Aumentano produttività e profitti ma non si riduce la disoccupazione.

In Italia così come nell’intera Europa, l’unificazione economica sotto il segno delle politiche neoliberiste (controllo dell’inflazione, privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, flessibbilità del lavoro) produce un progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro della stragrande maggioranza. Questo è  il risultato di un mercato mondiale che da un lato si restringe sempre di più, (ci sono sempre meno individui e popolazioni in grado di acquistare i prodotti offerti), e dall’altro è intasato da una quantità di merci e da una capacità produttiva immensa.

 I costi della crisi e del conseguente inasprirsi della concorrenza globale intercapitalistica si scaricano sui lavoratori e le classi sociali meno agiate.

Nel contempo è andata crescendo l’opera di aggressione e di manomissione politica, economica, finanziaria, e militare verso i paesi del sud e dell’est del mondo.

La recente aggressione imperialista alla ex jugoslava così come i cosiddetti interventi umanitari in IRAK, in Somalia, in Bosnia in Albania, a Timor est, che in realtà servono ad aumentare la concorrenza tra i lavoratori di questi paesi sempre più asserviti e la manodopera locale, sono l’altra faccia, quella più estrema, del quotidiano attacco, a cui siamo sottoposti, nel cuore della metropoli occidentale.

Del resto il trattamento che i nostri governanti riservano ai fratelli immigrati (espulsione, centri di detenzione temporanea, moderne forme di schiavitù, prostituzione ….) è la puntuale conferma di come l’opera di rapina imperialista è orientata unicamente al supersfruttamento generalizzato, ed alla distruzione di ogni ostacolo ai programmi di dominio e comando perseguiti dal fondo monetario internazionale, Banca mondiale, organizzazione per il commercio internazionale, per conto dei padroni del mondo.

In Italia licenziamenti, cassa integrazione, precarizzazione del lavoro sono il risultato di una nefasta concertazione che trascina verso il basso il settore privato  così come quello pubblico, vanificando diritti e garanzie  salariali, politiche, sindacali, previdenziali conquistate in decenni di lotte operaie e impresse con il sangue nello statuto dei lavoratori.

Le politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro (contratti a tempo determinato, di formazione-lavoro, di apprendistato, part-time, di week-end, di collaborazione occasionale) sbandierate come politiche occupazionali, hanno in realtà l’unico scopo di abbassare ulteriormente il costo della forza-lavoro: il risultato è la precarizzazione del già poco lavoro esistente e la  legalizzazione di fatto del lavoro nero sottopagato e senza garanzie. Parallelamente si smantellano i collocamenti in particolare al sud luoghi di spartizioni e clientele politiche, per lasciare lucrare le agenzie private del lavoro interinale, multinazionali fornitrici di lavoro precario, a più basso costo alle imprese, mentre le stesse licenziano i propri lavoratori, diventati “troppo costosi”; con l’estensione dell’intermediazione privata anche per le basse qualifiche si  riconosce legalmente  il caporalato.

Dentro questa ristrutturazione del mercato del lavoro, le aree meno sviluppate sono condannate a rimanere periferie nel cuore dell’impero capitalista, sacche enormi di disoccupazione da usare come arma di ricatto , per attaccare ulteriormente diritti e salari dei lavoratori. Una divisione artificiosa che ha lo scopo di contrapporre il fronte dei lavoratori occupati, “garantiti”, ai disoccupati, ma anche  gli stessi occupati al loro interno utilizzando ad esempio le cessioni di ramo d’azienda (esternalizzazioni) consistenti nella vendita di attività e lavoratori a ditte esterne.

Qui, in “periferia”, accanto al lavoro nero, degrado e miseria, regnano insieme a rassegnazione e criminalità.

Parallelamente procede lo smantellamento del cosiddetto stato sociale (sanità, previdenza, assistenza sociale), mentre i prezzi di luce, acqua, gas, comunicazioni, trasporti, nettezza urbana sono in continuo aumento per i processi di privatizzazione che fanno di questi servizi, nuovi settori di mercato dove vigono le medesime regole del profitto e della concorrenza.

L’istruzione viene definitivamente trasformata da diritto di tutti a “privilegio” per i pochi che possono permettersela, costringendo gli studenti provenienti da famiglie meno agiate ad ulteriore marginalità e sfruttamento per pagarsi gli studi e costruirsi una propria autonomia.

Alla base di questa trasformazione che vede una drastica riduzione dei finanziamenti statali, le riforme degli anni 90 (autonomia scolastica ed universitaria), che fanno di scuola ed università aziende private concorrenti per  la ricerca di sponsor disposti ad investire.

In questi veri e propri supermercati del sapere l’obbiettivo diventa quello di condizionare i programmi di ricerca, formare  lavoratori altamente specializzati da usare a proprio uso e consumo, usufruire di forza lavoro gratuita tramite gli stage di formazione (vedi i casi della fiat che   apre una la facoltà’ di ingegneria  automobilistica a Torino e la barilla  che  finanzia quella di chimica genetica a Parma).

SI SALUTA COSI’ DEFINITIVAMENTE  QUALSIASI IPOTESI DI UNIVERSITÀ’ PUBBLICA, LIBERA DAI CONDIZIONAMENTI DEL MERCATO, ACCESSIBILE A TUTTI E LUOGO DELLA FORMAZIONE DI PENSIERO CRITICO, ADOTTANDO CHIARAMENTE UN MODELLO ALL’ AMERICANA, DOVE L’ISRUZIONE-FORMAZIONE E’ STRETTAMENTE CONNESSA AGLI INTERESSI ECONOMICI CHE ESISTONO SUL TERRITORIO E ,DUNQUE, NECESSARIAMENTE ELITARIA E SCHIAVA DEI TEMPI E DELLE ESIGENZE DEL MERCATO.

Tutto cio’ sta comportando un’ accelerazione dei processi di selezione sia direttamente attraverso il numero chiuso, l’aumento delle tasse, l’obbligatorieta’ dei corsi generalizzata tramite il sistema dei crediti  formativi, che indirettamente  sottraendo diritti e servizi: in primo luogo la casa per gli studenti fuori-sede, l’ accesso alla cultura (libri, biglietti per il teatro, cinema, concerti che  venivano venduti a prezzi scontati  per gli studenti) e poi ancora la mensa, i trasporti  e tutti gli altri servizi che oggi tocca pagare,  rendendo sempre piu’ difficile  l’ accesso all’universita’ per gli studenti  economicamente piu’ disagiati .

A tutto ciò va ancora aggiunto il dramma abitativo che con l’abolizione dell’equo canone, l’assenza di concrete politiche di edilizia pubblica e la svendita del patrimonio immobiliare dello stato, aumenta la speculazione dei privati, costringendo migliaia di famiglie ad ulteriore precarietà.

Nella città di Napoli e provincia ai senzatetto ed alle migliaia di sfratti in procinto di esecuzione, si somma la difficile situazione di studenti fuorisede ed immigrati costretti a pagare affitti esorbitanti, chiaramente al nero,  per case spesso fatiscenti. Lo storico disagio si è aggravato definitivamente con la nuova legge sui fitti approvata dal Centro-sinistra e firmata da tutti i sindacati degli inquilini, con la quale si abolisce ogni forma di controllo sulle locazioni.

 

Il peggioramento complessivo delle condizioni di vita e di lavoro è il risultato di un processo generale di precarizzazione lavorativa e sociale, iniziato a partire dalla fine degli anni 80 che ha avuto una sostanziale continuità nelle scelte di politica-economica degli esecutivi che si sono succeduti, fino all’attuale governo di CENTRO-sinistra, presieduto da D’alema e sostenuto dalla  confindustria. Un governo che in nome di un presunto pericolo di destra non ha esitato a governare per gli interessi degli imprenditori, accelerando l’attacco ai diritti, ai salari, al potere ed alle garanzie sociali imposti con la lotta di classe. Insieme alla peggior classe dirigente della “prima repubblica”, ai vecchi fratelli di partito, all’opposizione da poltrona e parolaia dei sedicenti comunisti è riuscito la dove lo stesso Berlusconi aveva fallito.

La complicità del sindacato, capace solo di concertare i tempi della resa al nemico, sulla pelle dei suoi stessi iscritti, ha rappresentato l’elemento addizionale di blindatura del potere, il fattore determinante di pacificazione sociale e di ulteriore divisione nelle fila proletarie.

L’unica occupazione che aumenta è quella nelle forze di cosiddetta sicurezza per militarizzare ulteriormente i territori. Nell’incapacità di risolvere le contraddizioni prodotte da questo stesso sistema sociale si trasforma progressivamente la società in un carcere, il disagio in un problema di “ordine pubblico”. La sola costante risposta alle lotte resta la criminalizzazione dei movimenti, le manganellate, le denunce, gli arresti,  la persecuzione dei compagni. Il solito copione repressivo che non è mai riuscito a fermare le lotte e così ancora nuova ed inutile occupazione, nelle forze del disordine s’intende.

Tuttavia in questi mesi, nel sud in particolare, sono avanzati anche i processi autonomi di organizzazione di singoli spezzoni di classe che hanno dimostrato unendosi  di poter resistere, nonostante la sporadicità, la limitateza, l’embrionalità.

Nostro compito è quello di procedere in questa direzione rafforzando ed estendendo ad altri settori questo piccolo, ma significativo fronte di classe composto per ora da movimenti di disoccupati e precari LSU, studenti, operai, militanti dei centri sociali. La mobilitazione unitaria che a Napoli questi settori sociali sono stati capaci di costruire, si è tradotta in un rafforzamento delle singole vertenze consistenti nella rivendicazione di assunzione degli LSU nella P.A. e nell’accesso dei disoccupati alla formazione professionale, pubblica e finalizzata che vanno necessariamente perseguite fino alla vittoria. Tuttavia ciò che impressiona e preoccupa la controparte non è semplicemente l’accresciuta quantità di piazza, sicuramente importante, ma la possibilità di allargamento del fronte, la sua  capacità di essere soggetto politico generale, la volontà di andare anche oltre le specifiche vertenze locali, pur partendo dalla materialità dei bisogni e degli obiettivi immediati.  

In questo senso le singole vertenze vanno sostenute nei momenti determinanti, tuttavia le già sperimentate forme di coordinamento unitario intese come “agenzie di mutuo soccorso” hanno dimostrato che la semplice sommatoria delle vertenze e delle soggettività in lotta non alimenta sufficientemente quei processi generali di aggregazione e ricomposizione proletaria che, solo loro, possono invertire la tendenza, far passare la classe subalterna dalla resistenza al contrattacco : il pericolo, da questo punto di vista, è l’ assolutizzazione della propria parzialità, la cristalizzazione della lotta che dà sponda alle farneticanti accuse di governo media e padronato sul presunto “corporativismo” dei movimenti.

Bisogna, essere consapevoli del fatto che ogni vertenza vive dei propri tempi, delle specifiche necessità, dei soggetti direttamente interessati e quindi non può costituire il terreno unitario d’azione dei milioni di proletari colpiti dalla precarietà e dalla disoccupazione, dall’ assenza di garanzie lavorative e sociali.

Questa oggettiva differenziazione, al di là delle volontà dei singoli compagni e militanti, può prevalere anche oggi se non sapremo impostare una vera lotta unitaria e generale che sappia rilanciare in avanti l’ iniziativa proletaria.

 

Per questo motivo crediamo sia giunto il momento di impegnarci per compiere uno sforzo di riflessione e di azione, per arrivare a pianificare un percorso di aggregazione, di propaganda e di lotta  che sappia stimolare e far crescere un grande movimento di massa organizzato a livello territoriale con l’ obiettivo di rilanciare il conflitto di classe a partire dai bisogni immediati e capace di esprimere soggettività politica ed autonomia di classe.

La stesura di questo documento va in questa direzione : non si tratta di mere speculazioni teoriche, di stendere la solita “lista della spesa”, ma del tentativo di individuare e valorizzare le rivendicazioni generali, già presenti nelle lotte dei movimenti, per dare ad esse una consistenza  materiale, una diffusione di massa.

 

Il punto di partenza restano i movimenti presenti  e le loro vertenze:

1)    Formazione pubblica, finalizzata al lavoro o al salario garantito per i disoccupati organizzati.

2)    Assunzione degli LSU nella pubblica amministrazione.

3) Difesa ad oltranza dei posti lavoro, contro i licenziamenti, cassa integrazione e mobilità.

 

L’ obiettivo dichiarato quello di superare i propri limiti, rompere la frammentazione  imposta dal capitale attraverso una piattaforma di lotta ricompositiva in cui tutti i proletari (quelli già impegnati nella propria vertenza, così come quelli che non lo sono ancora) possano riconoscersi, identificarsi e prenderne attivamente parte, sconfiggendo così, ogni tentazione corporativista, localistica o aziendalistica.

 

A) Lavoro stabile a tempo indeterminato e difeso dalle normative nazionali.

Pur essendo consapevoli che lavoro in questa società vuol dire sfruttamento, alienazione, morte, profitti per i padroni e miseria per chi produce, la rivendicazione di questo “diritto” appare come la più ovvia e naturale per poter vivere. Proprio per questo quando chiediamo lavoro non lo possiamo fare in maniera generica. Non possiamo scendere ancora più in giù di quello che in decenni di lotta, la classe operaia ha strappato, le conquiste salariali, normative, sindacali, previdenziali ottenute con lo statuto dei lavoratori. Vogliamo un lavoro stabile a tempo indeterminato e difeso dalle normative nazionali per superare la precarietà, nel settore pubblico come in quello privato  e del cosiddetto non-profit, oggi luogo privilegiato di sperimentazione della precarietà lavorativa.

B) Riduzione drastica e generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario

Alla rivendicazione del diritto al lavoro, corrisponde la realtà completamente opposta di sistema di produzione  bloccato, che produce sviluppo senza occupazione, capace unicamente di trasformare il lavoro stabile in lavoro precario.

Le ristrutturazioni produttive mediante l’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie (informatica, telematica, robotica), congiuntamente allo spostamento della grande industria nei paesi extraeuropei dove il costo della manodopera è decisamente più basso, hanno prodotto in occidente incredibili aumenti della produttività che solo attraverso una riduzione drastica e generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario e garanzie, possono tradursi in nuova occupazione.

Alla logica presente per cui sempre meno lavoratori, lavorano sempre di più (vedi l’aumento degli straordinari), bisogna contrapporre l’unità di lavoratori, precari, e disoccupati (italiani come immigrati) per lavorare sempre di meno e lavorare tutti. Questa secolare battaglia della classe operaia per la riduzione dell’orario di lavoro deve ridiventare una battaglia di tutto il proletariato; solo così potrà  essere strappata dall’ambito istituzionale nel quale le forze politiche l’hanno relegata e la utilizzano  per esclusivi scopi propagandistici, come dimostra il tentativo di scambiarla con maggiore flessibilità e carichi di lavoro.

C) Lavoro o non lavoro il salario garantito resta il nostro obbiettivo

In  una società così ricca, in cui le merci abbondano non è possibile accettare che vi siano milioni di disoccupati o precari a vita, costretti a tirare avanti con il lavoro nero, ipersfruttato e sottopagato. Lavoro o non lavoro dobbiamo campare: indipendentemente dalle esigenze produttive, bisogna affermare il diritto ad un salario garantito, per vivere dignitosamente, per uscire dalla morsa del lavoro nero e precario, per poterlo concretamente rifiutare. Non l’elemosina elargita attraverso gli psicologi, non gli assegni di povertà o cose simili finora prospettate, ma un salario reale intero, questo è ciò che noi chiediamo.

Tale rivendicazione strettamente connessa alla riduzione dell’orario di lavoro costituisce un potente elemento di ricomposizione ed unificazione di lavoratori stabili, precari, disoccupati, studenti, immigrati per iniziare finalmente a rompere le divisioni create ad arte e superare la parzialità delle rivendicazioni nei quali i settori di classe sono confinati e resi impotenti.

D) Servizi sociali gratuiti

Non basta un salario garantito se questo poi deve essere speso in gran parte per acquistare i servizi sociali che nel frattempo vengono messi sul mercato, per pagarsi il fitto della casa che non è più controllato, per la sanità che non è più tutelata, per le bollette della luce, dell’acqua, del gas, dei trasporti che aumentano di giorno in giorno in seguito alle privatizzazioni, per iscriversi alla scuola o all’università sempre più per soli ricchi. Vogliamo che i servizi sociali (sanità, istruzione, trasporti) siano pubblici, gratuiti e di qualità; vogliamo tariffe sociali a precari e disoccupati  per l’erogazione di acqua, luce, gas; che l’arte, la cultura, l’informazione siano accessibili a tutti i proletari.

 

E) Diritto alla casa

Sostenere e promuovere un movimento per il diritto alla casa, autorganizzato ed indipendente dall’opportunismo di partiti e sindacati è la condizione indispensabile per imporre il blocco di tutti gli sfratti, la requisizione e l’esproprio delle case sfitte per assegnarle ai senza tetto, agli sfrattati, agli studenti fuori-sede, agli immigrati. E’ necessario lavorare affinché il bisogno di casa che interessa diversi segmenti proletari possa assumere anche la forma dell’azione diretta, attraverso occupazioni di case congiunte. In questo intento di riorganizzazione di un movimento di lotta per la casa vanno coinvolti gli inquilini di quei quartieri interessati dalle prossime cessioni del cosiddetto “patrimonio pubblico”, in modo da unirli nella lotta dei senza casa in una rivendicazione unitaria e generale.

 

F) Istruzione pubblica, gratuita e di massa, libera dagli interessi di mercato.

Scuola ed università diventano sempre meno accessibili e la formazione  sempre più finalizzata a promuovere la flessibilità sul mercato del lavoro. Gli studenti devono essere educati fin da ora alla precarietà lavorativa che li attende sul mercato del lavoro, ad accettare passivamente la concorrenza con i propri padri.

Per questi motivi la lotta contro lo smantellamento della scuola e dell’università pubblica, contro l’autonomia didattica e finanziaria, per una cultura libera dagli interessi e dalle speculazioni dei padroni, deve vivere all’interno di una battaglia più generale condotta da un fronte proletario più vasto.  Solo in tal modo, anche la lotta contro il finanziamento pubblico alle scuole private e clericali, potrà differenziarsi dal generico laicismo di la Malfa, Bocca, Critica sociale, i quali vorrebbero sostituire al “Dio-spirituale”, quello del Profitto e del mercato.

 

 

 Il coordinamento è aperto a tutte le realtà di lotta e singoli compagni, che riconoscendosi nell’impianto generale di questa piattaforma intendono aderire o dare un contributo.

Questo documento/piattaforma lungi dal voler essere esaustivo di tutte le problematiche attorno a cui discutono e lottano i proletari, vuole anche essere uno stimolo per un confronto fuori dal nostro territorio.

In questa prospettiva il Coordinamento dei movimenti di lotta proletari, ritiene indispensabile rapportarsi a tutti quegli organismi che al Sud come al Nord, lavorano per una ripresa del conflitto di classe contro le compatibilità capitalistiche.

Contemporaneamente, consci della dimensione internazionale su cui si svolge l’offensiva capitalistica e padronale, i Movimenti Proletari napoletani fanno dell’internazionalismo, non un vuoto slogan ma un compito politico prioritario, nell’intento di non concedere tregua ai propri padroni, ai propri governi ed al prorpio stato.

Nell’internazionalizzazione delle lotte crediamo, sia possibile offrire  il miglior sostegno ai popoli aggrediti e saccheggiati dal capitalismo mondializzato e dall’imperialismo.