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Da "Umanità Nova" n. 34 del 8/11/98

Finanziamento delle scuole private
Saldare i debiti con il Vaticano

Con la chiusura della crisi e la costituzione del nuovo governo si torna a parlare del finanziamento statale alla scuola privata e, questa volta, sembra che il governo sia intenzionato a onorare la cambiale che l'ulivo aveva firmato al vaticano in occasione delle elezioni del 1996.

Può essere opportuno, a questo proposito, fare un po' di preistoria contemporanea e ricapitolare i termini di questa vicenda.

Se partiamo dal punto di vista del sottosistema politico/parlamentare è evidente che l'orrenda diaspora democristiana si è affrettata a occupare lo spazio intermedio fra destra e sinistra e, distinguendosi in capovolgimenti di fronte strepitosi, a far pesare i propri pacchetti di voti in maniera assolutamente sproporzionata rispetto all'effettiva consistenza delle singole schegge postdemocristiane.

La necessità per il Polo e per l'Ulivo di "occupare il centro" li rende assolutamente disponibili a concedere ai propri partner, appunto, centristi ministeri, sottosegretariati, ruoli di direzione nelle pubbliche amministrazioni e nelle aziende di stato e quanto altro richiedono.

Basta pensare, a questo proposito, a Forza Italia che è divenuta essa stessa, nel volgere di un paio d'anni, un partito postdemocristiano ed ha, nella sostanza, abbandonato la pretesa di essere un partito liberale di massa nonostante la permanenza nei suoi ranghi di accademici liberisti che continuano ad invocare il taglio radicale della spesa pubblica.

È, comunque, bene ricordare sempre che il sottosistema parlamentare deve rispondere ai diversi gruppi di potere ai quali fa riferimento dell'esecuzione dei programmi ai quali questi stessi gruppi di potere sono interessati e, nello specifico, è evidente che le concessioni che l'Ulivo aveva fatto nel 1996 alla chiesa nel merito dei finanziamenti alla scuola privata non sono stati presi dal blocco cattolico come un impegno di poco conto.

È ormai divenuto un luogo comune la considerazione che la chiesa conta ragionevolmente di ottenere dal governo di sinistra quello che non ha ottenuto, nei passati decenni, dai governi democristiani. È anche vero che il fatto di trattare con un governo, non importa se di destra o di sinistra, da posizioni "esterne" può garantire condizioni più favorevoli rispetto alla condizione di referente diretto del partito di governo ma ritengo che l'attenzione vada posta su due questioni più legate alla situazione attuale e, soprattutto, alle prospettive future.

In primo luogo, e diversi contributi pubblicati sul giornale lo hanno ricordato e documentato, la chiesa cattolica si propone, a fronte dell'indebolirsi dei legami sociali che caratterizzavano nei decenni passati una fase di espansione economica e della sostanziale tenuta della macchina statale, come un soggetto forte, alternativo sia all'ondata neoliberale che alla tradizione del movimento di classe in tutte le sue varianti.

Il comunitarismo cattolico, inteso propriamente come la costruzione di comunità unificate da valori, stili di vita, proposte esistenziali appare come una risposta alla frantumazione della società tradizionale in un coacervo di interessi separati e contrapposti, al suo trasformarsi in un luogo di solitudine, sofferenza, tensione,

Da questo punto di vista la proposta della chiesa non è che una delle ipotesi di ricostruzione autoritaria del legame sociale sulla base, appunto, di un modello comunitario. Basta pensare, a questo proposito, al leghismo, alle sette religiose, a modelli associativi di minor rilevanza ma di carattere analogo che si sviluppano nel tessuto sociale come le tifoserie, le bande di quartiere ecc..

La chiesa cattolica, però, è, in generale e ancor più nel caso italiano, una struttura di consistenza ben diversa rispetto ai concorrenti laici e religiosi che si trova di fronte.

Il comunitarismo cattolico è, di conseguenza, solidamente inquadrato dall'apparato della chiesa e quest'apparato richiede, per la propria stessa esistenza e riproduzione, risorse maestose. Per evitare equivoci, l'apparato della chiesa è decisamente più consistente del clero che ne costituisce solo l'ossatura. Basta pensare, per fare l'esempio più evidente, agli insegnanti di religione che garantiscono un corpo di decine di migliaia di funzionari pagati sotto il controllo delle curie.

La prima repubblica aveva garantito alla chiesa risorse massicce e, per quel che riguarda la formazione dei giovani, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole che, dopo essere stato concesso dal fascismo, si era rigogliosamente sviluppato nel quadro democratico anche grazie alla diversa natura e disponibilità del partner statale nei confronti della chiesa. In altri termini, il fascismo si proponeva di usare la chiesa la democrazia cristiana ne era, da questo punto di vista, usata.

È, a questo punto evidente, che la "riconquista" cattolica del controllo su settori consistenti di società richiede una nuova iniezione di risorse anche a fronte della crisi delle vocazioni che continua ad affliggere il clero.

In secondo luogo, è un fatto che le scuole private vivono una grave crisi ed anche su questo argomento il giornale ha fornito precise informazioni.

L'urgenza, la tensione, l'aggressività della chiesa sul tema del finanziamento si spiegano proprio a partire da questo problema. Negli ultimi anni le scuole private hanno perso oltre il 15% dei clienti e il costo del personale, sebbene sia decisamente pagato male, è cresciuto per mancanza di preti e suore da utilizzare, diciamo così, a prezzo politico.

Come al solito il sacro si intreccia col profano, il progetto politico e culturale con la contabilità, il "volontariato" con i sussidi pubblici.

Nei primi due anni dell'Italia all'olio d'ulivo la chiesa ha pazientato visto che altre questioni urgevano e che le contraddizioni interne alla maggioranza rallentavano l'attuazione della legge di parità, Ora, con il governo D'Alema-Cossutta-Cossiga sembra giunto il momento per chiudere la partita e portare a casa il bottino.

A questo punto, il problema consiste nell'individuare una linea d'azione che ci permetta di opporci alla privatizzazione senza ripiegare in una mera difesa dell'esistente.

A questo proposito, mi limito a proporre alcune tesi di lavoro:

- le privatizzazioni non indeboliscono né il potere dello stato né le gerarchie sociali ma, anzi li rafforzano nella sostanza. Risorse rastrellate dalla pressione sul reddito dei lavoratori vanno a finanziare profitti privati e liberano l'amministrazione pubblica dal compito di gestire attività che implicano dei costi rilevanti;

la scuola privata, lungi dall'essere "libera", rafforza il potere delle famiglie sui giovani, dei padroni delle scuole sul personale, del mercato sulla formazione. La scuola privata si caratterizza, insomma, per una gerarchia interna più forte, diretta, coesa;

- la proposta di scuola della quale si fa portatrice la chiesa è particolarmente pericolosa visto che consiste nell'esplicita negazione del confronto fra di loro delle diverse pratiche didattiche e proposte culturali e di ogni libertà critica. Solo lo sfascio della tradizionale cultura "laica e di sinistra" può spiegare l'arroganza clericale e rende ancora più necessaria un'iniziativa di parte libertaria su questo terreno;

d'altro canto, nella scuola pubblica si intreccia un impianto burocratico e autoritario di tipo tradizionale con l'introduzione di logiche aziendalistiche e con il rafforzamento del potere dei presidi che stanno per accedere alla dirigenza. Una scuola pubblica sempre più simile ad un'azienda privata apre la vie ad aziende che si pongono come scuole,

- si tratta, allora, di battersi per una scuola effettivamente pubblica individuandone alcuni precisi caratteri: la gratuità (mense, trasporti, materiale didattico, presalari ecc.), la rottura dei rapporti gerarchici attraverso forme di autogoverno e di decentramento e sburocratizzazione, la critica dei contenuti educativi, la qualità delle strutture e del percorso formativo e la centralità di percorsi di ricerca che siano appassionanti e non si riducano ad una routine patetica e frustrante. In poche parole, una scuola pubblica non è da difendere ma da conquistare;

- nelle prossime settimane ripartirà, con ogni probabilità, una qualche forma di movimento degli studenti anche sull'esempio francese. Sarà importante seguirne l'evolversi e proporre ipotesi di mobilitazione che rompano con riti ormai consunti, con la subalternità alla sinistra statalista, con la ricerca della mediazione e che abbiano una carattere di rottura radicale con l'esistente.

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