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Da "Umanità Nova" n.26 del 15 luglio 2001

Fiat-Montedison
Una scalata elettrizzante

L'opa ostile che la Fiat ha lanciato sulla Montedison apre un capitolo nuovo nell'evoluzione del capitalismo italiano. L'aggressione premeditata segna una decisa rottura con la tradizione e la storia dello sviluppo industriale e finanziario di questo paese. Per 100 anni Fiat ha prodotto auto, o, se proprio vogliamo, mezzi di trasporto: il suo peso egemonico e politico è sempre stato però strabordante, sia per l'importanza della filiera dell'auto nel modello di sviluppo impostosi nel dopoguerra, sia per il condizionamento politico e sociale dispiegato sull'intera società. Il potere degli Agnelli si è così esteso e consolidato sulle istituzioni statali, senza venire meno neanche quando la lunga crisi produttiva degli anni '70 ne ha minato la solidità, o quando negli anni '90 ha dovuto scendere a patti con nuovi e poco graditi alleati. Montedison ha rappresentato invece da sempre e per oltre 40 anni uno dei crocevia più intricati della struttura industriale italiana, terreno di scontro tra settore pubblico e privato, prima polo elettrico nazionalizzato, in seguito polo chimico ad alta nocività, e poi ancora filiera agroindustriale, e infine il ritorno alle origini sotto la ossessionante regia di Cuccia (il suo Vietnam, come lo definiva).

Fiat e Montedison hanno costituito per anni le due principali imprese private, volte a presidiare due settori a torto o a ragione ritenuti strategici: l'auto e la chimica. Entrambi questi settori sono oggi da considerarsi maturi, la redditività è bassa, la dimensione produttiva richiesta enorme. Altre strade vanno cercate.

Oggi Fiat attacca e mangia Montedison: da una parte si impone la tendenza alla concentrazione sempre più spinta anche nelle aree periferiche del capitalismo, dall'altra si paga la necessità di ritirarsi dai terreni più esposti alla concorrenza internazionale globalizzata.

Fiat ha fatto un accordo con General Motors che implica una graduale cessione del settore auto alla multinazionale americana. I tempi sono sconosciuti ai più, perché il passaggio di consegne deve rispettare una cadenza socialmente accettabile: è probabile che da qui al 2005 potremo assistere al passaggio di consegne, anche se il management negherà fino all'ultimo giorno utile. Il problema per la proprietà è dunque quello di impostare per tempo una ridislocazione della propria presenza produttiva, reinvestendo il capitale: i settori individuati sono quello delle telecomunicazioni e quello dell'energia, due settori anticiclici che possono stabilizzare la redditività del capitale anche in periodi di turbolenza. La liquidità derivante dall'eventuale cessione definitiva del settore auto può dunque essere riciclata in questi due settori ad alta intensità di investimento, a forte visibilità degli utili, a grande valenza politica. Nell'immediato questa strategia permette una valorizzazione significativa degli assetti già esistenti, dagli impianti produttivi alle reti distributive. Nel corso di questa campagna è possibile poi cogliere alcune spietate vendette nei confronti degli ex-amici, diventati nel tempo acerrimi nemici.

I fatti sono noti: nel primo weekend di luglio Fiat annuncia la costituzione di una società denominata Italenergia per lanciare un'opa residuale sul 48% del capitale Montedison ancora in mano agli alleati di Mediobanca. Faranno parte della società, oltre a Fiat (che peserà per il 40%), i francesi di Edf, che nell'ultimo mese avevano comprato sul mercato il 20% del capitale Montedison, il finanziere Zaleski (10%), le banche alleate (San Paolo Imi, Banca Intesa, Banca di Roma, insieme il 13%). Il saldarsi di questa alleanza risolve d'un colpo più di un problema. Il governo vecchio e il governo nuovo avevano trovato un'intesa "bipartisan" nel congelare per decreto il diritto di voto di Edf, monopolio elettrico statale e nucleare francese, colpevole di assaltare mercati altrui, senza peraltro liberalizzare il proprio. Nei fatti emergeva la sostanziale demenza del centro-sinistra nella insensata corsa alla privatizzazione selvaggia di ogni settore a regolazione statale, come è dimostrato dalla vicenda Telecom, Enel, Eni, ecc. Aprire al mercato senza clausole di reciprocità ha significato una sola cosa: le multinazionali estere possono penetrare in Italia senza barriere, mentre le società italiane, assai più deboli e gracili, non riescono a combinare alcunché all'estero. Il governo D'Alema, sensibile al "sentiment" del mondo degli affari e smanioso di rendersi accettabile ai soliti poteri forti, aveva elaborato la teoria dei "campioni nazionali", cioè il sostegno statale a qualunque capitalista nostrano che, pur senza capacità di tirare fuori dei soldi propri, avesse voglia di cimentarsi in qualche scalata "a debito". È accaduto per Telecom, e ne stiamo vedendo i risultati: i "capitani coraggiosi" sono tutti sotto inchiesta per falso in bilancio e conflitto d'interessi nella fusione Seat-Tin-it, e l'assetto azionario di Olivetti-Telecom nuovamente a rischio. Sta accadendo per il mercato dell'elettricità, con l'Enel costretta a smembrarsi per decreto in favore del polo elettrico privato. Potrebbe accadere domani anche per Eni e gli idrocarburi.

La costituzione di Italenergia è una classica operazione Fiat: la Fiat non tirerà fuori una lira, pur avendo il 40% della nuova società. I capitali verranno forniti da Edf e dalle banche finanziatrici. La Fiat si limiterà ad apportare le proprie attività, i siti e gli impianti che già producono energia per i suoi bisogni. La nuova società sarà il primo produttore "privato" italiano e si candida a rilevare una delle tre "Genco", cioè i raggruppamenti di centrali che l'Enel per decreto è costretta a dimettere. Italenergia è destinata a diventare una protagonista di primo piano grazie anche ai numerosi intrecci azionari che la vecchia Edison ha già con le varie aziende elettriche municipalizzate già quotate in borsa (Aem Milano, Aem Torino, Acea di Roma), oltre che alla neo acquisita Sondel del gruppo Falck.

La scalata a Montedison rappresenta anche (e qui sta forse l'aspetto più clamoroso dell'intera operazione) la rottura completa tra Fiat e Mediobanca. Evidentemente gli Agnelli hanno saputo aspettare 10 anni e la morte di Cuccia per prendersi le proprie soddisfazioni. Lavano l'onta di essere stati commissariati da Romiti negli anni '80, di aver dovuto subire le condizioni di Mediobanca nel 1993, quando fu posto il veto alla successione di Umberto alla guida della Fiat, e poi ancora la sconfitta della scalata a Telecom da parte di Colaninno e le varie vicende legate a Hdp, Gemina, Rcs-Corriere della Sera. Non a caso la guerra è oggi a tutto campo, il patto di sindacato che governa Hdp non è stato rinnovato, siamo allo scontro aperto con la coppia Maranghi-Romiti. Non a caso di parla di una presidenza Montedison affidata a Franco Bernabè, uomo Fiat sconfitto nella scalata a Telecom.

Oggi la fortuna ha girato di nuovo a favore di Torino, il possibile disimpegno dall'auto (un settore maturo che rende solo ad alti volumi, e nelle aree geografiche e nei segmenti di lusso, dove Fiat non c'è) può liberare risorse finanziarie fresche da spendere in settori promettenti come elettricità e Tlc. C'è già chi pronostica un futuro assalto ad Olivetti, vista la difficoltà estrema in cui si ritrova il gruppo Colaninno e la crisi di chi l'ha aiutato a scalare Telecom (Mediobanca in primis). Oggi gli Agnelli hanno un interlocutore finanziario alternativo a Mediobanca (il Sanpaolo Imi, che sperano di sposare alla Banca di Roma), un governo amico (ma quale governo non è stato amico della Fiat?), una liquidità potenziale che si può liberare.

La scelta Fiat ha evidentemente un impatto sempre più disastroso sulle aree di insediamento tradizionale. Tutta la residua produzione di auto del Piemonte verrà concentrata a Mirafiori (per essere chiusa tutta insieme?), mentre Rivalta ospiterà Fiat-Avio, liberando così un'altra vasta area adiacente il Lingotto. La speculazione edilizia collegata alle Olimpiadi invernali 2006 porterà così altri soldi alle casse degli Agnelli, altri mezzi freschi con cui proseguire la diversificazione. Stabilimenti chiusi e casse piene: questa la sintesi del programma Fiat per gli anni a venire. Anche l'energia diventa un business privato, con probabili effetti positivi per i grandi consumatori, che avranno fin da subito la possibilità di scegliersi il fornitore più competitivo in termini di prezzo e potranno godere a pieno del basso costo dell'energia trasportata dagli impianti nucleari di Edf. Gli utenti invece continueranno a pagare bollette salatissime, perché in questo modo si finanzia l'abbassamento delle tariffe agli utenti "idonei", idonei cioè a scegliersi il proprio fornitore. La guerra finanziaria lascia presto il campo ad una pace patteggiata, lavoratori ed utenti alla fine pagano sempre il conto...

Renato Strumia



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