Formazione a ciclo continuo:
università e produzione immateriale
a cura della Commisione formazione del C.S.O.A. La Strada
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La profonda ristrutturazione che il sistema produttivo sta attraversando alla luce della globalizzazione dei mercati e al mutamento verificatosi nella forma e nell'antropologia stessa del lavoro, non lascia immune il sistema formativo nel suo complesso, che sta subendo in questi anni una vera e propria rivoluzione copernicana.
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Tale ridefinizione si articola su tutti gli aspetti inerenti al rapporto formazione-mondo del lavoro. Il sistema formativo italiano - e con alcune varianti sul tema questo discorso vale in generale almeno per la realtà europea - si é identificato in larga misura sull'istituto scolastico universitario. La formazione era legata ad un segmento temporale circoscritto all'interno del quale lo studente acquisiva una serie di nozioni destinate ad indirizzare le forme occupazionali future in termini quasi definitivi.
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Oggi il legame tra la fase di formazione istituzionale e quella lavorativa va progressivamente scomparendo modificando i tempi stessi della formazione: più snelli, rapidi, flessibili e, soprattutto permanenti.
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Se fino ad ora siamo stati abituati a concepire il tempo della formazione come un tempo separato, durante il quale veniva definita un'identità precisa e concreta, é ormai tempo di fare i conti con una dimensione diversa dove i confini tra spazio-tempo formativo e spazio-tempo lavorativo saranno sempre più sfumati, dove formazione ed autoaggiornamento saranno intesi come un percorso che durerà tutta la vita.
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Non solo i tempi della formazione verranno modificati, ma le forme imposte dalla ragione economica al mondo della cultura determineranno cambiamenti sostanziali innanzitutto alla ricerca scientifica, ai suoi istituti e alle politiche di indirizzo. In secondo luogo, in relazione alle figure professionali nuove e ai saperi ad esse legati, verranno potenziati e sviluppati nuovi ambiti formativi.
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La trasformazione subita nell'età contemporanea dagli istituiti dediti alla conservazione e alla elaborazione delle società economicamente avanzate, ha determinato nell'ultimo secolo un legame sempre più marcato tra realtà economica ed istituti scolastici-universitari. Questo legame si é concretizzato sia nella diffusione di saperi immediatamente trasferibili nel mondo del lavoro sia nell'ambito delle politiche di indirizzo e sviluppo della ricerca, intesa come supporto della crescita economica.
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In Italia le prime forme di adeguamento del sistema formativo con le esigenze di modernizzazione si hanno negli anni sessanta.
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Finita la fase della ricostruzione, l'Italia si affaccia nel mondo della grande industria di trasformazione e della produzione di nuovi beni di consumo durevole. Questa nuova situazione doveva essere sostenuta da figure professionali tecnicamente preparate, in grado di gestire la modernizzazione che l'industria stava vivendo - le macchine divengono come non mai il perno della produzione - e di valorizzare le proprie conoscenze e capacità nell'individuazione di nuovi beni da produrre. E' il periodo, questo, in cui si diffondono le prime scuole tecniche, vengono istituite nuovissime università e si potenziano alcuni indirizzi di istruzione: é il boom della tecnica ingegneristica e della produzione chimica.
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L'espansione che l'istruzione di massa ha negli anni 60-70 é tutta interna al paradigma modernista: per il quale lo sviluppo economico trascina con se la crescita della società, allarga l'usufrutto sociale dei benefici di questo sviluppo e crea al proprio interno le condizioni per miglioramenti futuri. Dal punto di vista culturale questo coincide con l'affermazione di un sapere cumulativo: ciò che conosciamo oggi verrà perfezionato dalla conoscenza di domani, le nuove conoscenze comporteranno un miglioramento della vita economica e sociale, e tutto questo concorrerà alla costituzione di una società più libera e giusta. Questa visione lineare del "progresso" ha inciso fortemente sulla costruzione dell'identità culturale del nostro paese.
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Tuttavia già verso la metà degli anni '70 il nesso modernizzazione-modernità si rompe. E' una fase di profonda trasformazione dell'economia mondiale: la rivoluzione informatica e i primi vagiti della robotica, l'internazionalizzazione del capitale finanziario e dei mercati determineranno un intreccio sempre più fitto tra settori merceologici diversi.
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"Un circolo che per lungo tempo é stato un circolo virtuoso, ma che ora sta diventando un circolo vizioso: il circolo che lega inesorabilmente innovazione tecnologica, mercati e livelli di occupazione. Nella sua lunga stagione virtuosa, questo circolo fu capace di far crescere tutti e tre questi elementi. Ma la tecnologia ricorsiva, o meglio l'automazione ricorsiva fa sì che al presente il primo elemento continui a crescere senza posa, il secondo sia statico e il terzo sia un fattore in diminuzione"
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Con ciò viene meno l'idea di sviluppo tradizionale e, travolti dalla ristrutturazione tecnologica di quegli anni, entrano in crisi tutti gli istituti che avevano garantito la fisionomia della crescita italiana, non esclusi quelli formativi.
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Entra in crisi l'idea stessa dell'università di massa, sempre più caratterizzata come università-parcheggio e sempre meno garante di sbocchi occupazionali. L'amministrazione pubblica e gli apparati burocratici non sono più in grado di assorbire forza-lavoro, determinando la crisi degli indirizzi formativi più tradizionali.
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Per tutti gli anni ottanta si svilupperanno le piccole e medie imprese insieme al lavoro autonomo; é proprio a questi settori in espansione che il sistema formativo rivolgerà le proprie attenzioni.
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Un esempio pertinente, che esprime lo scarto tra l'impostazione del vecchio sistema formativo e i nuovi ambiti di sviluppo del mercato del lavoro, é rappresentato dall'evoluzione di quelli che possiamo definire saperi informatici. Negli anni '80, immediatamente a ridosso dell'introduzione massiccia e diffusa delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, nascono e si sviluppano i primi istituti informatici - sia a livello universitario come corsi di indirizzo in alcune facoltà che a livello di scuole superiori - come risposta alla richiesta di personale qualificato in grado di permettere l'utilizzo delle nuove risorse. Tuttavia la peculiarità delle tecnologie introdotte e dei "saperi" ad esse legati, hanno svilito di senso gli istituti formativi. Gli istituti tecnico-informatici hanno visto ridurre considerevolmente il numero degli iscritti. Ci troviamo di fronte ad un'apparente contraddizione: mentre il campo dell'informatica si innerva sempre più in tutte le dinamiche economico-sociali, gli istituti scolastici - che ne garantivano la riproduzione dei saperi - vanno progressivamente scomparendo. La chiave di lettura sta nel problema dei tempi con cui un sapere si riproduce e dei tempi che invece ne caratterizzano la trasformazione e l'evoluzione.
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Con l'introduzione della tecnologia informatica questi tempi si attestano su ordini di grandezza differenti: questo scarto non solo é interno alla dimensione "culturale", ma si ripercuote immediatamente sulle forme del lavoro che fanno uso di tecnologia "velocemente variabile".
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Da un lato abbiamo quindi, a causa della diffusione e della natura stessa di certa tecnologia, che la formazione si sviluppa fuori dagli istituti predisposti; addirittura, se si indaga tra gli occupati nel settore informatico relativamente alla loro provenienza formativa, si scoprono interessanti disomogeneità. Dall'altro si apre una problematica generale legata al tempo di durata della formazione che, per come é organizzata l'università, é assai lunga e rischia di creare un divario rispetto ai saperi immediatamente produttivi.
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Il settore della ricerca e dello sviluppo rappresenta il nodo centrale nel processo di innovazione e di espansione del mercato; gli investimenti in tali settori rappresentano sovente il capitolo preponderante nel budget delle imprese. Il primo dato da rilevare é che, a causa dell'avanzamento tecnologico, la politica di ricerca e sviluppo rappresenta una forma di investimento a rischio. Inoltre i costi per dar vita ad una politica seria in tal senso erano estremamente elevati e quindi solo le grandi imprese hanno potuto agire sul terreno della modernizzazione definendo al proprio interno processi di innovazione e di diffusione di know-how ad essa legati.
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Pertanto le forme che hanno caratterizzato la ricerca nei paesi a capitalismo avanzato si sono articolate su di una impalcatura rigida Stato-Impresa e, nel particolare caso italiano, questa impalcatura presentava una base triangolare ai cui vertici si ponevano università, enti pubblici di ricerca, enti privati di ricerca.
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Oggi il gap esistente tra sistema universitario e mondo del lavoro non solo é l'elemento motore di una trasformazione dell'università italiana intesa nella sua dimensione formativa: é altresì elemento di mobilità nell'impalcatura della ricerca. L'università italiana ha sempre avuto una peculiarità: mantenere unite almeno formalmente la didattica e la ricerca. Indubbiamente sarà proprio questo carattere unificante a venir meno. E' quindi esaminando le peculiarità dei due campi che può essere ricostruita una fisionomia complessiva del sistema universitario per il suo futuro.
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Per affrontare compiutamente la problematica delle modalità della ricerca in Italia é necessario riuscire a tracciare una cartografia dell'utilizzo tecnologico dei diversi segmenti di sviluppo economico e decifrare le caratteristiche che la tecnologia assegna a ciascuno di essi. Il primo dato su cui riflettere é il ruolo che la tecnologia riveste nelle specifiche forme produttive e nelle relazioni distributive, nel quadro dello sviluppo di un'economia più flessibile quale quella caratterizzata dalla piccola e media impresa.
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Occorre innanzitutto introdurre una prima differenziazione tra la ricerca "hard", ovvero l'avvio di progetti ad alto costo, e un processo di "diffusione" della tecnologia, che significa trasferire una data conoscenza da situazioni di avanguardia tecnologica ad un insieme più vasto di realtà.
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Significa, altresì, allargarne lo spettro applicativo in relazione a esigenze differenti, a finalità diverse ed in qualche modo dare vita ad un processo innovativo ramificato. Appare scontato che, quando si fa riferimento allo sviluppo dell'economia fondata sulla piccola e media impresa, é a questa dimensione dell'innovazione tecnologica che occorre far riferimento. Una seconda precisazione da fare é la seguente: quando parliamo di innovazione tecnologica non dobbiamo far riferimento esclusivamente alle modalità produttive, ma considerare in pieno il ruolo sempre più importante delle procedure di valorizzazione aggiuntiva di un prodotto, le forme di organizzazione aziendale e le problematiche di gestione e distribuzione. E' proprio in questi nodi della vita delle piccole e medie imprese che si configurano le condizioni di innovazione.
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Indubbiamente il passaggio al post-fordismo comporta la globalizzazione dell'economia e allo stesso tempo implica una forma di collegamento delle polarità produttive locali, potremmo definire questa fisionomia dei flussi finanziari, tecnologici e produttivi come la configurazione di "network", ciò ha determinato il venir meno della produzione centralizzata cui si é sostituita una produzione "esternalizzata" dentro la quale hanno trovato spazio imprese più piccole e più flessibili. Orbene, come qualcuno ha già azzardato, le fisionomie che caratterizzano lo sviluppo dell'economia italiana, un'economia dei distretti e delle filiere produttive, fanno sì che l'Italia, o meglio il Nord inteso nelle sue diversità, si ponga come esempio della trasformazione in atto.
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E' chiaro quindi che la trasformazione degli istituti formativi, in quella che sarà da un lato l'attività della ricerca e dall'altro la nuova forma della didattica, é tutta interna all'affermazione di questo modello.
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La caratteristica saliente di un'economia regionale quale quella affermatasi nel nord Italia può essere riassunta nel seguente enunciato: "la regione e non l'impresa diventa il luogo della produzione". Sempre più importante sarà la contiguità produttiva tra piccole e medie imprese, la rete di interessi che si svilupperà diventerà l'elemento non solo caratteristico ma innovativo. E' in questo contesto che la ricerca applicata si trasferirà nelle sue forme articolate.
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Se la grande impresa svolgeva al proprio interno sia i processi di learning by doing che le funzioni d'interpretazione e trascodifica dell'informazione tecnologica esterna, attraverso i propri dipartimenti di ricerca e sviluppo, l'economia regionale ovvero il "milieu locale, contrappone, a uso della piccola impresa che non possiede le relative strutture né la necessaria continuità temporale, una funzione collettiva di selezione e diffusione dell'informazione e processi di apprendimento collettivo che si realizzano e si incorporano nelle professionalità locali, nelle istituzioni locali" 2 .
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E' su queste linee di sviluppo che il divario del sistema formativo odierno nei confronti del mondo del lavoro, a causa di una sua strutturale arretratezza, andrà riducendosi. L'elemento che caratterizzerà la nuova struttura didattica, sarà quello di cicli formativi di indirizzo più brevi rispetto a quelli attuali. A riguardo diventano esemplari non solo i dati di iscrizione degli ultimi anni, che vedono una crescita notevole delle lauree brevi, ma le analisi sempre più condivise nel settore dell'ingegneria - il settore formativo maggiormente connesso con il mondo del lavoro - analisi secondo le quali l'insieme delle informazioni acquisite in un iter formativo della durata media di 6-8 anni non sono spendibili nel mondo del lavoro.
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Oggi, come é stato dimostrato, non si produce più per un mercato in perenne crescita 3. Il passaggio da un modello di accumulazione "rigido" ad uno caratterizzato dall'introduzione di tecnologie e forme organizzative flessibili annulla l'idea stessa della programmabilità della produzione; viceversa le merci prodotte dalle imprese necessitano, per avere uno sbocco, di una fitta rete di commercializzazione sul mercato. Solo incorporando saperi e conoscenze si può produrre per competere. E' evidente l'importanza che gli istituti formativi - le università in particolare - avranno nei prossimi anni nella formazione di forza-lavoro, per rispondere a queste esigenze.
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I giovani, la forza-lavoro al di sotto dei trent'anni, sono coloro che subiranno maggiormente questo passaggio epocale nell'organizzazione del mercato del lavoro: part-time, lavoro a domicilio e precariato a ciclo contino sono le dinamiche sulle quali si fonda la logica del decentramento produttivo. Un processo esattamente opposto a quello caratterizzato dal sottosviluppo o dalla sottoutilizzazione delle risorse produttive; ci troviamo di fronte al più moderno dei meccanismi di sfruttamento di tutto il lavoro sociale. Anche nei settori del lavoro intellettuale maggiormente qualificato assistiamo ad un processo analogo: la segmentazione del mercato del lavoro corrisponde alla nuova organizzazione della produzione su scala locale.
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Se oggi l'università, che resta il luogo privilegiato della produzione immateriale, é impegnata nella ricerca di "merci strategiche" per il mercato, appare evidente come il momento della formazione può diventare il terreno di scontro tra una cultura destinata all'impresa, alle esigenze dell'innovazione tecnologica e alla flessibilità del mercato del lavoro ed una "cultura autonoma", intesa come domanda di sapere interna all'autorealizzazione della forza lavoro sociale, come domanda di conoscenza per la trasformazione della realtà.
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Sinteticamente possiamo dire che la scommessa di una rinnovata progettualità antagonista sarà quella di misurarsi sulla delicata questione dei saperi, sulla loro possibilità di diffusione e circolazione in un circuito in cui prevalga solidarietà, mutualismo dal basso e democrazia radicale.
1 in Ripensare la tecnologia (a cura di Mariella Berra) Luciano Gallino, Automazione ricorsiva e mercato del lavoro. Bollati Boringhieri, Torino 1995, pag. 45.
2 in Roberto P. Camagni, Dal milieu locale alla creazione tecnologica, pag. 80, Ripensare la tecnologia....
3 si veda Andrea Fumagalli, Reddito di cittadinanza e riduzione dell'orario di lavoro in Derive Approdi,Anno IV, n. 9-10, febbraio 1996, pag. 31-33