RIFORMA BERLINGUER: LA FORMAZIONE COME FATTORE STRATEGICO PER LO SVILUPPO DEI LIVELLI PRODUTTIVI

Ad una prima lettura del documento di lavoro per il riordino dei cicli scolastici, ovvero proposta di riforma del Ministro Berlinguer, emerge con chiarezza quale sia la filosofia di fondo che sta dietro alla dichiarazione di intenti del ministro stesso: l'adeguamento del sistema formativo alle esigenze delle imprese e del mercato del lavoro, alla luce del mutamento del sistema produttivo e della mondializzazione dell'economia. Questo adeguamento del sistema formativo si presenta peraltro in netto ritardo in Italia, che può quindi prendere esempio dall'esperienza e dagli errori di altri paesi.

Questa riforma ripropone del resto i concetti tradizionali di educazione e formazione, alla base dell'utilizzo che le istituzioni hanno sempre fatto della scuola.

"La formazione delle nuove generazioni costituisce per ogni governo una responsabilità ineludibile, perché su di essa poggiano la continuità e lo sviluppo del sistema democratico ,la solidità del sistema economico e industriale,¼.(Riforma Berlinguer, p.2)

La formazione si riconferma così strumento primario di disciplinamento dei soggetti ai rapporti sociali imposti dal sistema capitalistico, "strumento per ottenere un'alta qualità delle risorse umane" (p.3)

In questo quadro tornano al pettine nodi quali quello della concorrenza e della competizione, dello sforzo per conseguire un riconoscimento delle proprie capacità, tra le quali vengono naturalmente riconosciute quelle più funzionali alle esigenze di autoconservazione del sistema capitalistico, infine quello della responsabilità, nell'adempiere al compito ed al ruolo assegnato.

"..e si è verificato che il raggiungimento di un grado soddisfacente di responsabilità presuppone necessariamente una adeguata "formazione culturale" supportata da una corretta filosofia ed etica del lavoro"(p.13).

Si racconta dunque in parte una vecchia storia che, dal fascista Gentile, passa attraverso la fondazione della nostra Repubblica (..fondata sul lavoro..), ed arriva al pidiessino Berlinguer, con il quale l'Italia si mette al passo di altri paesi, ristrutturando il sistema formativo con particolare attenzione nell'affiancare al disciplinante nozionismo ("trasmissione di conoscenze consolidate"p.2) anche quel saper-fare ("trasmissione-acquisizione di metodi"p.2) funzionale alla capacità di risolvere problemi.

Si configura così una contrapposizione tra un sapere tradizionale ed un sapere apparentemente più dinamico, che, dando la possibilità di adeguare di volta in volta le proprie competenze, si presenta molto più spendibile e richiesto. Trattasi del problem-solving, citato a più riprese nell'Accordo per il lavoro (24-9-1996), insieme di modelli procedurali che garantiscono, grazie alla definizione di un metodo, l'ottimizzazione dei processi mentali nel risolvere, appunto, i problemi, e che si presenta in questo senso altrettanto disciplinante delle mere nozioni.

Paradigma di una "innovatività programmata", e quindi monitorata, il problem-solving con la sua necessaria agilità di applicazione di opzioni, non ha alcun legame con la categoria dell'innovazione come espressione di creatività.

Il legame tra problem-solving, flessibilità e svalorizzazione dei ruoli produttivi si concreta nel configurarsi di figure professionali a cui sono affidati settori minimali di produzione, verso una particolarizzazione dei ruoli all'interno del processo produttivo che richiede distinti livelli di qualificazione.

"Rivedere e riqualificare i programmi scolastici anche attraverso l'introduzione di metodologie didattiche idonee ad attivare abilità e a valorizzare propensioni in un rapporto costruttivo e dinamico con il mondo del lavoro" (Accordo per il lavoro, p.4).

I percorsi formativi vengono oggi riorganizzati, con il necessario graduale superamento delle resistenze delle lobbie baronali, costruendo diverse possibilità di acquisizione di competenze a seconda delle esigenze dei singoli, che noi vediamo condizionate non tanto da "propensioni" personali, quanto, per lo più, dall'estrazione sociale, cosa che il ministro prende chiaramente in considerazione, osservando e confermando quella che è l'attuale composizione di classe nei diversi indirizzi della formazione. Lo smantellamento dei servizi per gli studenti, la chiusura di spazi, il decentramento e la compartimentazione di dipartimenti e facoltà vanno dunque considerati all'interno di una ridefinizione del diritto allo studio, di fatto sempre più fittizio, differenziato a seconda delle possibilità economiche e del grado di disponibilità all'autosfruttamento dei singoli. E' proprio in questo senso che leggiamo affermazioni quali:

"Solo attivando percorsi alternativi agli studi universitari potrà tra l'altro arginarsi il fenomeno delle eccessive iscrizioni all'università"(p.19),

"formazione come ammortizzatore sociale alla disoccupazione e, in generale, formazione continua"(p.20).

Chiedendoci dunque a quale studio pensiamo di avere diritto, rispondiamo che non è certo quello garantito da percorsi formativi costruiti sulle esigenze delle imprese e adeguato ad una precarizzazione che investe, in primo luogo, chi sceglie strade altamente professionalizzanti per l'immediata necessità di lavorare e per questo è sottoposto alla feroce obsolescenza del sapere acquisito e, in secondo luogo, chi, potendoselo permettere, insegue quella stessa obsolescenza in un costoso processo di formazione continua.

Porci dunque da subito come obiettivo una critica globale della concezione stessa di sapere e formazione che da questa riforma traspare, vuol dire non affannarsi su battaglie che, a selezione di classe già in parte attuata, se rimangono isolate, ci bloccano in un'improduttiva retroguardia.

Se le definizioni di formazione e sapere\i le danno le istituzioni ponendoli, soprattutto oggi, al centro di un sistema di ottimizzazione dei processi di sviluppo capitalistico, noi invece crediamo opportuno parlare di contro-formazione e contro-sapere, che, se possono apparire vuote costruzioni semantiche, indicano un percorso tutto da costruire proprio attraverso l'abolizione di quella struttura che fa di qualunque sapere, come di ogni corpo, una merce. Partire da una valutazione globale per portare avanti rivendicazioni e lotte dentro questo Ateneo (e speriamo anche fuori), e farlo costruendo una piattaforma che definisca strategicamente metodi, priorità e obiettivi dell'Assemblea generale universitaria, vuol dire secondo noi dare le gambe ad ogni mobilitazione, che si riempie di senso e di efficacia se parte di un percorso chiaro e delineato.

collettivo universitario Altra Mater - Bologna