Contributo da Firenze alla discussione sulla riforma dell’università:
Da Comunicazione Antagonista n°8 giugno 1998
Università: cosa resta delle occupazioni?
La fine dell’occupazione, con la sua capacità di mettere in movimento energie ed intelligenze, creatività e socialità, lascia forse un vuoto, magari non detto, ma percepibile in un certo ritorno alla "normalità" delle necessità curricolari imposte dal potere accademico e ben rappresentata dal bianco di alcuni muri opportunamente tornati vuoti. La sensazione è comunque che qualcosa è cambiato, che non sarà più come prima: abbiamo lasciato il segno nelle coscienze di chi come noi si è messo in gioco, socializzando contenuti ed esperienze, sperimentando forme di agire collettivo che hanno radicato e reso visibile il percorso di autorganizzazione che ha il suo centro nella critica radicale all’esistente e nel tentativo di ricomporre bisogni e diritti negati, dal diritto allo studio, al reddito/lavoro ai servizi sociali.
A questa sensazione se ne sommano altre, come quella di un certo disorientamento, dovuto forse al fatto di ritrovarsi "improvvisamente" in assenza di "movimento"; oppure quella di non capire fino in fondo cosa è stato e quindi non sapere come valorizzarlo.
A tutto questo ognuno tenta di rispondere, e la risposta più immediata sembra essere quella di una "stretta organizzativa": si ritorna al collettivo, ne nascono di nuovi, autorganizzando bisogni crescenti.
Pur tuttavia si tratta di risposte parziali che nascondono, forse, i limiti di questa esperienza: una certa difficoltà nel panorama universitario cittadino (e non solo) di produrre strumenti adeguati di comprensione della fase, e conseguentemente di sperimentare percorsi congruenti.
Questa tornata di occupazioni è cominciata dall’ex-magistero (oggi scienze della formazione) quale epicentro delle contraddizioni della nuova ristrutturazione universitaria; un agile terreno di sperimentazione, perché non "protetto" da interessi forti quanto altre facoltà, ma serbatoio di forza lavoro mentale destrutturata, flessibile e precaria, appetibile alle esigenze delle necessità volubili del mercato del lavoro locale.
All’ex-magistero l’attacco è stato diretto, immediato, nella forma della negazione della validità del titolo di studio e nel prossimo smembramento del corso di laurea in diploma universitario. Ma dove la contraddizione è massima e l’attacco diretto, non sempre la risposta è adeguata, rischiando di rimanere parziale e limitata alla difesa del proprio particolare. In questo senso è importante riuscire a "leggere" i bisogni emersi da questa occupazione, perché verosimilmente esprimono alcune caratteristiche della fase in corso ed in divenire.
Il bisogno di riconoscersi in un percorso comune che sappia valorizzare contenuti e saperi destrutturati e parziali, esprime forse uno degli effetti più devastanti della rivoluzione produttiva informatica da decenni ormai avviata: la mercificazione del sapere, delle idee, della comunicazione, del tempo libero e di ogni spazio mentale; per produrre nuove fonti di profitto che si appropriano del sapere collettivo, della creatività e delle idee di milioni di individui. In questo contesto la forza lavoro mentale perde le proprie specificità, incorporate nella macchina informatica, e viene destrutturata, resa flessibile e disponibile a riciclarsi da un settore lavorativo ad un altro.
Il bisogno di reddito/lavoro, emerso con forza, anche se non sempre consapevolmente, unitamente a quello di "guardarsi intorno" nella propria città e regione per intessere rapporti, piuttosto che "attendere" il "movimento nazionale", è riconducibile, forse, al ruolo decrescente svolto dallo stato nazionale, progressivamente sostituito dallo "stato europeo" da una parte e dall’autonomia nello sfruttamento della mano d’opera locale dall’altra. Esprime anche la consapevolezza che i costi di tutto questo sono sempre più affidati alle famiglie, costrette a pagare, con quel poco di reddito che ancora rimane, tasse, libri, mense, alloggi…ecco quindi che la necessità di reddito/lavoro diventa ricatto, con cui piegare alla miseria delle condizioni lavorative precarie.
Sono richieste importanti, rispondere alle quali non è certo facile, a partire dall’università in cui spesso i collettivi si trovano impreparati e con strumenti arrugginiti, rispetto all’accelerazione dei processi imposta dal governo dell’ulivo.
L’istituzione universitaria risponde inventando nuove "mini-lauree", fornendo così l’illusione, agli studenti ed alle famiglie, di poter accedere dopo solo tre anni ad un lavoro. La realtà è che in questo modo si depotenzia culturalmente il corso di studi, buttando forza-lavoro flessibile in pasto agli avvoltoi delle agenzie interinali per soddisfare le richieste temporanee delle imprese locali.
Per tutto questo abbiamo sentito nostra la proposta "per una camera del lavoro sociale" (sullo scorso numero del giornale) un luogo di ricomposizione e contaminazione di soggetti, che faccia da ponte tra bisogni crescenti e l’autorganizzazione di vertenze. E’ una proposta che coglie l’estrema frammentazione e scomposizione a cui anche migliaia di studenti-lavoratori sono sottoposti dalla precarizzazione generale, che investe ormai ogni settore lavorativo ed ogni ambito di vita, caratterizzandosi sempre più come condizione esistenziale.
E’ una proposta sulla quale dobbiamo ancora discutere, per trovare forme e modi di un coinvolgimento che vada oltre le dichiarazioni di principio, e si concretizzi in azione propositiva, vertenziale, rivendicativa. Per fare questo sarà indispensabile comprendere la specificità delle diverse condizioni delle mille figure del lavoro flessibile; ma contemporaneamente trovare un linguaggio comune, per produrre strumenti collettivi di comprensione e di lotta.
Da Comunicazione Antagonista n°7 maggio 1998
Studi e pacificazione sociale
Nel mese di marzo la mobilitazione universitaria si è estesa notevolmente. Dopo l’occupazione della facoltà di Scienze dell’Educazione (12 marzo), altre facoltà dell’Ateneo fiorentino si sono unite in un percorso comune di lotta. Gli studenti di Scienze politiche occupano la facoltà il 25 marzo, dopo serrati dibattiti ed aspre polemiche con una esigua minoranza manovrata dal FUAN, tesa a boicottare qualsiasi iniziativa di protesta. A Lettere e Filosofia l’occupazione viene decisa dall’assemblea del 31 marzo, dopo una serie di preparativi (banchini, volantinaggi, ecc.) di controinformazione.
Gli studenti hanno posto al centro della protesta la contestazione alla Bozza di riforma Martinotti, non tralasciando gli altri problemi inerenti le diverse facoltà.
Tra questi le SIS (scuole di specializzazione per l’insegnamento) che costringono i laureati a dover frequentare corsi post laurea (con tasse altissime - numero chiuso - obbligo di frequenza - una sola scuola per regione) per accedere ai concorsi per l’insegnamento; oppure il mancato riconoscimento giuridico della laurea in Scienze dell’Educazione che comporta l’esclusione automatica dai concorsi pubblici, culmine di un percorso di interventi amministrativi che in sei anni (passaggio da Pedagogia a Scienze dell’Educazione) ha portato a compimento la trasformazione del corso di laurea in diploma universitario, perfettamente rispondente al piano di trasformazione previsto dalla Martinotti.
Il lavoro svolto durante le occupazioni, attraverso gruppi di lavoro e commissioni di studio, si é rivolto alla discussione e analisi non soltanto delle riforme scolastiche, ma é stata l’occasione per rivolgere l’attenzione a tutto quello di cui nell’università non si parla. Dal mondo del lavoro e la comprensione della sua struttura flessibile e precaria, con particolare riferimento a situazioni esemplari (vedi il caso della Fiat di Melfi), alla solidarietà internazionale per il popolo kurdo in lotta per la propria autodeterminazione (alla luce soprattutto dell’arresto in Turchia di tre compagni italiani) e per il Chiapas
Gli studenti hanno ritenuto necessario portare la contestazione fuori dalle mura universitarie individuando momenti e luoghi ideali, come lo sono state le iniziative al rettorato e alla mensa. Il 30 marzo l’occupazione del rettorato ha mandato in fumo la conferenza sulla Martinotti organizzata dal rettore Blasi insieme ad altri "illustri" baroni, e il 1 aprile l’occupazione della mensa di S. Apollonia ha permesso di distribuire oltre mille pasti gratuitamente, iniziative che hanno permesso di ribadire le ragioni della protesta e delle occupazioni, ma anche di sottolineare l’assenza reale di servizi fondamentali(trasporti, alloggi, ecc.), e il costo elevato di quelli esistenti. Sono seguite altre iniziative, fra cui la contestazione al ministro Berlinguer avvenuta il 24 aprile e la mobilitazione antifascista del 28.
Nonostante le numerose iniziative e il coinvolgimento di qualche migliaio di studenti, la protesta sembra non aver assunto, di fronte all’opinione pubblica, la visibilità dovuta. Un problema determinato anche dalla precisa volontà politica da parte delle istituzioni (nelle figure del Rettore e delle forze dell’ordine e della stampa) di contenere la protesta studentesca, anziché attraverso i classici metodi repressivi, con l’adozione di un’ipocrita "linea morbida".
L’atteggiamento paternalistico e minimizzante adottato dai presidi ha avuto la funzione di mantenere basso il livello di tensione generale, ostacolando la crescita del grado di consapevolezza in quella parte di studenti meno informati.
Allo stesso modo i mass media hanno dato scarse informazioni su quanto stava accadendo, limitando così il livello di diffusione e di conoscenza del problema.
Ci siamo chiesti il perché di questa scelta politica, e ci sembra di aver individuato come unico responsabile il clima di pacificazione sociale che il governo di centro-sinistra sembra avere intentato, e che sia ora intenzionato a mantenere ad ogni costo.
Da Comunicazione Antagonista n°7 maggio 1998
Martinotti capitano d’azienda
Da mesi, ormai, stiamo parlando della Bozza di riforma universitaria (Martinotti), che rischia di passare, nonostante gli sforzi del movimento studentesco, oltre l’attenzione dell’opinione pubblica troppo abituata alle riforme e ai decreti di smantellamento sociale.
E’ ancora il governo di Centro-Sinistra a fare la differenza e a permettere l’attuazione di tutte le riforme neoliberiste progettate dai vari governi democristiani nel corso degli anni (così come l’entrata in Europa dell’Italia). Ultimamente abbiamo assistito, infatti, al varo di due finanziarie che hanno sostanzialmente decretato la fine di tutte le conquiste sociali frutto di anni di lotta, come se questo governo non avesse neppure bisogno di legittimazione politica per il suo operato.
Teniamo a sottolineare l’importanza e la particolarità di questo progetto di riforma, visto che non a caso viene presentato oggi in questo contesto e con precedenti ben precisi. E’ con la legge Ruberti del ‘90 che si da inizio alle politiche di autonomia didattica e finanziaria dell’università (decentramento amministrativo), che con una serie di decreti ha delegato agli Atenei e alle regioni la gestione di alcune risorse, che comunque hanno creato le prime differenze. Oggi, però, questi provvedimenti sembrano non essere più sufficienti, tanto che la Martinotti propone una completa ristrutturazione del sistema universitario sul modello americano. Infatti, nella prima parte del documento (intitolato: La filosofia di intervento) si vuol giustificare la necessità della riforma partendo da una critica dell’università e degli inefficienti interventi politico-amministrativi che si sono susseguiti negli ultimi anni, evitando accuratamente di illustrarne le cause e limitandosi ad evidenziarne gli effetti.
Il documento individua dieci principi generali cardini del processo di innovazione: dalla contrattualità del rapporto studenti-ateneo, alla differenziazione competitiva tra gli atenei, passando per la flessibilità curriculare e la mobilità delle risorse umane. E’ questa la dimensione con cui si affronta il problema dell’istruzione, utilizzando gli stessi termini (quindi concetti) del mondo del lavoro: se si richiede flessibilità ai lavoratori, si richiede anche agli studenti, così che, come futuri lavoratori precari, siano già preparati a queste parole d’ordine.
Si chiede, quindi, agli studenti di scegliere l’offerta formativa tra vari atenei, di stipulare con quello prescelto un contratto, di accumulare e spendere crediti, al fine di ottenere un riconoscimento funzionale all’accesso ai vari corsi di specializzazione post laurea.
Altro aspetto sostanziale é indubbiamente quello economico, che di fatto limiterà la possibilità di accesso ai corsi e dunque l’impossibilità di stipulare contratti a tutti coloro che non potranno sostenere gli alti costi previsti perché il sistema delle imprese non ha alcuna intenzione di finanziare i costi di formazione della propria futura forza-lavoro.
In questo modo le imprese ottengono un doppio guadagno: da un lato, con la limitazione della spesa pubblica per l’istruzione, sperano in un maggior sostegno da parte dello Stato (meno tasse), dall’altro fanno ricadere le loro esigenze di personale specializzato su chi spera di diventarlo.
La mistificazione è palese, perché, allo stesso modo di come si compra un’automobile, lo studente acquista un percorso formativo per ottenere il discutibile privilegio di essere in futuro messo "in produzione" da qualche impresa. Privilegio, per di più, nemmeno garantito!
D’altra parte viviamo in un’epoca che ha il proprio fulcro ideologico nella valorizzazione individuale e nell’autoimprenditorialità, per cui non è strano vedere i costi per l’inserimento nel mercato come un investimento individuale. Ricordiamo, inoltre, che la "filosofia" della bozza Martinotti è anche quella della riforma e del riordino dei cicli scolastici della scuola media inferiore e superiore.
Sono questi i motivi per cui gli studenti non sono disposti ad accettare questa riforma, ponendosi come fermi oppositori all’aziendalizzazione della Cultura e decisi sostenitori di un’istruzione libera, gratuita e di massa.
Documento del Collettivo di Base Di Magistero (Firenze) – Maggio ‘98:
Formati e conformati!!!
Stiamo assistendo, da qualche anno a questa parte, ad un veloce processo di trasformazione di tutta 1'istituzione educativa italiana, dalla legge Ruberti del '90 all'attuale bozza Martinotti, i contorni e la sostanza stessa della nostra scuola risulteranno presto completamente rinnovati. In nome di cosa? Certamente i motivi di questo pressante e continuo intervento di ristrutturazione sono da ricercarsi nell'ambito delle evoluzioni del mercato, infatti, lo stesso tipo di cambiamenti si possono ritrovare in altri settori, in particolare in quello del lavoro. Un'analisi della situazione dell'Università oggi, non può, quindi, essere circoscritta unicamente a quest'ultimo contesto, ma deve allargarsi fino a delineare un quadro ampio comprendente ciò che sta prima, dopo e attorno ad esso. Pensiamo quindi che tale analisi debba comprendere perlomeno:
1-il riordino dei cicli scolastici (legge Berlinguer)
2-la riforma universitaria (bozza Martinotti)
3-il mercato del lavoro in Italia (pacchetto Treu e decreto legislativo del 23-12-'97 n0496).
RIORDINO DEI CICLI SCOLASTICI (BERLINGUER)
La distinzione dell'istruzione scolastica in tre livelli (elementare, media e superiore) sparisce e viene sostituita da due soli livelli:
1. la scuola di base
2. la scuola secondaria.
LA SCUOLA DI BASE
Verrebbe articolato in tre bienni, che ingloberebbero l'attuale elementare e due dei tre anni dell'attuale media inferiore e preceduta da un anno obbligatorio di scuola materna. Tre considerazioni:
1. la scolarità si riduce di un anno: si passa dagli attuali 8 anni (5 di elementari e tre di medie) ai 6 anni di scuola di base più 1 (dell’attuale media) che slitta al livello superiore. L'anno obbligatorio della materna non va aggiunto al totale perché, di fatto, la maggioranza dei bambini/e (circa l'80%) frequenta già l'ultimo anno della materna.
2. Si riduce anche 1'occupazione nel settore, visto che coloro che "coprono" gli attuali 8 anni dovranno "restringersi" in 7.
3. almeno la metà della scuola materna è in mano ai privati e 1'obbligatorietà dell'ultimo anno è lo stratagemma per avviare il processo di parità tra scuola pubblica e privata e il finanziamento di quest'ultima.
LA SCUOLA SECONDARIA (ORIENTAMENTO E SUPERIORE)
Verrebbe diviso in due trienni, uno di orientamento e uno superiore.
Per il primo anno (a 12 anni!) è previsto "un ventaglio allargato di grandi opzioni e dei corrispondenti percorsi (...) con una parte dell'orario da impiegare in corsi mensili, bimestrali, trimestrali". Così si impara ad essere mobili e flessibili.
Poi le cose peggiorano perché con il secondo anno (a 13 anni!) inizierebbe "un percorso predeterminato, nel senso che il ragazzo sarebbe invitato a scegliere diversi indirizzi (ad esempio: artistico, classico, scientifico, tecnico, professionale) già nettamente caratterizzati".
E qui 1'improvvisazione caotica rischia di esplodere perché "per evitare che un errore di scelta possa tradursi nella perdita di un anno, si potrebbe organizzare il biennio in segmenti di durata quadrimestrale o inferiore, con possibilità di passare dall'uno all'altro, di compensare eventuali carenze in quello successivo attraverso l'introduzione del 'debito scolastico' e il sostegno di un ‘tutor’ o di ripetere solo un segmento invece che l'intero anno scolastico". E' facile prevedere caotiche riunioni di insegnanti che devono decidere se trasferire lo studente Rossi dai corso X a Y o, a fine anno se fargli fare matematica 1, italiano 2 e inglese 3...
L'AVVIAMENTO PROFESSIONALE: A VOLTE RITORNANO!
Sempre in questo livello si inserisce l'altra gravissima "novità": il ripristino dell'avviamento professionale, per giunta praticabile fuori dalla scuola, di gentiliana memoria. Leggiamo dal documento ministeriale: "Un elemento di grande novità potrebbe essere costituito dall'apporto che il sistema della formazione professionale potrebbe dare alla realizzazione della riforma. Tale apporto, previsto dall'accordo sul lavoro del 24 settembre '96 (il patto per il lavoro), potrebbe sostanziarsi in (...) percorsi integrativi di quelli scolastici per gli studenti che volessero optare (...) verso una scelta di maggiore professionalizzazione (...) attraverso convenzioni con centri di formazione". Dunque la scuola é ridotta all'avviamento professionale a scapito di una piena e autonoma formazione individuale, che consenta ad ognuno di avere non già alcune cognizioni tecniche di basso valore rapidamente deperibili, ma gli strumenti culturali globali che permettano di "leggere il mondo" e di non essere disarmati di fronte alle sue mutevoli ed imprevedibili trasformazioni. Per quanto riguarda l'esame finale della fascia di orientamento, si legge: "Al termine del terzo anno (a 15 anni) gli studenti, ivi compresi quelli che hanno frequentato nell'ultimo anno i corsi di formazione professionale, dovrebbero sostenere il primo esame di stato: la licenza della scuola dell'obbligo. Tale licenza dovrebbe dare accesso agli ulteriori studi, all'attività lavorativa e ai corsi di formazione professionale".
IL SECONDO LIVELLO DELLA SECONDARIA: LA SCUOLA SUPERIORE.
Dice il documento: "Il triennio finale della scuola secondaria dovrebbe avere carattere professionalizzante e offrire agli studenti indirizzi corrispondenti a grandi aggregazioni culturali/professionali, il cui numero varia da sette a undici:
sono quelle che in G. Bretagna si chiamano ‘famiglie occupazionali’. La vera novità del triennio finale dovrebbe consistere nell'avvicinamento progressivo al mondo del lavoro (...). Le aree di progetto e gli stage (periodi lavorativi da svolgere soprattutto in azienda) potrebbero essere il vero settore nel quale 1' autonomia delle istituzioni scolastiche realizzi collegamenti con le realtà culturali, formative e produttive locali (...) incoraggiando una concorrenza che stimolerebbe l'interesse dei giovani a muoversi maggiormente sul territorio". E cosa si intende per "carattere professionalizzante", Berlinguer lo chiarisce poco dopo: "Per costruire curricoli personali 'spendibili' ed il passaggio dalla scuola alla formazione professionale sarebbe opportuno che al termine di ciascun anno fosse rilasciato a ciascuno studente un documento personale che certifichi le competenze acquisite
Chiarissimo! Si prevede un "curricolo spendibile" in azienda, ossia un elenco di abilità tecniche che consenta ad ogni padrone di impresa di non perdere tempo in una formazione di qualità professionale e di trovare l'apprendista giusto al momento giusto, salvo scaricarlo quando la sua "competenza acquisita" non serva più; tanto ci penserà la scuola a farglielo sostituire con un "modello" più aggiornato.
Con la logica delle "famiglie occupazionali" si impoveriscono i "curricoli", mentre andrebbero arricchiti culturalmente, soprattutto per chi attualmente frequenta gli indirizzi tecnico/professionali. Nel quadro di un potenziamento culturale, ogni collegamento con il cosiddetto mondo del lavoro deve escludere qualsiasi forma di apprendistato non retribuito, senza alcuna delega a fantomatiche "agenzie formative".
RIFORMA UNIVERSITARIA (BOZZA MARTINOTTI)
La prima novità riguarda il principio di contrattualità: si passa da un servizio con un diritto ben preciso (il diritto allo studio) a una merce da acquistare tramite un contratto studente/Ateneo che ne definisce costo, valore e percorso.
La stipulazione di tale contratto dividerà gli studenti in "full-time" (se essi potranno garantire il completamento degli studi in un determinato lasso di tempo) e "part-time". Si formeranno così lauree di "serie A" e lauree di "serie B" dove, nelle prime, si troveranno studenti con grandi possibilità economiche e, nelle altre, gli studenti lavoratori e i meno abbienti (oggi, la maggioranza).
Un altro punto centrale della riforma é l'ampliamento dell'autonomia finanziaria degli Atenei; questo significa liberalizzazione delle tasse, che impedirà agli studenti meno abbienti la libera scelta dell'Università, e grande apertura ai finanziamenti privati. Tutto questo farà variare la quantità e la qualità dell'offerta formativa proposta, formando Atenei di "serie A" e Atenei di "serie B".
In questo modo i privati potranno influenzare l'offerta didattica a seconda delle esigenze di mercato, anche grazie all'autonomia didattica di ciascun Ateneo. Ciò viene ulteriormente rafforzato dal "principio della flessibilità curricolare" e cioè la possibilità per gli Atenei di aprire e chiudere i corsi quando siano ritenuti inutili alle richieste del mercato.
Questi cambiamenti saranno rafforzati dal sistema dei crediti didattici che sostituirà la valutazione in trentesimi: per raggiungere la laurea si dovranno accumulare dai 240 ai 360 crediti. Ma l'ammontare dei crediti assegnato a ciascun insegnamento sarà diversificato e deciso dal consiglio di Facoltà, influenzato dai soggetti privati finanziatori. Inoltre i crediti non si accumuleranno solo attraverso il lavoro individuale, ma anche grazie alla frequenza ai corsi, ai seminari, agli stage, ecc. e questo rende di fatto la frequenza obbligatoria (pena la perdita di crediti).
Lo stesso valore formale del titolo di studio viene sostituito con un sistema di certificazione a posteriori o accreditamento basato su tre criteri: valore culturale del titolo preposto (?!), sua rispondenza ad esigenze sociali o economiche, adeguatezza delle risorse messe a disposizione dagli Atenei.
IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA (PACCHETTO TREU E DECRETO LEGISLATIVO 23/12/97 N0 469)
a) La legge 196 (pacchetto Treu) attua alcune parti dell'accordo sul lavoro del 24/9/96 (meglio conosciuto come "patti per il lavoro"). Quest'ultimo introduce l'apprendistato, il lavoro interinale e i contratti d'area, regola la formazione lavoro, lo stage ed il part-time. Continua per mano e volontà della maggioranza di centro sinistra il processo di smantellamento dei diritti e di quelle norme di tutela che i lavoratori si erano conquistati con il ciclo di lotte degli anni 60-70.
In particolare il pacchetto Treu è nato per normare in Italia il lavoro interinale. Questo prevede che il lavoratore è assunto dalle agenzie che lo dovrebbero "formare" per poi affittarlo alle aziende. Le agenzie vengono pagate dalle aziende che si trattengono una percentuale attorno al 20% del costo dell'affitto del lavoratore. Costui, tra un affitto e 1' altro non ha nessun salario; per I' impresa affittare il lavoro serve a sostituire i lavoratori o a sfruttare le fasi in cui devono far fronte a maggiore produzione, senza assumere nessuna forma stabile. Questo metodo si promette di arrivare entro il 98 ad affittare 5000 lavoratori al giorno.
Il lavoro interinale è già presente in molti paesi tanto ché nel mondo industrializzato i lavoratori di questo tipo sono già 4 milioni.
In Italia i lavoratori interinali sono raccolti in due associazioni:
Assointerim e Assilt in cui si raccolgono le multinazionali del settore come Manpower e Kelly.
Le cooperative da strumento di solidarietà tra i lavoratori si trasformano in agenzie che prestano i propri soci alle varie industrie per qualsiasi mansione lavorativa. E' per tutto questo che diciamo che il lavoro in affitto c’è già da tempo...; il pacchetto Treu dunque, formalizza rapporti di lavoro già esistenti, rendendo possibile la nascita di uffici di collocamento privati: le agenzie interinali il cui scopo sarà di fornire alle agenzie lavoratori usa e getta.
Già all'interno del pacchetto Treu é data ampia possibilità di estendere il lavoro - in affitto anche a personale senza qualifiche. Saranno le parti sociali che dovranno decidere nei contratti collettivi le modalità e le figure professionali che potranno essere impiegate attraverso le agenzie. Inizialmente negli altri paesi europei sono stati i settori impiegatizi ad essere maggiormente investiti dal lavoro interinale, ma una volta a regime il lavoratori interessati sono stati soprattutto operai. Il pacchetto Treu stabilisce che la retribuzione del lavoro in affitto debba essere non inferiore a quella che svolgono i lavoratori con medesima qualifica con una maggiorazione del 5% destinata alla formazione, ma si deve tenere conto che il lavoratore interinale viene assunto senza una quota base e anzianità, quindi il suo salario sarà irrisorio.
Inoltre la flessibilizzazione del lavoro è. un ulteriore attacco alle condizioni materiali di vita dei lavoratori, alla loro stessa capacità di riconoscersi come classe. Anche in Italia, sul piano politico il processo di frantumazione della forza lavoro, necessaria per il capitale a fronte dell'insorgenza operaia e proletaria, inizia nella metà degli anni '70 ed assume in quel periodo la forma dei sacrifici e delle politiche di unità nazionale. Il 24 settembre '96 viene siglato 1' accordo tra governo, Confindustria e sindacati: i "patti per il lavoro". Presentati come strumenti legislativi di lotta alla disoccupazione in realtà sanciscono ufficialmente la flessibilità e la precarietà del rapporto di lavoro a scapito dell'assunzione con contratto a tempo indeterminato. L’attacco alle condizioni di riproduzione della classe in fabbrica inizia con il decentramento produttivo in cui le grandi aziende fanno svolgere parte dei processi lavorativi in piccole unità produttive dove la forza lavoro no gode di diritti sindacali ed é facilmente licenziabile e ricattabile.
La globalizzazione spinge a decentrare la produzione anche all'estero con conseguente ulteriore indebolimento delle possibilità rivendicative della classe aumentando le ore di straordinario. Contemporaneamente cresce la disoccupazione che raggiunge il 12% con un esercito industriale di riserva che preme sulle condizioni di lavoro.
b) Il Decreto Legislativo n0469 del 23/12/97 conferisce alle regioni e alle provincie funzioni relative al collocamento e alle politiche attive del lavoro (con ruolo di programmazione, coordinamento dei lavori socialmente utili, tirocini formativi...), con l'obbiettivo di incentivare "l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro". Con questa riforma allo Stato restano ben poche competenze: le funzioni di raccordo con gli organismi internazionali ed il coordinamento e i rapporti con l'Unione Europea. Nell'ambito di questo trasferimento di competenze presso le regioni, esse sono incaricate anche di occuparsi degli interventi di integrazione salariale straordinaria e delle procedure di mobilità dei lavoratori. Delegando tutto questo potere in materia di legislazione del lavoro alle regioni, lo stato si assicura una gestione dell'occupazione a livello territoriale che comporta una più diretta intromissione delle aziende nella definizione delle professionalità. Quest'ultime saranno quindi subordinate alle richieste del mercato, provocando una ridefinizione dei percorsi formativi nel senso di una sempre maggiore professionalizzazione e tecnicizzazione.
Contributo del Collettivo di Base per la commissione Martinotti