La
direzione verso cui la conoscenza ed il sapere in ogni loro forma e grado
stanno venendo incanalati, arginati e costretti è sempre più
evidente. Lo stiamo vivendo sulla nostra pelle, informa di sé le
nostre scelte e le nostre vite, ci toglie spazio e prospettive. La riforma
dell'università, così come la riforma dei cicli delle scuole
inferiori e superiori, fa parte di un unico piano di trasformazione che
riguarda direttamente l'intero assetto culturale - mirando a quello sociale,
politico ed economico - della società. La legge che vuole dominare
e governare i percorsi formativi e conoscitivi dell'istruzione è,
in modo subdolo ma sempre più manifesto, quella del mercato - mercato
di merci, di produzioni immateriali, di profitti ed interessi - in cui
il valore di ciò che si produce deve essere valutabile economicamente,
dev'essere utile di un'utilità prestabilita da chi questo mercato
controlla. La determinazione degli obiettivi formativi da parte del mondo
della produzione, dei servizi e delle professioni, sancito dalla riforma
universitaria, insieme all'autonomia finanziaria che svende l'università
agli stessi soggetti, sono due degli aspetti più pericolosi di
questa tendenza. Perché sottomettono la scienza, la conoscenza
e la cultura alla legge del vantaggio economico. Non è previsto,
in questo schema, che chi ne faccia parte abbia qualcosa di altro e diverso
da offrire; non solo: non è previsto che si possa pensare e creare
un modello alternativo e quindi di per sé conflittuale con l'esistente.
L'intenzione insita in questa trasformazione è quella di rendere
più difficile - e forse meno appetibile economicamente - l'utilizzo
di strumenti critici che possano mettere in discussione la realtà
e farne immaginare un'altra.
Esistono dunque due tipi di intervento sui futuri cittadini globali che
popolano le università oggi, interventi strettamente collegati,
che si intersecano e trovano validità interagendo: uno che stabilisce
e delimita i contenuti di quello che dobbiamo pensare, l'altro che ha
a che fare con la forma, la disciplina con cui si dovrà apprendere
d'ora in poi. In questo senso il sistema universitario diventa un microcosmo,
riflesso di un sistema la cui sussistenza trova giustificazione nel suo
pervadere ogni aspetto reale ed ideologico della vita sociale. La parola
chiave diviene controllo: sui percorsi conoscitivi individuali, sugli
obiettivi e le aspettative sociali, sui bisogni, sulle tensioni e i conflitti
nella società. L'egemonia culturale che si sta imponendo dentro
e fuori dalluniversità ha la funzione di legittimare la violenza
di questo argine, di instillare in ognuno la certezza tautologica per
cui tutto è così perché dev'essere così -
e non può essere altrimenti. Ed è in questo modo che la
confluenza/influenza degli interessi economici nell'università
ci mette di fronte all'intrinseca, enorme contraddizione dei rapporti
che oggi legano l'università al mondo della produzione e all'economia
globale.
:LA
DEMOCRAZIA DEL SAPERE
Crediamo
che oggi più che mai sia fondamentale riappropriarsi dei mezzi
di analisi critica per creare una nuova consapevolezza, che sia capace
di demistificare la realtà che ci circonda e di farne sperimentare
una nuova; crediamo che il primo passo per comprendere fino in fondo i
meccanismi che governano il mondo sia una controinformazione libera ed
autonoma. Rivendichiamo il diritto al sapere, inteso come diritto ad essere
protagonisti del nostro percorso conoscitivo, come conquista del diritto
alla scelta fra alternative reali in un orizzonte dilatato dalla nostra
ricchezza, in cui lo spazio assuma una nuova dimensione; diritto al sapere,
come pratica quotidiana di conquista di spazi di democrazia diretta, sfumatura
del diritto all'esistenza attiva; diritto ad esserci sempre di più
in ogni parola che venga spesa su di noi. E da oggi saremo noi a parlare,
per dire che non accettiamo il ruolo subalterno che il neoliberismo globalizzato
vuole dare ai nostri corpi ed alle nostre menti attraverso l'asservimento
dell'istruzione e dell'esistenza di tutti alla logica di mercato.
Luniversità devessere un luogo di cultura e dialettica,
di ricchezza ed apertura, dove noi per primi abbiamo spazio per elaborare
ed esprimere le nostre idee con un nuovo e reale peso politico. Sappiamo
che mettere in discussione non più solo il funzionamento interno
e burocratico delluniversità, ma anche la sua sostanza, quello
su cui si regge e che determina la sua funzione sociale e politica - il
sapere che ci vuole imporre - significa mettere in discussione il macrosistema
in cui è inserita. Ed è quello che vogliamo fare.
Il nostro percorso è partito da questo: dalla volontà di
riappropriarci del nostro presente per trasformare il futuro che ci aspetta.
in cammino...
La strada da percorrere è ancora lunga; perché lorizzonte
che vogliamo raggiungere si sposta mentre avanziamo. Estendere spazi di
democrazia e consapevolezza critica dentro e fuori dalluniversità
è solo uno strumento per sabotare i meccanismi distruttivi delleconomia
globale, per denunciare e farne esplodere le contraddizioni, per allargare
la partecipazione di tutti ad una trasformazione che vogliamo diversa
da quella che è in atto. Diversa nei contenuti e negli obiettivi
che deve raggiungere, diversa soprattutto perché i soggetti protagonisti
saremo noi. Non riconoscere la legittimità del mercato delle multinazionali
allinterno delluniversità vuol dire per noi rifiutare
il loro potere in quanto tale, a tutti i livelli. Vuol dire che non accettiamo
e contestiamo la loro logica e quella di tutti gli apparati politici ed
economici che ne sono portavoce. Per questo la nostra battaglia si è
finora espressa anche con lappoggio e la partecipazione diretta
alle grandi manifestazioni contro i vertici degli organi decisionali che
governano la globalizzazione. In questa prospettiva ci stiamo preparando
alla scadenza del vertice dei G8 di luglio a Genova, che tratterà
il tema della libera circolazione, la stessa libera circolazione, di cui
si fanno paladini i grandi del mondo, che altro non è che quella
delle merci e dei capitali. Abbiamo già dovuto sperimentare la
sospensione del diritto alla libera circolazione decretato e garantito
dal trattato di Shengen, quando abbiamo cercato di raggiungere Nizza per
contestare lantidemocraticità del sistema politico dellUnione
Europea. Abbiamo appena visto come vengano costruiti ogni giorno nuovi
muri per dividere ulteriormente lumanità che gode della ricchezza
del mondo dallumanità che di questa ricchezza viene espropriata:
il vertice panamericano di Quebec city, che aveva lo scopo
di allargare il trattato di libero scambio NAFTA (sancito da Messico,
Stati Uniti e Canada nel 1994) a tutto il continente americano, si è
svolto in una fortezza ritagliata nel cuore della città, difesa
da quattro chilometri di reti e filo spinato - chiamato da subito il muro
della vergogna - per difendere i capi di stato americani dalle proteste
di decine di migliaia di manifestanti che volevano denunciare gli effetti
devastanti della liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati sulla
popolazione mondiale e sullecosistema. I confini che crollano sotto
il peso degli interessi economici e finanziari restano intatti per i cittadini
del mondo, a cui non viene riconosciuto il diritto di dimostrare il proprio
dissenso o di conquistarsi un futuro migliore.
Il cammino che ci porterà a Genova sarà simbolicamente il
proseguimento del percorso della carovana zapatista che a marzo ha raggiunto
Città del Messico dallo stato del Chiapas, perché crediamo
nei valori di democrazia, giustizia e dignità per cui lottano i
guerriglieri zapatisti insorti nel gennaio 1994, non a caso la stessa
data dellentrata in vigore del NAFTA. Percorso seguito dai manifestanti
anti WTO di Seattle, delle marce europee e di Quebec city, che ci farà
arrivare al vertice dei G8 con la consapevolezza di essere parte di una
moltitudine che crede e lotta perché un mondo diverso è
possibile.
COLLETTIVO DI SCIENZE POLITICHE DI PADOVA
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