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Da "Umanità Nova" n. 23 del 27/7/77

A PROPOSITO DEL "CODICE DEGLI ZINGARI"

Compaiono e ricompaiono senza sosta, di anno in anno e anche più spesso, soprattutto all'inizio dell'estate, diffusi non si sa bene da chi; spesso sono diversi, ma il fine e i risultati sono gli stessi: devono rinfrescare paure e pregiudizi. E ci riescono egregiamente. Si spiega anche perché l'estate sia la stagione più propizia per il loro emergere dall'immaginario collettivo, tra chi lascia l'abitazione incustodita, per andarsene in villeggiatura e chi tiene aperte porte e finestre per far circolare l'aria. Si tratta del "codice dei segni" che gli "zingari" utilizzerebbero per indicare ai loro se una casa è scassinabile, se abitata da gente amichevole o generosa o da una donna sola; se è stata "ripulita" da poco; se è custodita da un cane o nelle vicinanze di carabinieri e forze di polizia; se è una fatica inutile entrarci perché non contiene niente di valore; se invece promette un ricco bottino; se è meglio andarci di notte, di mattina, di pomeriggio o di domenica; se gli inquilini si commuovono sentendo discorsi e invocazioni religiosi; se si tratta di un luogo sempre abitato e quindi da evitare; ecc.

Un "vocabolario" costituito quasi esclusivamente di lineette variamente disposte, inclinate, incrociate, parallele, di cerchi grandi e piccoli, ellissi, rombi, triangoli, ma non mancano lettere: con molto scarsa fantasia, N indicherebbe che si deve agire di notte e D di domenica, M la mattina e AM di pomeriggio.
La pubblicazione di questo presunto "codice" è avvenuta il 19 giugno scorso su "il Tirreno", in cronaca di Carrara, ma è significativa di una situazione ben più generale. Al quotidiano sarebbe giunto attraverso un volantino, attribuito alla polizia che, imbarazzata, ha però smentito. In realtà di codici come questo ne circolano più di uno e anche se si somigliano, non coincidono mai totalmente. Si potrebbe pensare per questo a un'origine francese; autorizza a pensarlo, tra l'altro, la sigla AM per indicare il pomeriggio (après-midi?). Il "codice" avrebbe varcato le Alpi per essere adottato, paradossalmente, in un territorio dove gli zingari non parlano francese. Il problema è che non parlano tra di loro neppure l'italiano (molti anzi, e proprio in questa zona, lo conoscono pochissimo) e nessuna delle parole che sarebbero richiamate dalle lettere sopra ricordate, hanno, nei loro vari dialetti presenti in questa zona, quelle iniziali. Perché dovrebbero darsi indicazioni che si deve supporre molto importanti, in una lingua che non è conosciuta da molti di loro e comunque è la loro seconda, quella che serve per comunicare con i non zingari?
Ma ci sono altri motivi per garantirci che non si tratta di un "codice autenticamente zingaro", ma che appartiene invece, come ogni altro simile e "autentico codice zingaro", alla dimensione dei pregiudizi e delle leggende metropolitane. Da una parte bisogna ricordare che la cultura degli "zingari" è "orale"; la loro scarsa scolarizzazione non dipende solo e tanto dal "nomadismo" (spessi si fermano per lunghi anni, proprio per mandare i figli a scuola, anche se poi non imparano quasi niente, neppure a leggere correttamente), ma proprio dalla strutturazione della loro mentalità orale che guarda con diffidenza la scuola e non sente il bisogno della scrittura e del fissare una memoria esterna, passato e realtà presente. Ben difficile credere che ricorrano ad una forma, sia pure primitiva, che richiede elementi di alfabetizzazione, di scrittura. D'altra parte la cosa è ancor meno credibile in concreto. A che fine dovrebbero gli zingari indicare ad altri che una casa è stata svaligiata da poco? E a che fine anche segnalarla come appetibile, col rischio che il colpo lo faccia qualcun altro? Un ladro qualsiasi, sedentario o no, che voglia svaligiare o far svaligiare una casa, non la indicherà certo con un sistema di segni così farraginoso e pericoloso. Grottesco immaginare uno "zingaro" che sbircia le case di un quartiere alla ricerca di questi "segni"; gli risulterebbe tutt'altro che facile passare inosservato, specie se dovessimo immaginarlo di notte, magari con un accendino acceso, nell'impresa impossibile di individuare questi "segni" poco "appariscenti". Non sarebbe molto più semplice e produttivo che gli eventuali complici gli indicassero il numero civico o gli descrivessero il luogo, l'edificio, ecc., o, magari, ce lo portassero prima del "colpo"?

Pochi giorni fa, non pago di questa bufala giornalistica, un cronista dello stesso giornale cercava ancora di giustificarlo "decodificando", ad uso degli increduli, una serie di segni presenti all'ingresso di un edificio di Marina di Carrara, "decodificando", ad uso degli increduli, perfino la data in cui sarebbe dovuto avvenire il furto.
Probabilmente per contagio, anche il TG regionale dedicava un ampio servizio registrato a Viareggio, su temi e riscontri pressoché identici. Se non dalla logica, almeno ci si faccia assistere dal senso del ridicolo, quando ci si improvvisa interpreti di graffiti.
Non c'è da illudersi che la ragione possa servire ad estirpare questo tipo di pregiudizi che possono diventare e spesso diventano fonte di persecuzioni, di campagne repressive e di sofferenze individuali anche gravi, perché non vengono neppure scalfiti dai fatti. Questa campagna antinomadi è stata rimpallata, non senza evidenti contraddizioni, sulle cronache locali del litorale, in particolare del "Tirreno": da una parte è stata pubblicato il presunto "codice", dall'altra si sono fatte cronache su furti che si presumeva ne dimostrassero la veridicità, arrivando addirittura a pubblicare la foto dei "segni" accanto a quella di una coppia di anziani derubati. Ma pochi giorni dopo veniva fuori che si trattava solo di scarabocchi di bambini.
Intanto le paranoie dell'opinione pubblica media in zona si sono moltiplicate, diventando patologiche: ogni segno, scalfittura, graffio, macchia di umidità sulla facciata della propria abitazione ha determinato l'aggravamento dell'ansia di insicurezza col risultato che le forze dell'ordine sono state subissate da richieste di intervento immotivate. Il quotidiano, imbarazzato, non per questo rinuncia alla sua tesi: il codice degli "zingari" esiste; i nomadi però possono leggere i giornali e sapendo che i loro segni sono stati svelati di certo lo modificheranno. La leggenda metropolitana continua perciò imperterrita nei suoi perversi e pericolosi corsi e ricorsi (qualche tempo fa era stata la Lega Nord a pubblicare e svelare il "codice segreto degli zingari", con intenti esplicitamente razzisti, ora è venuto il momento degli ulivisti Tirreno e TG regionale, domani chissà?) e continuerà a riapparire e a svolgere la sua non disinteressata funzione xenofoba e razzista. E' lecito chiedersi, alla fine, dove è nata e perché. Ha scritto, già nel 1921, il grande storico francese fucilato dai nazisti, Marc Bloch che "le notizie false... nascono certamente spesso da osservazioni individuali inesatte o da testimonianze imperfette, ma questo infortunio iniziale non è tutto e in realtà in se stesso non spiega nulla. L'errore si propaga, si amplifica e vive solo ad una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un brodo di cultura favorevole. In quell'errore, gli uomini esprimono inconsciamente i loro pregiudizi, odi, timori, cioè tutte le loro forti emozioni..." (in Cesare Bermani, Il bambino è servito, 1991, pag. 15) e, molto più tardi, in Apologia della storia, è venuto precisando che per spiegare la diffusione e la fortuna di una "voce falsa", è necessario rifarsi ai "turbamenti della vita collettiva" di un determinato periodo.

La virulenza assunta oggi da questa, come da altre leggende metropolitane, esprime, in modo concreto, la voglia di maggior ordine e sicurezza, di più forti organici della polizia, di inasprimento delle leggi repressive, di carceri più vendicative e afflittive, di emarginazione delle differenze, di indifferenza di fronte alle difficoltà dei più deboli, tipica della crisi della società "postindustriale" e di un momento storico di cambiamenti profondi e di disorientamento collettivo. Il suo fine immediato è quindi la mobilitazione dell'opinione pubblica media, alla ricerca di uno o più capri espiatori su cui scaricare, materialmente, le responsabilità di una situazione di difficoltà attuali e di incertezza del futuro.
Non c'è una formula facile per affrontare questi pregiudizi complessi di una realtà complessa.
Può venire la risposta solo dalla riappropriazione da parte della collettività della capacità di riprogettarsi socialmente e di assumersi la responsabilità diretta dei conflitti naturali ed inevitabili che nascono al suo interno; dalla mobilitazione di tutte le sue risorse umane, di creatività, di fantasia, di solidarietà, di mediazione; e dal riconoscimento infine dei diritti fondamentali di chiunque, senza intolleranze o razzismi, anche di chi non fa parte delle "persone per bene". E, per concludere, una considerazione finale su questo tipo di giornalismo che costringe a priori la realtà entro un letto di Procuste dei propri pregiudizi e continua a propalare notizie false provenienti da fonti non controllate, anche quando siano palesemente smentite dai fatti: neanche nella grande tradizione novellistica antica, neanche nelle Mille e una Notte o in Alì Babà il segnare le case sortisce mai gli effetti desiderati. Ma i cronisti non leggono, credono solo alle leggende.

Marcello Palagi



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