14 AGOSTO 2000
I l comitato "Liberiamoci dal carcere" in giro per il carcere di Secondigliano
Lunedì 14 agosto, dopo le visite effettuate in questi ultimi mesi negli Istituti di Poggioreale e Pozzuoli, ci siamo recati in visita presso l’Istituto penitenziario di Secondigliano (Na). L’Istituto pensato per 730 persone ospita attualmente 1300 detenuti. Il carcere seppur di recente costruzione (1991) è stato oggetto di due inchieste della magistratura su presunti maltrattamenti da parte della polizia penitenziaria nei confronti dei reclusi. Da una di queste inchieste è nato un processo che vede attualmente imputati 20 agenti di polizia penitenziaria con l’accusa di maltrattamenti, sono dieci detenuti parte lesa.
La nostra visita è cominciata
dall’accettazione, nella quale oggi non troviamo solo i detenuti “in
transito” verso altre sezioni, ma detenuti accolti stabilmente
in quest’area dell’Istituto a causa del sovraffollamento.
E’
proseguita poi con il Centro Clinico. Su
più di cento detenuti oltre un terzo (35) affetti da HIV. Le loro storie si
somigliano, passato da tossicodipendente, piccoli reati, la scoperta della
malattia (spesso fatta durante la detenzione). Abbiamo riscontrato la evidente
incompatibilità di alcune patologie con lo stato di detenzione. Tra gli altri
M.C affetto da HIV, costretto alla sedia a rotelle, L.M. costretto a letto da
una violenta asma, entrato in carcere diciottenne, in sciopero della
fame da oltre una settimana,
gli manca un anno al fine pena e vorrebbe poterlo scontare fuori. In
molti casi le condizione di salute dei detenuti affetti da Hiv sembrano
incompatibili, ma il tribunale di sorveglianza
non sembra pensare allo stesso modo. Nonostante ci sia in alcuni casi il
parere favorevole degli stessi medici del centro clinico, il tribunale rigetta
le istanze di incompatibilità, affidandosi ad un’interpretazione restrittiva
della legge su Hiv e carcere (231/99).
Notiamo che comunque dopo
questi mesi trascorsi in un clima
di forte tensione dovuto alla aspettativa
di un provvedimento di amnistia, i
detenuti i sfiduciati, sono tornati
alla “normalità carceraria”. Cessato il clamore delle prime pagine il
carcere torna alla sua quotidianità, ma c’è poco da essere soddisfatti. La
normalità di Secondigliano è, a
nostro parere, ben fotografata dal documento che gli educatori dell’istituto
hanno letto al presidente Gian Carlo Caselli. E’ una lettera che esprime con
chiarezza il senso di impotenza di chi ogni giorno si trova ad avere a che fare
con una realtà che, nonostante ogni sforzo sembra immodificabile. Scrivono gli
educatori “A Secondigliano sono in servizio 900 poliziotti penitenziari e 9
educatori (su un organico previsto di venti unità); il rapporto
operatore/utente per questi ultimi è di 1 a 170 (essendo due unità impiegate
esclusivamente nel ‘reparto verde’). Gli psicologi sono appena 5, assunti
con convenzioni che pagano 305 ore mensili di consulenza (circa mezzo
minuto al giorno per utente). I detenuti con posizione giuridica di
definitivo, quelli per cui la legge impone di attivare la cosiddetta
osservazione scientifica della personalità, sono quasi 900. L’ufficio
educatori di Secondigliano nel 1999 ha ‘prodotto’ 6.073 relazioni di
osservazione, 350 consigli di disciplina, 11.120 colloqui individuali. Oltre
l’80% del tempo di lavoro di un educatore di Secondigliano è stato speso
nell’espletamento di queste tre sole mansioni.
Per le richieste di intervento e di aiuto,
tragicamente rappresentate dall’esplosione dei suicidi e degli autolesionismi,
le domande di formazione ed orientamento, le aspettative di fuoriuscita
anticipata dal carcere, le esigenze di informazione e ‘tutela legale’, i
bisogni di assistenza sociale e sostegno alla dismissione, [……], il sostegno
per gli ammalati e per chi è in difficoltà a vivere, per tutto questo
Secondigliano può garantire al momento meno di un’ora al giorno del tempo di lavoro di un educatore, a
cui si aggiunge il mezzo minuto/utente degli psicologi.
Gli educatori di Secondigliano comunicano
che non sono in grado di garantire null’altro oltre il formale adempimento
delle richieste di relazioni che provengono dalla Magistratura di Sorveglianza,
l’espletamento dei colloqui chiesti dai detenuti, lo svolgimento dei consigli
di disciplina e gli interventi di sostegno verso coloro che si autolesionano o
tentano il suicidio. Per il resto, non
possiamo assicurare nessuna fattiva collaborazione”
Questo documento
fotografa non solo Secondigliano ma la realtà peniteniziaria italiana.
Dal 1990 ad oggi si è assistito ad un’ impennata dell’utilizzo dello
strumento penale come risolutore di conflitti sociali. Nel corso di dieci anni
il numero di reclusi è più che
raddoppiato passando dalle 25.000 alle
54.000 presenze. Oltre un terzo di queste presenze è composto da immigrati e
tossicodipendenti. Il numero di appartenenti alla criminalità organizzata non
supera le 8000 persone. Motivo del
drammatico sovraffollamento delle carceri oggi, è secondo noi ,un’ insensata
inclinazione alla politica della tolleranza
zero . Politica veicolata sfrontatamente da giornali e televisioni,
impegnati in una sistematica enfatizzazione dei fatti di cronaca ed in
un'oggettiva collaborazione nel determinare più voglia di carcere in certi
comparti della nostra società.. Il
carcere è oggi discarica sociale osserva il
presidente del Dap Caselli. Il
carcere, aggiungiamo noi, è la misura di quanto sia classista in Italia il
processo penale, di come i numeri
tristemente smentiscano ogni ipotesi di uguaglianza sostanziale di fronte alla
legge. Più carcere come soluzione unica alle contraddizioni aperte dai mutamenti epocali che non solo
il nostro paese sta attraversando sono la sostanza reale del problema. Si tratta
di discutere della forma-carcere e della giustizia penale nel suo insieme, con
particolare riferimento alle norme riguardanti la cosiddetta microcriminalità.
Il
carcere è diventato, in questi anni, il sostituto delle politiche sociali,
ristrutturazione. Chi lo affolla è il prodotto dell'esclusione urbana,
intrappolato in una circolarità perversa fatta di dentro
fuori dentro come unica possibilità di sopravvivenza. Si tratta ora di pensare a un modello che riduca l’utilizzo dello
strumento penale per la risoluzione di conflitti, di modificare quell’intero
apparato legislativo che ha di fatto condannato tossicodipendenti e immigrati a
un perenne circuito di illegalità, e che ci abitua tutti a considerare il
carcere “necessario”, si tratta di ricostruire, a partire da queste migliaia
di vite recluse, una libertà che appartenga a ciascuno di noi.
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