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Da "Umanità Nova" n.18 del 23 maggio 1999

L'Italia in guerra
L'attivo "contributo" dello Stato italiano al conflitto nei Balcani
Bombardamenti aerei, forze di terra, navi e missili

Lo stato italiano è in guerra. Questa verità che in tutti i modi si cerca di far dimenticare alla gente. Aerei dell'aviazione militare italiana sono impegnati nei bombardamenti contro la Federazione Jugoslava. L'esercito italiano mantiene soldati e mezzi in Macedonia, Albania e Bosnia, pronti a intervenire in Kosovo. E' anche molto probabile che alcune decine di incursori italiani si trovino assieme ad altri militari dei reparti speciali "alleati" nel Kosovo per "guidare" i raid aerei sugli obiettivi.

Di tutto questo si sa poco o nulla. Innanzitutto per un ovvio motivo di segretezza militare , ma anche perché riferire dell'impegno militare italiano significherebbe distruggere il castello propagandistico costruito dalla classe dominante italiana (da destra a sinistra sono quasi tutti favorevoli alla guerra) per imporre alla popolazione italiana l'immagine di uno Stato italiano impegnato soprattutto sul versante degli sforzi diplomatici per risolvere pacificamente la guerra. La realtà è un'altra: l'Italia è completamente allineata alla politica guerrafondaia degli Stati Uniti. Le mani di D'Alema sono sporche di sangue esattamente come quelle di Clinton, Schroeder, Jospin, Blair, dei nazionalisti serbi e di quelli kosovari. Lo ha dimostrato anche il cosiddetto "piano di pace" presentato dal presidente del Consiglio italiano alla vigilia della Perugia - Assisi.

Possiamo dividere l'impegno militare italiano in tre parti: 1) quello degli aerei impegnati nei bombardamenti; 2) quello dei contingenti impegnati in Bosnia, Macedonia e Albania; 3) quello navale in Adriatico e quello terrestre nelle Puglie.

Bombardamenti aerei

L'Italia è al centro della guerra. Il comando militare al quale il SACEUR (comandante in capo della NATO, generale Clark) ha affidato il coordinamento delle operazioni è il 5th ATAF, con sede a Vicenza. Fra l'altro si tratta di un comando affidato ad un generale italiano. L'Italia fornisce gran parte delle basi di partenza per i raid aerei. E' da Aviano, Cervia, Pratica di Mare, Brindisi, Falconara, Ghedi, Grazzanise, Amendola, Piacenza, Gioia del Colle, Sigonella e Istrana che partono molte delle missioni alle quali l'Italia ha contribuito con 42 velivoli. Si tratta del meglio dei cacciabombardieri dell'aeronautica militare italiana: Tornado ECR, Tornado ADV, Tornado IDS, F104-ASAM e AMX, dotati di moderni sistemi d'arma e già rodati dall'esperienza delle operazioni contro forze serbo-bosniache del settembre 1995. L'aeronautica italiana ha messo a disposizione anche aerei di supporto; B-707TT, C-130 G-222. Da metà maggio l'Italia ha destinato altri 12 aerei alle operazioni di guerra, fra cui alcuni Harrier dell'aviazione di marina.

A proposito del ruolo bellico degli aerei italiani è interessante notare che fino alla vigilia della guerra è stata fatta circolare la notizia che l'ordine di attivazione militare approvato dal Consiglio Atlantico il 13 ottobre 1998 non prevedeva una diretta partecipazione italiana ai bombardamenti. E infatti nei primi giorni di guerra le fonti ufficiali accreditavano la versione che i velivoli italiani si "limitavano" ad operazioni di controllo dello spazio aereo nazionale e di supporto ai velivoli più direttamente impegnati nei bombardamenti. Ben presto però scoppiano le prime polemiche: il 30 marzo fonti giornalistiche riferiscono che tra il 24 e il 29 marzo Tornado italiani decollati da Piacenza avevano bombardato installazioni militari serbe. Di fronte alle polemiche D'Alema è costretto a citare la subdola definizione approvata dal Consiglio dei ministri il 18 ottobre 1998 (era ancora in carica il governo Prodi, sostenuto anche da Rifondazione): "nessun attacco diretto ma missioni che rientrano nel concetto di difesa integrata". In una nota diffusa alla stampa la presidenza del consiglio specifica il significato concreto del concetto di "difesa integrata". "Il contributo dei velivoli italiani alle operazioni NATO - si sostiene - è costituito da attività di pattugliamento e di controllo dell'Adriatico e delle aree dove, come in Bosnia e Macedonia, sono dislocate truppe italiane nell'ambito dei contingenti NATO in missioni di pace, oltre che in attività di protezione delle forze aeree NATO impegnate nelle operazioni. I velivoli hanno anche il compito di neutralizzare i missili di superficie - aria quando sono attivati così come sono pronti ad intervenire in caso di minaccia contro i contingenti terrestri nell'area balcanica, sia in Bosnia che in Macedonia". Si cerca di far credere che gli aerei italiani possono bombardare obiettivi serbi solo per "autodifesa". Di fronte al malumore provocato dall'ambigua presa di posizione nei piloti impegnati nei bombardamenti (malumore che trapela dalle pagine di alcuni quotidiani) il primo aprile il ministro della Difesa Scognamiglio è però costretto a specificare che il coinvolgimento in azioni di combattimento è "implicito alla partecipazione alla NATO, anche se i nostri piloti non colpiscono infrastrutture civili anche a rischio della loro sicurezza". Siamo dunque al solito ritornello degli "italiani brava gente". Sarà.

La polemica che distrugge definitivamente il muro di bugie dietro alle quali il governo D'Alema aveva cercato di nascondere la verità, scoppia il 15 aprile: secondo l'ANSA aerei italiani (AMX e Tornado) avevano bombardato obiettivi militari in Serbia e Kosovo, nei pressi del confine albanese. E' evidente che il concetto di "difesa integrata" non permette di giustificare tali azioni. Ma per D'Alema non ci sono problemi. "Non è vero che solo due aerei e solo oggi sono entrati in azione", sostiene in una dichiarazione ufficiale. "Siamo in azione sin dall'inizio finché ci sono io le disposizioni sono quelle di garantire la sicurezza dei nostri militari e dei nostri concittadini". Insomma, i bombardamenti sarebbero avvenuti per difendere militari e civili italiani impegnati nella missione arcobaleno in Albania. E' una stupidaggine ma basta a convincere cossuttiani e verdi, evidentemente molto più interessati alla sorte delle loro posizioni di potere che a quella delle popolazioni bombardate.

Il 20 aprile, contemporaneamente alla notizia di un mancato scontro fra velivoli italiani e serbi sui cieli adriatici, viene detto che le missioni aeree compiute da velivoli italiani dall'inizio della guerra erano state circa 200. Nei giorni seguenti l'attività dei caccia italiani sembra svanire nella sanguinaria routine dei devastanti bombardamenti NATO.

I contingenti terrestri

Molti commentatori sembrano dimenticare che negli anni '90 l'Italia è il paese NATO che più si è impegnato militarmente nei Balcani: ripetuti interventi militari in Albania, presenza in Bosnia e poi in Macedonia, accordo con Bulgaria, Romania, Macedonia, Albania, Grecia e Turchia per la creazione di una forza di intervento multinazionale per i Balcani, accordo per una brigata comune con Slovenia e Ungheria. La crisi del Kosovo ha contribuito a rafforzare tale presenza.

Fra dicembre e gennaio la NATO schiera la "Foerza di estrazione", contingente multinazionale composto solo da stati europei. Ufficialmente il suo compito è quello di garantire un eventuale ritiro degli osservatori dell'OSCE, presenti in Kosovo dopo l'accordo Milosevic - Holbrooke del 18 ottobre 1998. Fra i 2000 osservatori OSCE ci sono anche 200 italiani. La EXFOR si schiera in Macedonia fra il dicembre e il gennaio. Si compone di circa 1100 uomini, 291 dei quali italiani. Nei mesi successivi la EXFOR subisce una rapida trasformazione, tanto che allo scoppio della guerra si compone di circa 12mila uomini, 1225 dei quali italiani. In Macedonia l'Italia schiera una parte della brigata "Garibaldi", affiancata da una compagnia di incursori paracadutisti del "Col Moschin" e da due squadroni di blindo del reggimento "Guide". In aprile il contingente italiano viene ulteriormente rafforzato dall'arrivo di alcuni carri armati "Leopard" (in vista del tanto temuto intervento di terra?). Il 5 maggio una rivista francese specializzata in cose militari riferisce, fra l'altro, della presenza nel Kosovo di uomini dei corpi speciali inglesi, danesi, tedeschi e italiani, incaricati di operazioni segrete.

Il 3 aprile la NATO decide di inviare 8000 uomini in Albania. Ufficialmente la missione "Allied Harbour" deve svolgere una funzione umanitaria in assistenza ai kosovari rifugiatisi in Albania. E' evidente invece che si tratta di una testa di ponte in vista dell'intervento terrestre in Kosovo. All'inizio sembrerebbe che il contingente sia posto sotto il comando italiano ma quasi subito si scopre che la NATO ha designato un generale inglese. Anche la presenza italiana, inizialmente prevista in circa 2000 uomini, si contrae e attualmente gli italiani presenti in "Allied Harbour" dovrebbero essere circa 1300, 1100 alpini della "Taurinense" e 200 fucilieri del battaglione "S. Marco" che si sono aggiunti ai poliziotti, carabinieri e finanzieri (circa 500) da tempo presenti nel paese delle aquile e al secondo contingente (50 uomini) che la Marina militare tiene nella strategica isoletta di Saseno e nel porto di Durazzo.

Parlavamo di una grossa presenza militare italiana nell'area. Bisogna infatti ricordare che fra i 30.000 militari che garantiscono il protettorato della NATO sulla Bosnia-Erzegovina ci sono circa 2100 italiani. Più volte questi soldati sono stati tirati in ballo nelle vicende della guerra del Kosovo.

Navi in Adriatico e missili in Puglia

A completare il quadro bisogna segnalare la presenza delle due fregate "Zaffiro" e "Libeccio", inserite nei gruppi navali con i quali la NATO presidia l'Adriatico, e il rischieramento di una serie di batterie missilistiche dell'esercito e dell'aviazione. Per la precisione i missili sono stati trasferiti sulle alture di Cisternino (BR), negli aeroporti di Brindisi e Bari Palese, nei poligoni di tiro di Torre Veneri (LE) e Punta della Contessa (BR) e in località Torre Cintola (BA).

A. Ruberti



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