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      Biennale Giovani Artisti d'Europa e del Mediterraneo

      Sarajevo Workshop
      sept/oct 1998

      projekt:
      valerio bindi
      francesca iovino
      danijela madacky
      joaquìn marìn màrquez
       

      Molti luoghi. Qualsiasi luogo può essere occupato, ogni spazio deve essere vissuto. Tutta la città appartiene a chi la abita, a chi ride gioca si muove, percorre le sue strade. Tracciando piccoli solchi continui, segni improvvisi e indistinti di un attraversamento quotidiano o di una esplorazione momentanea.

      La maggior parte dei luoghi. E' necessario prendere possesso di spazi senza limiti, sentirsi ovunque, poter cambiare la visione ordinaria di un luogo per espandere le opportunità di interpretazione e immaginazione. Sono qui che abito questo luogo, e il mio stare o il mio passare condiziona il perimetro, il disegno e soprattutto l'aspetto di questa città. Non si tratta di una zona particolare su cui intervenire, su cui lasciare un segno finito, come se quello che accade sia parte di un solo confine, entro una sola immagine in un solo tempo.

      Sarajevo. La città è in una conca. Tutt’intorno colline, postazioni ottimali per un controllo dall’alto, oltre che per case basse, magari con giardino, che si disperdono con l’aumentare della pendenza. Prima di raggiungere Sarajevo, molti agglomerati sparsi nella cfampagna e tra le colline. Praticamente fantasmi di piccoli paesi, con le case ridotte ormai a scheletri di soli muri, tutti senza tetti, infissi, porte e finestre. Un paesaggio svuotato, abbandonato, sottratto, che circonda e sui avvicina alla grande città.
      E lì dentro, ancora molti segni.
      I palazzi traforati e rintonacati, le finestre con i vetri nuovi e quelle che sono ancora coperte con teli di plastica. Mentre i vuoti, quelli provocati, programmati, sono squarci nella città, spazi di pericolo potenziale e allo stesso tempo, aree di riflessione per prossime possibili evoluzioni. Comunque, territori da attraversare con attenzione. Tanto che al vuoto fisico, concreto, corrisponde l’abbandono di questi luoghi, come la delimitazione di zone pericolose al semplice passaggio. Tanto che si preferisce l’asfalto per sostare, camminare, giocare nella città. Perché è la parte più sicura, quella più percorsa, quella vissuta ancora una volta.

      Più luoghi. Sarajevo 1000 giorni di assedio. La resistenza degli spazi, la resistenza della vita, della forza di recuperare il proprio ambiente e i propri tempi. Una città che deve essere 'raggiunta' ancora, trasformata e svelata nelle sue molteplici identità.
      Per creare una nuova compenetrazione tra i corpi e gli edifici, le strade e i giardini che la compongono.
      Una deriva intorno ai percorsi ai mercati ai palazzi. Mentre c'è chi racconta che la guerra finiva quando la città veniva attraversata un'altra volta, senza paure. Quando i viali e i ponti erano i passaggi di sempre, quando lo spazio urbano veniva riposseduto, rioccupato. Una città segnata ora, dai solchi che perforano l’asfalto, dai buchi che segnano gli edifici, dai vuoti tra le case e denrto i palazzi. Vuoti presenti, perdite che sono ora inevitabilmente mancanze. Zone di resistenza e luoghi resistenti in cui riconoscere ambiti di ricostruzione, di riedificazione, ma soprattutto, spazi per definire nuovi frammenti urbani. Aree da riempire o da lasciare libere, verso la costituzione concreta di nuove identità spaziali per ridefinire e svelare una città che riprende il suo flusso.
      Nuove interpretazioni quindi, e nuove singolarità, emergenze, tracce, da inserire e sviluppare non soltanto per stabilire presneze o immagini diverse, ma soprattutto per sottolineare un concreto coinvolgimento e riappropriazione degli ambiti, dei luoghi, degli attraversamenti e delle ‘mancanze’ che compongono questa struttura urbana.
      Così si sente il bisogno di agire diretti e visibili tra questi edifici e questi percorsi.

      I luoghi del ponte. E' il passaggio da un lato all'altro del fiume. Sono i raccordi artificiali che segnano l'immediata percorrenza, quella trasversale, ma anche quella più esposta, in cui il riparo è impensabile e la fuga difficile.
      Ecco questo è lo spazio per un'immagine straniante, per costruire una permanenza che significhi appropriazione o re-impadronimento. Che definisca lo stare come la possibilità illimitata di trasformare per poter lasciare la propria traccia e per indicare differenti direzioni di mutazione, come un rito per una ricostruzione possibile.

      Mostplaces - un parco giochi.
      La maggior parte dei luoghi ed anche i luoghi del ponte.Un parco giochi in mezzo alla città. Un piccolo spazio di divertimento, di suoni colori parole immagini. Di corpi che dondolano dalle altalene mentre altri si immergono nella sabbia, di figure che scalano le strutture bianche d'acciaio lanciando suoni e richiami a chi, in basso si agita tra i colori. Non c'è nessun limite per partecipare. Tutti possono essere coinvolti, tutti possono intervenire. I giochi sono semplici, basta afferrarli, muoversi con loro, lasciare libera la propria espressione. Ci sono pennelli per i colori e per la scrittura, carta e stoffa su cui dipingere e proiettare, suoni per immergersi. Alla ricerca di una interazione continua tra diverse espressioni, diverse forme e differenti modi per abitare cambiare e riconquistare la città.

       

      MOSTPLACES
      Many places.
      Any place can be occupied, any space has to be lived. All the city belongs to who lives it, to who laughs plays moves, goes through its streets. By tracking little continous furrows, sudden and indistinct signs of a daily crossing or of a temporary exploration.

      Most of places. It's necessary to take possession of unlimited spaces, feel everywhere, be able to change the ordinary vision of a place for spreading the opportunities of interpretation and imagination. I'm here that dwell this place and my own staying or my own crossing conditions the perimeter, the drawing and most of all the appearance of this city. It's not a question of a particular zone on which intervene, on which leave an ended mark, as if what happens it is part of an only border, within an only image in a unique time.

      Sarajevo. The resistance of the spaces, the resistance of the life, of the strenght for recovering its own environment and its own times. A city that has to be reached again, transformed and revealed in its manifold identities. To create a new penetration among bodies and buildings, streets and gardens, that form it. A drift around the paths the markets the blocks. While there is who tells that the war ended when the city was crossing one more time, without frights. When the alleys and the bridges were the usual passages, when the urban space was re-possessed, re-occupied. So one feels the necessity to act directly and visibly among these buildings and these paths.

      The places of the bridge. It is the passage of the river from a side to the other. They are the artificial links that mark the immediate route, that is transversal, but also the most exposed, in which the shelter is unthinkable and the escape is difficult. This is the space for an enstranging image, for making a stay that means appropriation or re-seizing. That defines the abiding as the unlimited possibility to transform for being able to leave its own trace and for suggesting different directions of change, as a rite for a possible reconstruction.

      Mostplaces - a game park. Most of places and also the places of the bridge. A game park in the middle of the city. A small amusement space, with sounds colors words images. With bodies that swing from the swings while others are sunk in the sand, with people that climbs the white iron structures throwing sounds and calls to whom down, fiddles among the colors. There isn't any restriction for joining. Everyone can be involved, everyone can intervene. The games are simple, it's enough to catch it, move with them, let free your own expression. There are brushes for the colors e for the writing, paper and cloth on which painting and showing, sounds for submerging. In search of a continous interaction among different expressions, various forms and different ways for dwelling changing and reconquering the city.

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    SCIATTOproduzie:valerio bindi cecilia de biase francesca iovino
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