del titolo di studio - assegnato a priori, una volta per tutte, in base a un elenco di titoli di corsi - con un sistema di certificazioni a posteriori o accreditamento basato su tre criteri, valore culturale del titolo proposto, sua rispondenza a esigenze sociali o economiche e adeguatezza delle risorse messe a disposizione dagli Atenei. L'accreditamento nazionale è necessario nella misura in cui il sistema di istruzione superiore utilizza risorse pubbliche da un lato e si pone come garante della qualità dell'istruzione offerta dall'altro. Tuttavia, nel quadro dell'autonomia è indispensabile che i requisiti comuni siano effettivamente minimi, ma soprattutto che le procedure di avviamento di nuovi corsi e le variazioni dei corsi tradizionali possano svolgersi senza le lentezze e le rigidità del sistema vigente.

      7) La flessibilità è garantita da un sistema di crediti, che costituiscono il settimo principio operativo. I crediti sono unità di misura standardizzate dell'esperienza conoscitiva acquisita che possono essere spesi in diversi livelli e ordini di studi. L'adozione del sistema dei crediti non è un puro e semplice cambio di etichetta, ma costituisce l'accettazione di un principio estremamente importante che è la riutilizzabilità di tutti gli investimenti formativi innanzitutto nell'ambito del sistema universitario, ma anche, nelle prospettive indicate dal 'patto per il lavorò del settembre 1996, nel quadro della costruzione di un sistema integrato di certificazione delle competenze professionali che riguarda sia l'università, sia gli altri settori del sistema formativo, sia lo stesso mercato del lavoro.

      8) L'insieme di questi principi dovrebbe permettere ai singoli atenei una ampia capacità di iniziativa e trasformare l'insieme dell'istruzione superiore italiana da un sistema dall'alto, basato su criteri di pianificazioni a un sistema stimolato da iniziative dal basso, in cui "è permesso tutto ciò che non è vietato", che costituisce l'ottavo principio operativo. I necessari indirizzi centrali non devono frenare l'iniziativa locale e si devono piuttosto orientare verso procedure di responsabilizzazione delle risorse locali e nella diffusione dei modelli di best practices. Si tratta di utilizzare anche in questo campo il principio di contrattualità, che deve informare i rapporti tra singolo ateneo e soggetti - in primo luogo lo Stato - che concorrono al suo finanziamento. Infine le iniziative didattiche non finalizzate al conferimento di titoli di studio riconosciuti sono assunte dalle università in totale autonomia purché' l'assenza del requisito di riconoscimento sia chiaramente indicata. Tuttavia anche queste iniziative possono inserirsi nel sistema dei crediti riutilizzabili.

      9) Per contro è evidente che un sistema basato su questi principi è anche un sistema che richiede una regolazione più sofisticata e pertanto il nono principio operativo che viene proposto è quello della valutazione. La valutazione è già parzialmente avviata, e quindi non ha bisogno di essere proposta se non per sottolineare alcuni punti che rischiano di andare persi o di essere stravolti nell'applicazione e per ribadire che il meccanismo della valutazione è un perno di un sistema di istruzione superiore basato sull'autonomia dei singoli atenei e dei singoli docenti. Maggiore è l'autonomia, più stringente deve essere l'obbligo da parte dei soggetti di confrontarsi con una valutazione anche esterna del proprio funzionamento.

      10) All'autonomia deve corrispondere un rafforzamento della funzione di governo e questo costituisce il decimo principio operativo. Governo significa capacità di conoscenza, di indirizzo, di coordinamento e di verifica dei risultati. Tali capacità risultano necessarie per garantire, a livello centrale e locale, il governo dei processi di mutamento in atto e l'utilizzazione delle risorse per incentivare il sistema verso determinati obiettivi ritenuti primari. Tra queste conoscenze deve trovare luogo, oltre a un Osservatorio dei dati del sistema, gia' attivo, anche un osservatorio della domanda. Il sistema di incentivi basato sulla valutazione deve quindi accompagnarsi anche a una capacità conoscitiva di scenari, che peraltro il MURST può concordare anche con altri ministeri.

3. Le principali linee di intervento. La proposta del Gruppo di Lavoro

      Partendo da questo insieme di premesse il Gruppo di lavoro ritiene che si debba intervenire con una serie di provvedimenti specifici, ma collegati che riguardano i seguenti aspetti del sistema

A) I crediti didattici nel sistema universitario

B) Struttura dell'ordinamento didattico

C) La valutazione

D) L'orientamento

E) Coordinamento territoriale e differenziazione competitiva

F) I collegamenti con gli altri i sistemi europei

G) Conoscenze per il governo del sistema

 

A) I crediti didattici nel sistema universitario

1. La definizione legislativa

      Nella legge n. 341/90 i crediti didattici sono introdotti dal comma 2 dell'art. 11. In base ad esso le strutture didattiche assegnano ad ogni insegnamento un credito che viene "riscosso" da studenti e studentesse iscritti al corso di insegnamento e che abbiano superato la corrispondente prova di esame. La studentessa o lo studente è quindi ammesso all'esame finale del corso di studi (diploma universitario, laurea, specializzazione, ecc.) quando abbia totalizzato una somma di crediti non inferiore a quella stabilita per i singoli corsi.

2. L'applicazione di un sistema di crediti nella rete universitaria italiana

      A sette anni di distanza dall'emanazione di una legge che è rimasta pressoché inattuata, l'articolarsi delle autonomie dei singoli atenei, la maggiore complessità dei percorsi formativi, la domanda, proveniente da una pluralità di soggetti, di una loro maggior flessibilità e fruibilità, i rapporti da favorire e incrementare tra le istituzioni universitarie sia italiane che europee, la necessità di una codificazione comune, impongono che il sistema dei crediti sostituisca la definizione dei corsi di studi che oggi è in annualità e in ore.

      Per evidenti ragioni di praticabilità e di omogeneità sarebbe opportuno che esso fosse coerente con l'ETCS, anche se potrà essere opportuno che i singoli raggruppamenti disciplinari apportino i cambiamenti suggeriti dal trasferimento di un sistema come l'ETCS, studiato per rendere parte integrante dell'esperienza formativa di studentesse e studenti gli studi all'estero, alle singole realtà disciplinari del nostro paese.

      I crediti secondo l'ETCS sono valori numerici (tra 1 e 60) associati alle unità di corso per descrivere il carico di lavoro richiesto a studentesse e studenti per completarle. Essi devono riflettere la quantità di lavoro totale che ciascuna unità di corso richiede in relazione alla quantità totale di lavoro necessaria nell'istituzione per completare un anno accademico di studio, comprese le lezioni, il lavoro sperimentale e pratico, i seminari, i tutorial, gli elaborati, i tirocini, gli stages, lo studio individuale, le tesi, gli esami e le altre attività di valutazione. I crediti in altre parole si basano sul lavoro totale degli studenti e non si limitano a valutare unicamente le ore di didattica impartita.

      Uno stesso insegnamento può avere una certa misurazione in termini di crediti se è utilizzato all'interno di un corso di studi e un'altra se utilizzato in curriculi diversi. Come principio generale, la determinazione del singolo credito dovrebbe spettare alla struttura didattica cui appartengono la studentessa o lo studente, mentre compito della struttura che li accoglie temporaneamente dovrebbe essere quello di definire i prerequisiti per l'ammissione. Trasferendosi da un ateneo all'altro, dovrebbe sempre essere la struttura che accoglie (e cioè la nuova struttura di appartenenza) a decidere quali crediti acquisiti, siano da riconoscere e accettare. Gli stessi principi generali di possibilità di utilizzazione di crediti acquisiti e di loro valutazione da parte delle strutture che devono accogliere studentesse e studenti, dovrebbero essere applicati nei passaggi da corsi di livello diverso: da diploma a laurea, da laurea a diploma, ecc.

      La validità del sistema dei crediti all'interno dello stesso ateneo andrebbe garantita da riferimenti allo Statuto e ai Regolamenti didattici; i rapporti con l'esterno - tra ateneo ed ateneo, tra ateneo ed enti non appartenenti al sistema universitario - andrebbero garantiti e ratificati dagli organi accademici coinvolti.

3. Sistema dei crediti e innovazione

      Il sistema dei crediti offre una serie di opportunità dotate di una notevole carica innovativa:

- è uno strumento per controllare in modo accurato e confrontabile i carichi didattici e la loro distribuzione sia tra i docenti che tra gli studenti, consentendo di spostare l'ottica dall'insegnamento all'apprendimento;

- sostituisce al concetto della frequenza obbligatoria quello di frequenza finalizzata agli obiettivi dello studente;

- permette una maggiore mobilità degli studenti che possono muoversi con maggiori disponibilità di scelte nei loro percorsi didattici sia tra facoltà diverse dello stesso ateneo, sia tra diversi atenei, sia tra i diversi livelli di corsi di studi (diploma, laurea, corsi di perfezionamento, specializzazioni, ecc.);

- accentua la modalità dei corsi consentendo ai docenti di costruire proposte didattiche che accedono a tipologie composite (lezioni a fronte, insegnamento a distanza, utilizzazione di tecnologie mediatiche) e che meglio si adattano alle esigenze di una popolazione studentesca estremamente differenziata;

- la sua attuazione implica uno sviluppo della collegialità delle decisione tra i docenti e un confronto sui temi della didattica con il corpo studentesco;

- fa intravedere la possibilità di organizzare percorsi di studi flessibili, innovativi rispetto a quelli consolidati e rispondenti alle esigenze di piccoli gruppi;

- può stabilire raccordi interessanti con enti estranei all'Università, quali strutture formative post secondarie (ad esempio Accademie di Belle Arti, Conservatori musicali, Musei, istituti regionali, ecc.) o enti di ricerca, imprese e amministrazioni pubbliche o enti locali che accendano tirocinii o stages;

- può essere uno strumento utile per stabilire raccordi e scambi tra i percorsi universitari e la rete di formazione post secondaria.

4. Sistema di crediti e formazione permanente

      Il sistema dei crediti mostra interessanti possibilità anche di fronte alle esigenze di aggiornamento e di rinnovo dei contenuti delle conoscenze e delle competenze: insomma rispetto al problema dell'istruzione permanente, intesa non soltanto come fatto "culturale" ma come strumento di lavoro.

      In ogni settore professionale il "capitale" di istruzione accumulato dal singolo durante il processo formativo, è un bene rapidamente deperibile con l'usura e il trascorrere del tempo. Sappiamo anche che l'individuo assorbe dalla società in cui vive conoscenze ed esperienze escluse dai suoi percorsi formativi istituzionali: compito di un sistema di istruzione universitaria moderna sarà sempre più quello di ricostituire, rinnovare, rendere esplicito, arricchire periodicamente questo "capitale". I crediti, accumulati da un individui e distinti a questo riguardo in crediti didattici e crediti formativi e/o professionali, potrebbero rappresentare una misura del capitale disponibile ed indicare, di volta in volta, gli aggiustamenti necessari.

 

B) Struttura dell'ordinamento didattico

1. Tipologia dei corsi universitari

1.1 Le strutture didattiche universitarie finalizzate al conferimento di titoli di studio riconosciuti a livello nazionale si articolano, come previsto dalla normativa attualmente in vigore, su tre livelli:

1°) Diploma universitario;

2°) Laurea;

3°) Scuola di specializzazione e Dottorato.

Per singoli settori, nei relativi Criteri generali, ovvero nell'ordinamento dei singoli Atenei, potranno essere inoltre previsti:

- Un livello intermedio detto certificato universitario di base (c.u.b.) , non finalizzato ad una specifica professionalità, attestante l'avvenuta acquisizione di almeno 120 crediti; il c.u.b. può essere comune a una pluralità di Lauree, ed eventualmente di Diplomi universitari, con una possibile differenziazione limitatamente a una parte ridotta di crediti.

- Un livello post-diploma o post-laurea con impegno corrispondente ad almeno 60 crediti, costituiti in parte da attività di stage o comunque a carattere professionalizzante; esso può assumere una denominazione quale master (se si segue la terminologia anglosassone) o diploma di studi superiori specialistici (terminologia francese) o altra analoga.

1.2 L'art.17, comma 95, della l. n.127 del 1997 prevede che l'ordinamento didattico dei Diplomi universitari, delle Lauree e delle Scuole di specializzazione, che definiamo come corsi, venga disciplinato dalle Università in conformità a Criteri generali che ne definiscano le caratteristiche essenziali. Qui di seguito vengono fornite indicazioni relative a tali Criteri.

      Si ritiene peraltro opportuno inserire tali indicazioni in un quadro di riferimento più generale, relativo anche a iniziative didattiche non finalizzate a titoli riconosciuti e perciò non prescrittivo.

a) I cicli di durata elevata devono prevedere sistematicamente, per chi non li concluda, l'utilizzabilità di tutto il percorso compiuto positivamente, o perlomeno di una larga frazione di esso; va pertanto favorita una struttura di curricoli organizzata su una pluralità di livelli successivi. Conseguentemente, nell'allocazione delle risorse da parte di ogni università, ivi inclusa l'assegnazione dei compiti didattici istituzionali ai professori, vengono prese in considerazione al medesimo titolo le attività in tutti i livelli previsti.

b) Circa il Dottorato, curricolo specificamente indirizzato alla ricerca e pertanto chiaramente differenziato dalla Scuola di specializzazione indirizzata a professioni, esso non deve essere orientato solo verso l'ambiente accademico, né rappresentare un gradino nella relativa carriera; anche attraverso intese con il sistema produttivo, vanno potenziate le valenze del Dottorato orientate verso la ricerca applicata.

c) I piani di studio devono essere costruiti in modo che le attività didattiche previste, sommate con il necessario studio individuale, consentano a studenti e studentesse capaci e diligenti di giungere al traguardo, con un impegno serio ma ragionevole, nei tempi stabiliti.

d) Le scelte di studenti e studentesse vanno favorite mediante un attivo impegno dell'istituzione universitaria nelle azioni di orientamento. Ciò richiede non solo specifici interventi, in particolare in termini di tutoring, ma anche una struttura curricolare che, anziché separare nettamente fin dall'inizio le diverse opzioni, attui una differenziazione progressiva.

e) Un corso, così come ogni altra iniziativa didattica, può essere attivato congiuntamente da due o più università; apposita convenzione tra le stesse definisce le relative modalità.

1.3 La struttura di ogni corso è definita in termini di crediti, nella misura di 60 crediti per ogni anno - riferito agli impegni di uno studente o una studentessa a tempo pieno - o 30 per ogni semestre. L'organizzazione del curricolo in termini di crediti determina la flessibilità del sistema e consente percorsi individuali variamente organizzati, anche per studenti e studentesse a tempo parziale; le durate di cui al successivo punto 1.4 sono pertanto da interpretare in anni o semestri "equivalenti".

      Nella individuazione quantitativa dei crediti, viene tenuto conto, in coerenza con la normativa europea ECTS, del carico didattico complessivo previsto per studenti e studentesse, comprendente i tempi ritenuti necessari per la preparazione alle prove di valutazione e per l'elaborazione di tesi ed altri elaborati quando richiesti.

      I regolamenti didattici deliberati dagli Atenei relativamente a ciascun corso disciplinano la ripartizione dei crediti, previsti per l'ammissione all'esame finale, fra le diverse attività richieste, sia per quanto riguarda le aree disciplinari, sia per quanto riguarda le modalità didattiche adottate; in particolare, indicano l'ammontare in crediti delle attività didattiche di tipo seminariale, di tutorato, di orientamento, di stages esterni. Annualmente, il "manifesto degli studi" rende note le attività didattiche organizzate e il corrispondente valore in crediti.

      I regolamenti didattici disciplinano inoltre le modalità con cui studenti e studentesse chiedono il riconoscimento - e le strutture didattiche riconoscono - i crediti relativi ad altre attività formative svolte entro e fuori delle università.

1.4 La durata di ogni Diploma universitario è compresa tra 2 e 3 anni, di ogni Laurea è compresa tra 4 e 6 anni, di ogni Scuola di specializzazione è di almeno 2 anni; i Criteri relativi ad ogni corso individuano specificamente tale durata, eventualmente in termini di semestri (rispettivamente da 4 a 6; da 8 a 12; almeno 4). Rispetto a tali durate, sono consentite abbreviazioni in relazione a crediti riconosciuti.

1.5 Iniziative didattiche non finalizzate al conferimento di titoli di studio riconosciuti sono assunte dalle università in totale autonomia; l'assenza della indicata finalità deve essere resa pubblica e va precisata nel manifesto degli studi e in ogni comunicazione esterna o documento ufficiale relativo a tali iniziative. I crediti eventualmente acquisiti nell'ambito delle iniziative stesse sono utilizzabili ai fini di corsi conferenti titoli riconosciuti, nel quadro delle modalità di carattere generale di applicazione del sistema dei crediti.

2. Struttura generale del sistema curricolare

I provvedimenti nazionali relativi agli ordinamenti didattici, adottati entro i limiti stabiliti dall'art.17 della l. n.127 del 1997, e i provvedimenti di competenza degli atenei relativi a tali ordinamenti sono finalizzati alla costruzione di un sistema didattico che dovrà rispondere alle finalità indicate nel paragrafo 1.2 - v. in particolare a), c), d) -. Per conseguire tali finalità, il sistema curricolare, quale struttura standard offerta dalle Università, assume la forma illustrata nel seguito. Peraltro, come già indicato, mediante l'utilizzazione dei crediti in una logica di flessibilità, ogni Ateneo può proporre, e ogni allievo può costruirsi modularmente, percorsi diversi.

      Si ravvisa l'opportunita', per evitare una troppo precoce scelta curricolare, di prevedere la possibilita' di un anno iniziale. L'anno iniziale può rappresentare un curricolo totalmente, o in larga misura, comune per un'intera area, anche trasversale rispetto alle attuali facoltà - cioè per grandi blocchi di Diplomi universitari e di Lauree accorpati -, o comunque per una pluralità di Diplomi universitari o di Lauree. I criteri relativi alle diverse aree fornirebbero indicazioni di massima sugli accorpamenti e definirebbero le caratteristiche fondamentali di tale anno.

      Il Gruppo di Lavoro ha dibattuto a lungo l'opportunita' di suggerire l'istituzione di questo anno iniziale. Il Gruppo, tuttavia, pur ravvisando l'opportunita' di ipotizzare un periodo teso ad evitare una troppo precoce scelta curricolare, non e' unanime nel considerare il progetto di un anno iniziale, come immediatamente realizzabile in tempi brevi e per tutte le aree e nel ritenerlo coerente con l'obiettivo di riduzione temporale della durata degli studi altrove affermata, ma unanimemente ne suggerisce come auspicabile la sperimentazione ovunque venga ritenuta opportuna.

      I corsi si diversificano, dopo l'eventuale anno iniziale, secondo le seguenti possibilità.

1°) Corso di Diploma universitario autonomo. Chi ha conseguito un Diploma universitario deve avere comunque a disposizione un piano di studi verso una Laurea tale da consentirgli una congrua abbreviazione del relativo curricolo tramite l'utilizzazione di crediti acquisiti.

2°) Corso di Laurea, possibilmente con la presenza, all'interno del relativo curricolo, di un traguardo intermedio. Tale traguardo può essere costituito o da un Diploma universitario collocato "in serie", o da un c.u.b. - v. 1.1 -.

      La Laurea è finalizzata alla preparazione, culturale e professionale, in un ampio settore scientifico o tecnico ed ha di norma durata quadriennale; approfondimenti ulteriori possono svilupparsi, oltre che nel Dottorato finalizzato alla ricerca di base e/o applicata, nella Specializzazione o nel master (o denominazione analoga). Tali iniziative didattiche, che devono essere considerate, così come altri corsi di aggiornamento e di perfezionamento, anche nella prospettiva della formazione permanente o ricorrente, costituiscono una opportunità di completamento della preparazione in direzione professionalmente mirata, fermo restando che in molti casi la Laurea ha anch'essa, in termini meno specialistici, una valenza professionale.

      Una durata della Laurea di oltre quattro anni è accettabile solo quando ciò sia imposto da normative europee o sia reso necessario da particolari esigenze didattiche, che non possano essere soddisfatte con i corsi post-lauream; in tali casi si raccomanda fortemente che nel curricolo sia prevista la presenza di un Diploma universitario "in serie".

3) Organizzazione e contenuti minimi qualificanti del curricolo

3.1 In attuazione di quanto disposto dalla l. n.127 del 1997, i Criteri relativi a ogni corso individuano esclusivamente:

a) le principali caratteristiche culturali e professionali della figura che il corso si propone di formare;

b) la durata, in anni o in semestri, prevista per studenti e studentesse a tempo pieno, con la conseguente definizione del numero di crediti secondo quanto previsto in 1.3; tale importo di crediti costituisce il punto di riferimento per studenti e studentesse che siano a tempo parziale o che seguano percorsi diversi dal curricolo standard;

c) il numero di annualità, inteso come numero di insegnamenti annuali "equivalenti", ferma restando la facoltà per ogni università di articolare tali annualità in moduli di diversa lunghezza e peso;

d) il numero minimo di crediti, ovvero di annualità, da acquisire obbligatoriamente o in specifici settori scientifico-disciplinari o globalmente in aree disciplinari più vaste comprendenti una pluralità di settori affini; il totale dei crediti indicati come obbligatori non può superare la metà del totale e deve comprendere in misura adeguata aree disciplinari diverse dall'area cui il corso fa direttamente riferimento o che in esso è prevalente;

e) l'eventuale obbligatorietà di attività extramurali, in particolare di tirocini e stages, e le regole generali relative a tali attività.

      Il controllo ministeriale sugli atti normativi approvati dalle Università è limitato alla verifica della conformità rispetto ai Criteri sopra indicati.

3.2 Nel rispetto dei Criteri di cui in 3.1, l'ordinamento didattico e l'assetto organizzativo dei corsi sono autonomamente definiti dalle università, che - conformemente ai principi di contrattualità rispetto agli allievi e di trasparenza - individuano altresì gli organi responsabili dei conseguenti adempimenti e le forme di pubblicità e di verifica. In particolare, le università disciplinano:

- la caratterizzazione di ognuno dei corsi, con riferimento anche alla specificità della sede, e conseguentemente la collocazione dei corsi entro le facoltà ovvero la loro configurazione quali corsi di Ateneo, o comunque facenti capo a più facoltà;

- le modalità per l'attribuzione ai professori dei loro compiti didattici istituzionali, nell'ambito del settore scientifico-disciplinare di appartenenza, in uno o più corsi, al fine della piena ed efficace utilizzazione di ogni docente;

- le procedure per garantire, attraverso una programmazione didattica collegiale, il coordinamento degli insegnamenti in relazione alle finalità culturali e professionali individuate per il corso;

- il numero di crediti, comunque non inferiore a 30 per una Laurea e a 20 per un Diploma universitario, che possono essere liberamente scelti da ogni singolo studente o studentessa anche in diverse facoltà;

- l'articolazione degli insegnamenti e delle altre attività didattiche, in forme tali da favorire una adeguata presenza di attività individualizzate o comunque interattive;

- il tutorato e le altre iniziative rivolte a studenti e studentesse per migliorare le loro capacità di apprendimento;

- le prove di valutazione, sia intermedie all'interno dei singoli insegnamenti sia conclusive; queste ultime possono riguardare globalmente una pluralità di insegnamenti e devono essere previste in numero compatibile con la possibilità di sostenerle al termine di ognuno dei semestri o anni (indicativamente, non più di tre per semestre).

      Le norme di attuazione potranno prevedere scadenze differite, da due a quattro anni, per l'introduzione da parte delle università di alcune delle innovazioni introdotte.

      Nel periodo transitorio, una quota delle risorse destinate agli atenei dovrà essere specificamente riservata a quelle università che abbiano già adottato tali innovazioni.

      Analoghe forme di incentivazione potranno essere previste per altre iniziative che gli atenei ritengano di assumere nelle direzioni suggerite, in particolare per quelle che consentano, senza riduzione della qualità, una maggior corrispondenza tra durata teorica e durata effettiva degli studi.

 

C) La valutazione

      La valutazione è una conseguenza necessaria e non eludibile della scelta autonomistica fatta. Il passaggio da un Ministero che governa ad uno che indirizza comporta di necessità il monitoraggio e controllo dell'efficienza nell'auto-governo, dell'efficacia dei processi e della qualità dei prodotti. È la stessa ratio del provvedimento fondativo dell' autonomia universitaria, l'art. 5 della l. 537/93, a rimandare al fatto che non ci può essere autonomia senza responsabilità nè responsabilità senza valutazione.

      Sebbene siano stati ormai istituiti nuclei di valutazione presso oltre il 90% delle università, essi lavorano in modo diseguale e nel complesso la attività di valutazione interna non può non essere giudicata ancora largamente insoddisfacente. In particolare, si deve sottolineare la ancora insufficiente diffusione di pratiche di valutazione della didattica da parte degli studenti, che pure è essenziale a quell'ottica di customer satisfaction che è una delle linee lungo le quali si articola il ragionamento svolto in precedenza in questo documento. Altrettanto scarse appaiono sin qui le attività di valutazione del personale tecnico ed amministrativo, che rappresentano a loro volta un momento certo non accessorio della strategia di recupero di efficacia ed efficienza che deve essere alla base dell'auto-governo degli atenei.

      Ma se è importante una piena operatività degli organismi di valutazione interna, occorre altresì ribadire l'importanza assolutamente centrale che riveste la valutazione esterna nell'ambito del nuovo modello di relazione che si stabilisce tra MURST e singola istituzione universitaria. Essa costituisce infatti un complemento indispensabile della auto-valutazione, specie alla luce delle opportune garanzie che devono essere offerte, nell'ambito dell'autonomia, agli utilizzatori dei prodotti e servizi universitari e, più in generale, alla società. Sebbene l'Osservatorio per la valutazione del sistema universitario italiano abbia svolto un ruolo di parziale supplenza in questo campo, esso è stato finora caricato di una moltitudine di altri compiti che fuoriescono dalla valutazione esterna. D'altronde, non sembrano sin qui compiutamente precisati per questa struttura le competenze ed i contorni operativi che sarebbero desiderabili per una organica attività di valutazione esterna, nè il quadro di certezze (procedure, obiettivi ed effetti) che è necessario per una positiva interazione tra valutazione esterna ed interna.

      Si pone pertanto l'esigenza di dare compiuta definizione istituzionale ed operativa ad un organismo di valutazione esterna che, sul modello di quanto già avviene nella maggior parte dei paesi europei, sia incaricato di periodiche attività di valutazione ex post delle singole istituzioni. Tale compito potrebbe essere inquadrato in un'ottica più generale di contrattualizzazione del rapporto fra MURST e singolo ateneo e trovare nell' accordo di programma, previsto dal comma 6 della l.537/93, lo strumento operativo più idoneo per una filosofia che voglia integrare la valutazione interna con quella esterna. In tale prospettiva, a fronte di obiettivi definiti e di risorse addizionali, la singola università si sottoporrebbe a valutazione esterna volta ad accertare se e in quale misura gli obiettivi previsti dal contratto sono stati raggiunti.

      Infine occorre segnalare che, anche in base al ragionamento svolto in precedenza in relazione alla contrattualità del rapporto studente-ateneo, alla differenziazione competitiva fra università ed alla adozione del sistema di crediti ETCS, appare urgente procedere nel campo della valutazione della qualità, sin qui largamente trascurato. Si suggerisce dunque che, per certificare dal punto di vista qualitativo i prodotti e servizi formativi e di ricerca via via realizzati, sia interesse degli stessi atenei promuovere attività interne di valutazione della qualità e richiedere delle periodiche valutazioni esterne in questo campo .

 

D) L'ORIENTAMENTO.

      L'orientamento fino ad alcuni anni fa è stato scarsamente presente nelle università italiane. Le attività si riducevano quasi esclusivamente alla diffusione di informazioni sui corso di laurea e a qualche contatto sporadico con le scuole. Negli ultimi anni, grazie all'iniziativa della Conferenza dei Rettori, delle Regioni e di alcune università, si è sviluppata una riflessione abbastanza approfondita sulle caratteristiche e gli obiettivi dell'orientamento e sono state sperimentate nuove attività.

      Recentemente il Ministero della Pubblica Istruzione e il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica hanno prodotto un documento generale sull'orientamento e la diffusione delle informazioni, approvato dalla Commissione Interministeriale, di cui all'art. 4 della legge n. 168/89, il Ministro ha inviato alle scuole ed alle università due atti di indirizzo, nei quali vengono indicati principi, obiettivi generali e azioni auspicabili, e viene richiesto di avviare il prima possibile tali azioni con lo scopo di avere elementi per definire nuovi modelli di strutture e di attività efficaci di orientamento, nel contesto di un sempre maggiore coordinamento interistituzionale.

      Infine i due Ministeri hanno destinato risorse e promosso iniziative per favorire il raggiungimento di tali obiettivi, in particolare nel campo della formazione degli insegnanti delle scuole, in quello della ricerca/azione su temi rilevanti per l'orientamento, quali le forme di verifica ed il collegamento con le attività didattiche, e in quello dei collegamenti organizzativi e telematici fra diverse istituzioni educative e fra queste e suggelli pubblici e privati interessati all'orientamento ed alla qualificazione professionale.

      Queste iniziative ministeriali devono essere valutate positivamente. In particolare, risulta rilevante la nuova definizione di orientamento contenuta nel documento approvato dalla Commissione Ministeriale. In tale documento è scritto "l'orientamento consiste in un insieme di attività che mirano a formare o a potenziare nei giovani capacità che permettano loro non solo di scegliere in modo efficace il proprio futuro, ma anche d partecipare attivamente negli ambienti di studio e di lavoro scelti. Tali capacità riguardano, infatti, la conoscenza di se stessi e della realtà sociale ed economica, la progettualità, la organizzazione del lavoro, il coordinamento delle attività, la gestione di situazioni complesse, la produzione e la gestione di innovazione, le diverse forme di comunicazione e di relazione interpersonale, l'auto-aggiornamento ecc.. Una definizione più precisa di tali capacità è di competenza delle singole strutture educative, in riferimento all'ambiente in cui esse sono presenti; le capacità indicate sono rilevanti in un periodo storico nel quale i mondi vitali sono indeboliti, favoriscono una partecipazione sempre più matura ai processi educativi e, successivamente, costituiscono componenti necessarie della cittadinanza e della professionalità.". Tuttavia, si deve constatare che alle indicazioni ed alle iniziative ministeriali ancora non corrisponde una effettiva diffusione di attività e di strutture per l'orientamento, articolate in diverse dimensioni rilevanti per gli studenti e le studentesse (diffusione di informazioni utili, sostegno alla scelta degli studi o del lavoro, formazione culturale, abilitazione ad una partecipazione attiva, avvicinamento al lavoro ecc.), nè una istituzionalizzazione delle attività in collegamento con quelle didattiche e di ricerca.

      L'orientamento può acquisire queste caratteristiche se viene assunto come una delle dimensioni dell'autonomia scolastica ed universitaria realizzata pienamente, e nello steso tempo può contribuire a tale realizzazione. Infatti l'autonomia, intesa in modo corretto, implica un aumento di responsabilità rispetto ai processi ed ai risultati e costituisce uno strumento per accrescere le relazioni orizzontali fra istituzioni educative, secondo la logica della rete, e le interazioni fra queste ed i soggetti istituzionali e privati esterni o fra centro e strutture locali della pubblica amministrazione. L'attenzione alle caratteristiche degli studenti e delle studentesse ed ai bisogni di professionalità e di cultura a livello locale e nazionale, per costruire una adeguata offerta di istruzione superiore, rilevante e significativa nella società contemporanea, costituisce il fondamento e la sostanza della nuova concezione dell'orientamento.

      Per il raggiungimento effettivo di tali obiettivi e quindi per una piena realizzazione dell'autonomia didattica, appare opportuno che le università e le strutture centrali del Ministero tengano presenti, nell'attuale fase di transizione, i seguenti criteri generali, che devono essere considerati, ed eventualmente utilizzati, unitariamente:

a) le decisioni relative alla creazione di nuove strutture didattiche (corsi di laurea, diplomi, modalità di specializzazione post-laurea ecc.) e quelle relative ai programmi, agli ordinamenti ed agli statuti didattici devono tener conto oltre che delle esigenze delle discipline e degli interessi di ricerca dei docenti anche delle caratteristiche iniziali degli studenti e delle studentesse (motivazioni, aspirazioni, conoscenze e capacità possedute);

b) l'offerta di istruzione superiore deve essere definita anche attraverso una interazione delle università con istituzioni e soggetti economici locali e nazionali, con un ruolo attivo e di autonomia decisionale da parte delle università. Ciò permette, inoltre, l'individuazione di nuove risorse per università e la migliore utilizzazione di quelle disponibili;

c) le università devono garantire l'apprendimento necessario per una crescita personale e per una qualificazione professionale, individuando anche le opportune modalità di formazione culturale e in relazione alle capacità relazionali, alla deontologia ed alle competenze riguardanti l'organizzazione delle attività di lavoro qualificato;

d) le facoltà devono definire periodicamente standard di qualità ed obiettivi specifici, di tipo didattico e culturale, da raggiungere sulla base di una analisi adeguata delle situazioni esistenti e dei risultati ottenuti fino ad ora. Tali indicazioni devono essere contenute in un documento programmatico che deve essere previsto dai regolamenti didattici di ateneo e di facoltà. Per quanto riguarda le strutture e le attività di orientamento, le università devono compiere delle scelte per individuare le iniziative che abbiano il valore strategico di avviare processi, tenendo conto anche della scarsità di nuove risorse disponibili;

e) rispetto agli obiettivi di formazione culturale e di qualificazione professionale prefissati, e con particolare riferimento all'orientamento, le università devono verificare l'efficacia delle iniziative realizzate e delle risorse destinate, acquisendo conoscenze sugli esiti degli studi ed utilizzando tali conoscenze per informare gli studenti e per riprogettare eventualmente le attività didattiche;

f) le università devono assumersi la responsabilità di favorire il passaggio verso il ruolo lavorativo, per garantire che l'individuazione delle specifiche vocazioni e dei più capaci non sia distorta da condizionamenti strutturali negativi;

g) per la realizzazione di attività di orientamento alla scelta università o della facoltà le università dovrebbero seguire una codice di autoregolamentazione, da loro stesse definito, ad esempio, nell'ambito della Conferenza dei Rettori, per evitare forme di concorrenza o di marketing di basso livello, che disorientano e danneggiano le giovani e i giovani;

h) all'incremento di attività di orientamento, affinché queste siano pienamente efficaci nel contesto dell'autonomia, deve corrispondere una serie di modificazioni strutturali ed organizzative nelle università e nelle facoltà. Lo sviluppo capillare di attività di tutorato didattico e di tutorato per l'orientamento, la modificazione della comunicazione interna ed esterna, con l'utilizzazione di informazioni e conoscenze periodiche sui risultati raggiunti, la programmazione concordata della attività e della destinazione di risorse, un ruolo attivo degli studenti, lo sviluppo di servizi per la partecipazione degli studenti, la formazione e la didattica, un più articolato impegno dei docenti, con l'attribuzione di responsabilità precise, e un migliore collegamento fra ricerca scientifica, qualificazione professionale e formazione culturale, sembrano essere le realtà rispetto alle quali viene esercitata un'autonomia responsabile e che costituiscono condizioni istituzionali congrue con le nuove funzioni dell'orientamento e tali renderlo maggiormente efficace

E) Coordinamento territoriale e differenziazione competitiva

      1. La realizzazione concreta del principio dell'autonomia universitaria deve essere preceduta e costantemente accompagnata dalla identificazione delle finalità che si intendono raggiungere attraverso tale condizione. Se uno dei compiti principali collegati all'autonomia è quello di migliorare le caratteristiche dell'offerta formativa ne deriva che debbano (e noi riteniamo che possano) essere approfondite le caratteristiche di differenziazione competitiva e, ad un tempo, di cooperazione territoriale tra gli atenei.

      L 'autonomia degli atenei diviene concretamente reale solo se essi vengono messi in grado di perseguire la qualità all'interno dei propri orientamenti disciplinari e delle specificità scientifiche che li caratterizzano.

      D'altro canto, la competitività fra atenei va intesa, preliminarmente, sotto forma di incentivi alla trasparenza e alla diffusione delle informazioni relative alle caratteristiche delle istituzioni formative che possono essere di aiuto in special modo agli utilizzatori delle stesse, dunque agli studenti.

      Occorre provvedere in particolare alla fornitura di elementi di conoscenza relativi alle peculiarità delle singole istituzioni, come anche all'insieme dell'offerta formativa a livello terziario in un contesto geograficamente riconoscibile per la gravitazione dell'utenza. Occorrerà dunque, sia misurare la capacità ricettiva delle singole istituzioni, le loro specificità disciplinari, e le politiche culturali e scientifiche che le caratterizzano, sia offrire elementi di conoscenza relativi al complesso dell'offerta formativa presente in un'area di gravitazione della domanda (determinata per lo più da convenienze logistiche e da tradizioni di preferenza nei confronti di centri universitari ad offerta multipla).

      Queste politiche informative devono poter fornire quadri complessivi e indicazioni di percorsi alternativi possibili, derivanti dalla pluralità dell'offerta (comprendendo i DU, gli istituti di formazione professionale, i Master e i Dottorati di ricerca) all'interno di bacini di utenza preesistenti.

      Dette politiche devono altresì consentire la flessibilità degli itinerari formativi individuali, frutto di combinazioni molteplici di moduli e aggregazione di crediti variamente acquisiti.

      L'offerta formativa a livello locale dovrà, dal canto suo, tendere ad adeguarsi alle caratteristiche del mercato del lavoro e della economia del territorio, come anche dovrà fare riferimento al genere di utilizzatori potenziali, allo scopo di consentire la creazione di veri rapporti di contrattualità tra soggetti e istituzioni.

      2. La logica dell'autonomia delle sedi comprende anche la possibilita' di favorire la qualita'della specificita'dei singoli atenei attraverso politiche che ne qualifichino l'immagine sia in termini di condizioni di funzionamento (qualita'del processo) sia in termini di caratteristiche dei risultati delle attivita'didattiche e scientifiche (qualita'del prodotto). Perche'cio'avvenga sono necessarie alcune pre-condizioni che favoriscano la ricerca del buon funzionamento generale e, ad un tempo, della qualità delle prestazioni all'interno di un quadro prederminato di regole generali, tese a garantire condizioni di partenza eque e di estrinsecazione delle attivita'accademiche secondo le forze e le capacita'proprie a ciascun ateneo.

      In particolare, devono essere considerati tre settori, relativi a: (a) le politiche di accesso degli studenti alle strutture d'istruzione superiore; (b) le possibilita'di autonoma sperimentazione della didattica e, più in generale,di nuove modalità nell'offerta di diversi servizi che attengano alla qualità della vita dei soggetti che a vario titolo spendono buona parte della loro vita nell'ateneo; (c) la ridefinizione dello stato giuridico e le modalita'di reclutamento dei docenti-ricercatori.

      Va altresi'considerata la possibilita'di sostenere con incentivi i progetti innovativi, considerati di particolare validita', ove questi fossero presentati da atenei dislocati in aree periferiche e non particolarmente ricche di potenziali sostegni in loco (ove se ne verifichi la bonta'progettuale e l'utilita' per categorie di possibili utenti) .

      3. In una seconda fase, si ritiene opportuno che - individuati i bacini di utenza - si dia vita a forme consortili tra gli istituti di formazione superiore ad essi appartenenti al fine di elaborare modelli di coordinamento dell'offerta, e percorsi formativi tesi ad ottimizzare l'uso delle strutture e l'articolazione dei curricoli individuali.

      L'utilità di simili iniziative si sostanzia nella tendenza a innalzare la qualità dell'offerta e a favorire la sua distribuzione omogenea sul territorio, inteso come aggregazione di grandi aree, non sempre corrispondenti necessariamente con le attuali Regioni. Infatti, se si "liberasse" la Regione dal compito di provvedere al diritto allo studio si potrebbero disegnare aree di offerta formativa in relazione agli attuali flussi di gravitazione degli studenti e/o alle convenienze economico-sociali di istituire nuove strutture formative. Il coordinamento territoriale potrebbe essere assicurato da un comitato di rettori (e presidi di facoltà) presenti sull'area, al quale andrebbero affiancati - caso per caso - rappresentanti "laici" degli organismi economici e scientifici locali da coinvolgere in specifici progetti a ricaduta locale.

      L'offerta "consorziata" comporterà sia l'accentuazione di specializzazioni di sede, sia duplicazioni che dovranno essere utilizzate per la redistribuzione della domanda sul territorio: se la domanda si orienterà troppo su una sede e tenderà ad esorbitare rispetto ai limiti di accettabilità stabiliti, si offrirà al surplus la possibilità di iscriversi nella sede meno richiesta (che dovrà offrire in concreto la possibilità di essere scelta alternativamente: qualità dell'offerta formativa, raggiungibilità e livello di accoglienza della sede). Un modello operativo possibile potrebbe comprendere prove di ammissione non vincolanti e suggerimenti/orientamenti di alternative sul territorio (sia nella stessa area disciplinare sia in altre aree).

      Il tema dei mega-atenei si propone qui con alcune soluzioni alternative: da un lato, lo sdoppiamento dell'esistente, dall'altro la creazione di un sistema di satelliti provinciali per i primi anni, con il completamento dei percorsi nella sede-madre.L'alternativa, nei suoi termini operativi, dipende dalla configurazione dell'area, dalla ricettività dell'utenza nelle diverse sedi, ma anche dall'intenzione o meno di ricreare un contesto e un ambiente sociale universitario.

 

F) I collegamenti con gli altri sistemi europei

      Nell'ambito dei preparativi per la Conferenza Mondiale dell'UNESCO sull'Istruzione Superiore che si terrà nel 1998, l'Associazione delle Università Europee (CRE) e il Centro per l'Istruzione Superiore dell'UNESCO (CEPES) hanno organizzato il Forum Regionale Europeo di Palermo, che ha visto riuniti quasi 400 rappresentanti delle università, degli insegnanti e degli studenti, delle autorità pubbliche e del mondo del lavoro, e le organizzazioni governative e non governative interessate all'istruzione superiore e al suo sviluppo. E' sembrato opportuno al Gruppo di Lavoro prendere atto di alcuni importanti indicazioni emerse dalla Conferenza rinviando alle Appendici per l'esame del documento completo.

      1. Se è vero che una catena è forte quanto il suo anello più debole, l'istruzione superiore dovrebbe essere il cardine di un forte sistema d'istruzione, così come dovrebbe avere un ruolo fondamentale nel contribuire, in stretta collaborazione con altri partner, al rinnovamento. Allo stesso modo, gli istituti d'istruzione superiore europei hanno il compito di contribuire ad uno sviluppo equo e sostenibile e alla cultura della pace. Dovrebbero, inoltre, agire in modo critico e obiettivo, sulla base del rigore e del merito, promuovendo la solidarietà morale tramite il soddisfacimento dei bisogni individuali. In un mondo che va trasformandosi sempre più profondamente, gli istituti d'istruzione superiore devono agire sensibilmente e responsabilmente, prevedendo, anticipando e influenzando i cambiamenti in ogni sfera sociale, e agendo, dunque, di conseguenza.

      2. Considerata la crescente domanda individuale nei confronti dell'apprendimento e le conseguenti pressioni che vanno a confluire sugli istituti d'istruzione superiore, appare evidente l'esigenza di una maggiore diversificazione istituzionale, di nuove politiche degli accessi, e di uno sviluppo strutturato per quanto riguarda l'istruzione continua.

      3. L'istruzione continua è essenziale per lo sviluppo professionale e personale, per una carriera diversificata, per il trasferimento delle competenze, per armonizzare la domanda e l'offerta di personale altamente qualificato.

      4. In risposta ad una domanda sempre più differenziata, il concetto di "coerenza" assume il significato di flessibilità per quanto riguarda: gli accessi; i contenuti; l'ampiezza, il livello e la durata dei programmi; gli strumenti utilizzati; la verifica e la convalida.

      5. Gli istituti di istruzione superiore dovrebbero elaborare nuove strategie per la concettualizzazione e la gestione dell'innovazione nell'istruzione, in particolare per quanto riguarda l'organizzazione dei contenuti, i materiali d'apprendimento, le metodologie d'insegnamento, e i profili personali dei laureati come risposta alle molteplici sfide dei loro contesti.

      6. Il passaggio da insegnamento ad apprendimento implica: un apprendimento autogestito, il ruolo di tutore dell'insegnante, servizi di supporto professionale, nuovi investimenti per quanto riguarda la trasmissione, specialmente nel caso di operazioni non in loco.

      7. Il passaggio da insegnamento ad apprendimento implica inoltre un nuovo approccio nei confronti dello sviluppo dei curricula che tenga conto della multidisciplinarietà, della interidisciplinarietà e di una scelta flessibile in un sistema coerente che consenta la modularizzazione, il trasferimento dei crediti, la considerazione delle esperienze lavorative e l'organizzazione dell'anno accademico in semestri, sia a livello nazionale che internazionale.

      8. Gli istituti di istruzione superiore assumono un ruolo fondamentale nello sfruttare, per se stessi ma anche assieme ad altri partner, il potenziale di tecnologie innovative di informazione e comunicazione per scopi accademici.

      9. Considerata la crescente domanda di istruzione superiore e la sua democratizzazione, si manifesta l'esigenza sempre più pressante di assicurare standard di qualità accademica incorporando una cultura di qualità e gli strumenti che la assicurino sia a livello di sistema che di istituzione.

 

G) Conoscenze per il governo del sistema

      Per poter governare l'auspicato sviluppo del sistema formativo di livello terziario - comprendente cioè sia l'università, sia gli ambiti formativi che dovrebbero andare a comporre la seconda rete di formazione post-secondaria - occorre la disponibilità di un ampio quadro conoscitivo. É soltanto sulla base di un attento lavoro istruttorio sia sugli sviluppi precedenti, sia sulle condizioni esistenti che possono essere elaborate le opportune linee di intervento riguardanti la ripartizione concreta dei vari compiti e funzioni all'interno di un sistema istituzionale articolato, i collegamenti e l'interazione tra le diverse istituzioni, la distribuzione degli utenti e le stesse dimensioni globali e settoriali del sistema. In altri termini, accanto a una puntuale conoscenza delle dimensioni e potenzialità degli apparati formativi esistenti (universitari e non) occorre una evoluta capacità conoscitiva per quanto concerne la qualificazione delle risorse umane richieste dal sistema produttivo, le caratteristiche formative della popolazione adulta, la domanda sociale di istruzione e di formazione (compresi gli aspetti demografici).

      Il quadro conoscitivo da acquisire, oltre alla valutazione delle risorse umane e strumentali in ambito universitario, ai fini della definizione di standard funzionali di ricettività, che rientra nelle attivita' dell'Osservatorio, dovrebbe contemplare in maniera sistematica tematiche quali:

1. Struttura e andamento dell'occupazione, tenendo conto delle caratteristiche formative degli occupati. Di grande rilevanza appare l'individuazione di fenomeni di overeducation (riguardanti in particolare i laureati) e di undereducation (riguardanti in particolare i livelli intermedi).

2. Destino lavorativo/professionale delle persone che hanno abbandonato gli studi universitari. Andrebbero considerati aspetti come inserimento iniziale nel sistema produttivo; carriere; utilità o meno degli studi compiuti in ambito universitario; carenze formative; ulteriori processi formativi, ecc..

3. Evoluzione dell'offerta di formazione post-secondaria non universitaria, e della formazione continua con l'analisi della loro struttura, e degli esiti relativi.

4. Impegno formativo da parte del sistema aziendale e di altri ambiti occupazionali sia sul piano della formazione professionale iniziale, sia su quello della formazione continua.

5. Comparazione internazionale su argomenti specifici. Importante appare in primo luogo una correzione degli stereotipi e dei malintesi indotti anche dalle pubblicazioni internazionali. Sarebbero da individuare, in secondo luogo, elementi di confronto con altri sistemi che possano servire da orientamento nell'attuazione delle riforme avviate.

      Si tratta di tematiche che potrebbero in un primo momento apparire gia' sufficientemente esplorate. Ma non e' cosi'. È da tener presente, inoltre, che uno dei problemi ereditati dal passato, che grava sul presente e, quindi, anche sui futuri sviluppi, sta proprio nella scarsa disponibilità di apparati informativi trasparenti e intercomunicanti. Occorre infatti, come già ricordato nella presentazione di questo documento, la messa a punto di una 'politica del dato'. Ed è evidente che ciò richiede uno sforzo di armonizzazione tra una pluralità di ambiti governativi e non coinvolti nella raccolta e produzione di dati.