Signor Presidente,
E' con grandissima attenzione che abbiamo seguito la gestione governativa del "dossier" dei Sans-papiers. Lo Stato francese ha già rifiutato Polacchi, Croati, Russi e persone di tanti altri paesi. Questo rifiuto ha assunto carattere dimostrativo e mediatizzato, rendendo famose in tutto il mondo le espulsioni d'africani tramite charters. Queste azioni, ripetute con l'accanimento di una operazione sanitaria, ci hanno lasciati senza parole. Con S.Bernard, abbiamo capito che il nostro silenzio sarebbe stato interpretato come un'autorizzazione ad attentare alla nostra dignità umana.
Così saremmo noi immigrati la fonte di tutti i mali della Francia, di tutti i crimini. Ciò che si insinuava vent'anni fa è oggi amplificato. Esperti in islamismi e africanismi diversi l'hanno razionalizzato sulla base delle nostre "differenze culturali". La stampa lo ha banalizzato. Uomini politici di destra, del centro e della sinistra, proclamando la loro volontà di fermare gli estremisti, sono scesi in strada ad ascoltare la voce popolare ancora calda del malcontento contro gli "invasori" per poi dire ad alta voce in televisione ciò che, sembra, si diceva a voce bassa.
Prima della scoperta della "frattura sociale", esperti e politici stabilirono colpevoli universali. La disoccupazione si espandeva e ne eravamo già noi la fonte; noi, gli ultimi ad essere assunti, i primi ad essere licenziati, subito forniti del viatico per il ritorno incondizionato nel nostro paese. Il deficit del Welfare? Siamo noi. Contemporanamente i signori Pasqua e Pandraud, poi Bianco e Marchand, poi di nuovo Pasqua, lavoravano attivamente a restringere perfino il diritto elementare di vivere in famiglia. Il livello scolastico si abbassava negli istituti? La delinquenza cresceva nelle città? Le periferie senza identità e socialità? Sempre noi! Per non parlare dei mezzi finanziari, e non solo, di cui necessita la scuola pubblica, delle pratiche di certi commissariati di polizia in cui si spara sui nostri figli come sulla selvaggina, della deprimente architettura dei nostri quartieri periferici: ancora e sempre noi, noi e le nostre culture tanto "lontane" e "inassimilabili".
Più sofisticati, certi economisti affermano, rimodellando la realtà, che la competitività industriale francese sarebbe stata migliore se il padronato non avesse ceduto alla facilità d'uso della nostra forza-lavoro. Così noi, la legione straniera delle "trente glorieuses", dovremmo pagare sempre di più per la nostra ignoranza, per non essere riusciti ad usare altro che il martello pneumatico e i camion per la nettezza urbana.
Attraverso i dibattiti sull'applicazione di Schengen e le difficoltà per costruire l'Europa ci viene ricordata ogni giorno la nostra colpevolezza di respirare l'aria di Francia. La nostra esistenza sarebbe la causa principale degli ostacoli alla crescita del benessere generale.
Non perderemo altro tempo a denunciare questo modo di attribuirci sempre la colpa di tutto, tanto Lei sa benissimo che non ha senso. Eppure avremmo potuto farlo. Più volte avremmo potuto confrontare i dati, quelli veri contro quelli falsi. Avremmo potuto ricordare come lo Stato francese abbia fatto ricoprire le loro cariche ai nostri dittatori attraverso la forza militare, per poi accoglierli assolti in Francia una volta cacciati dai nostri paesi. A cosa sarebbe servito? Più modesti, Le scriviamo che non possiamo più accettare in silenzio che, invece di parlare dei problemi cruciali della società francese che viviamo noi, i più deboli, francesi o no, si agiti sempre il fantasma degli immigrati e della loro responsabilità di tutti i mali della società francese.
Signor Presidente,
Di questa tendenza massiva ad attribuirci tutte le responsabilità, dimenticando il nostro contributo pratico e plurisecolare, Lei non è responsabile. Quindi non avevamo niente da rimproverarLe.
Però avremmo dovuto. Quando si è parlato del nostro "odore" e dei 50.000 FF di sussidi familiari che secondo Lei prendevamo al mese, la nostra indignazione è stata moderata. Forse tanti di noi avevano preferito considerare il fatto come un'esagerazione dovuta alla calda campagna elettorale di allora e che il suo "eccesso di Lepenismo" sarebbe sparito una volta eletto, almeno più rapidamente della Sua volontà proclamata di lottare contro la "frattura sociale". Non pensavamo allora che la nostra eliminazione dal paesaggio francese sarebbe stato il "segnale forte" di questa lotta alla povertà.
Noi, africani di S.Bernard, di Vincennes o di qualsiasi posto, conosciamo benissimo questa "frattura" perché la viviamo ogni giorno. Noi e anche i nostri amici, francesi o no, i nostri vicini di casa, i nostri colleghi di lavoro, con cui viviamo, parliamo, ascoltiamo. Tutti quelli come noi, presi in questa "frattura", che scendono ogni giorno più giù nella povertà, sanno come è difficile arrivare alla fine del mese, pagare le bollette e la mensa a scuola dei figli, trovarsi la corrente tagliata ... Pensano davvero che siamo noi i responsabili della loro sempre più grande povertà?
Questi "buoni francesi", in quanto "veri francesi", che erano davanti alla chiesa per difendere la nostra causa sotto gli imperturbabili colpi di manganelli, potranno, Lei crede, essere rassicurati sul proprio futuro da un charter, o cento, anche in partenza di notte per evitare la mobilitazione?
Signor Presidente,
ci permetta di dubitarne. Anche se non dubitiamo più, noi africani, di essere stati scelti come comodissimo oggetto politico perché da sempre "buoni per tutto". Buoni come schiavi per coltivare lo zucchero, buoni per andare a fare la guerra e partecipare alla riconquista della libertà della Francia, buoni con le nostre braccia per le vostre industrie, le vostre strade, i vostri campi. Il "segnale forte" che ci avete mandato ci ha colpito dappertutto. Da Dunkerque al Cap, l'abbiamo sentito: "Che tutta la miseria del mondo capisca quanto potrà essere doloroso venire in Francia".
Adesso che siamo buoni solo a dare un esempio, che paura abbiamo di non essere più in regola? Già nei formulari di assunzione per un lavoro ci viene chiesto non più solo se siamo Francesi, ma se lo siamo diventati per acquisizione, per reintegrazione o per matrimonio. In molti quartieri in cui viviamo, il 95% degli africani sono disoccupati. I nostri figli perdono spesso il diritto alla nazionalità francese e anche con i documenti in regola la "preferenza nazionale" è applicata quotidianamente senza che Le Pen abbia esercitato il potere. D'altronde a cosa servirebbe Le Pen quando, da dieci anni, altri fanno, omeopaticamente forse, però altrettanto bene, ciò che Le Pen ha programmato?
Adesso se uno o una Francese si innamora di una o uno di noi, cosa che può sempre succedere, deve chiedere, anche se è ridicolo, se l'altro/a è in regola. Il postino, il controllore di tram o di metropolitana, la portinaia o il vicino di casa, sono pronti a diventare poliziotti. Con le telefonate anonime che ricevamo spesso per urlare il nostro cognome e "Torna a casa", siamo arrivati al massimo dell'assillo telefonico tanto caro ad un certo partito.
Signor Presidente,
I nostri concittadini francesi le hanno affidato il potere un anno e mezzo fa e noi ci ritroviamo di nuovo colpevoli di tutti i problemi.
La nostra dignità, il rispetto che diamo e che ci deve essere reso, l'aspirazione a una maggiore libertà manifestata da centinaia di noi, la banale volontà di costruire per i nostri figli un futuro accettabile, questi obiettivi nobili si trovano adesso squalificati. Perché abbiamo attraversato il Mediterraneo saremmo solo documenti, bocche, e pance. Neanche più esseri sottoposti a "corvée" come in certi tempi, né carne da cannone, ultimi bastioni per la libertà francese come in altri tempi, ma semplicemente individui in soprannumero, solo interessati dalla carità: "Tornate a casa vostra, passeremo ad aiutarvi", "sarete integrati a condizione che i negri cattivi siano espulsi". Per i motivi che Lei capisce bene, Signor Presidente, troviamo l'una e l'altra di queste offerte indegne e le rifiutiamo globalmente.
A prezzo di duri sacrifici, i lavoratori del Mali, e non solo loro, mandano annualmente ai loro fratelli rimasti nel loro paese, denaro che permette di aprire scuole, ambulatori,... Un denaro guadagnato soldo dopo soldo e che l'intero aiuto ufficiale francese non ugualierà mai. Aiuto che serve inoltre a sovvenzionare l'industria francese: i prodotti comprati con questo aiuto sono molto spesso prodotti in Francia.
Abbiamo scelto di parlare del Mali perché il loro modello di autogestione, spesso sottolineato dalle Ong come esempio da seguire, è stato molto criticato da un deputato della vostra maggioranza nel suo scandaloso rapporto per la Camera dei Deputati sui centri di accoglienza: "Con un reddito di 4.900FF, sono capaci di mandare 3.400FF nel loro paese, ciò non può che favorire il flusso di immigrazione clandestina".
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Signor Presidente,
per mesi gli Africani di S.Bernard hanno chiesto un dialogo. Perché aver mandato più di mille celerini, con scudi di plexiglas, manganelli e ascie contro le porte di una chiesa che proteggeva bambini?
Queste donne, questi uomini avevano forse rubato, ucciso, violentato bambine, messo bombe, svaligiato banche, profanato tombe? No, no, no e no: semplicemente non avevano un documento. Questa vostra risposta ci stupisce.
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Abbiamo avuto l'onore di esprimerLe, con gravità, la nostra estrema inquietudine di fronte alle umiliazioni di cui noi Africani siamo sempre più oggetto. Dovevamo dirLe queste cose, ma creda nel nostro profondo rispetto e nella nostra intera disponibilità.