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Da "Umanità Nova" n. 9 del 9 marzo 2003

Né un uomo né un soldo per il militarismo



L'antimilitarismo degli anarchici nell'Italia del primo novecento
Dal congresso di Amsterdam alla rivolta di Torino

Quando si tenne, Amsterdam 26-28 giugno 1904, il congresso costitutivo della Associazione Internazionale Antimilitarista, in Italia ancora non esistevano gruppi antimilitaristi specifici. Esso determinò comunque il passaggio dell'antimilitarismo dalle categorie tolstoiane della disobbedienza passiva a quella dell'azione diretta. "Non basta debilitare il militarismo - leggiamo infatti nella circolare di convocazione redatta dal gruppo anarchico di Hilversum (Olanda) - bisogna combatterlo, eliminarlo. Perciò si è convocato il Congresso Antimilitarista di Amsterdam.". Estromessa dal comitato costitutivo la minoranza cristiana, il congresso fece propria la parola d'ordine "Né un uomo né un centesimo per il militarismo". In questa impostazione si riconobbero così i molti periodici del movimento che già avevano dato ampio spazio a queste tematiche. In Toscana gli esempi più evidenti erano stati, in questo senso, il "Combattiamo!" di Carrara e, prima ancora, "Il Pensiero Libertario" di Pisa. Ma la campagna contro il militarismo si sviluppò principalmente attraverso fogli con distribuzione a carattere nazionale come "Il Libertario" di Spezia e "La Pace" di Genova. Quest'ultimo, uscito nel capoluogo ligure nel periodo 1903-1914, ebbe contenuto monografico e, pur diretto dal socialista Ezio Bartalini, fu sempre appoggiato dagli anarchici fra cui Pietro Gori, Luigi Fabbri e Luigi Galleani; vi collaborarono il "socialista umanitario" Edmondo de Amicis e Amilcare Cipriani, combattente della Comune di Parigi. Ma fu soprattutto "Il Libertario", 8.000 copie di tiratura e diffuso in tutta Italia, a promuovere un intenso lavoro di propaganda contro l'istituzione militare ed in difesa dei soldati reclusi. La risposta statale non si fece però attendere ed il periodico ebbe, in massima parte per articoli di contenuto antimilitarista, venti sequestri sui 149 numeri usciti fino al giugno 1906, quando entrò in vigore la legge sull'abolizione del sequestro preventivo. I gerenti del foglio spezzino subirono, per questi reati di opinione, molti processi e oltre sessanta mesi di carcere. Risonanza nazionale ebbe la campagna a favore degli anarchici Costantino Beccari e Pasquale Bassano, detenuti per insubordinazione in un carcere militare, condannati a 30 anni, e che saranno liberati ma dopo 12 anni di detenzione. Altri processi contro "Il Libertario" furono intentati dai generali Francesco Stevani e Messina del presidio militare di Spezia.

A partire dal 1904 la battaglia antimilitarista interessò non solo gli anarchici, ma anche vasti settori socialisti rivoluzionari e repubblicani, in particolare nelle federazioni giovanili. Singolare rimase l'iniziativa del comitato centrale della Federazione Giovanile Repubblicana che diramò alle sezioni locali l'indicazione di una giornata di protesta antimilitarista per il 22 ottobre 1905, da attuare insieme ad anarchici e socialisti, affinché "il principio repubblicano affermi, per opera della sua gioventù, le vergogne del militarismo". Effettivamente manifestazioni per quella data si tennero in ogni parte del paese, come ampiamente documenta "Il Libertario". Ma anche l'"Avanti!" si occupò intensamente di antimilitarismo attraverso soprattutto una rubrica fissa curata da Gioacchino Martini, ex-tenente colonnello dell'esercito e già volontario nella III guerra d'indipendenza, che firmava gli articoli con lo pseudonimo di Sylvia Viviani.

L'opposizione al militarismo non fu però un fatto meramente "politico", patrimonio cioè esclusivo di alcuni settori socialisti, repubblicani e del movimento anarchico. Quest'ultimo casomai, cercò di interpretare la ribellione istintiva di larghi strati popolari contro l'esercito e contro la coscrizione obbligatoria.

In questo periodo c'è da registrare la assoluta non comprensione nel movimento anarchico italiano di una prima poco ortodossa presa di posizione di un autorevole esponente internazionale, il russo Kropotkin; presa di posizione che peserà invece dieci anni più tardi, allo scoppio della guerra mondiale. "Se la Francia è invasa da qualche potenza militare - scrisse infatti Kropotkin - il dovere dei rivoluzionari non è incrociare le braccia... Il loro dovere è di cominciare la rivoluzione e di difendere il territorio... per poterla continuare". L'articolo in questione, apparso su "Les temps nouveaux" di Parigi, uscì in Italia nel 1905 su "Il Libertario" corredato da apprezzamenti positivi e da critiche contro riformisti e stampa borghese che "avevano travisato il pensiero di Kropotkin sul militarismo"; ciò fu dovuto anche al grande prestigio di cui godeva il personaggio in tutto il movimento.

Anche l'anarchismo italiano fu attraversato dalla polemica fra le due tattiche antimilitariste allora giudicate praticabili: la dicotomia fra "diserzione" o "guadagnare l'esercito alla rivoluzione". Gino Cerrito cita fra i sostenitori della prima ipotesi Leonida Mastrodicasa, Renzo Novatore, Bruno Misefari, Ugo Fedeli e Augusto Masetti; fra quelli della seconda Antonio Negro e Alberto Meschi. Più articolate le posizioni di Luigi Fabbri ed Errico Malatesta che non esclusero né l'una né l'altra tattica, rimandando la scelta o alle attitudini soggettive o alla necessità del momento storico. È interessante notare però come fra i sostenitori dell'ipotesi di lavoro dentro l'esercito figurassero molti organizzatori sindacali; viceversa gli anarchici non direttamente impegnati nelle organizzazioni del movimento operaio e molti individualisti furono più propensi per l'ipotesi diserzione. Un importante risultato di una assidua collaborazione antimilitarista degli anarchici con i sindacalisti rivoluzionari fu il periodico "Rompete le file!" che iniziò le sue pubblicazioni clandestinamente a Milano nel 1907, animato da Maria Rygier e Filippo Corridoni ed il cui significativo motto fu "L'esercito non si nega. L'esercito si conquista. Faremo la rivoluzione con l'esercito, non contro l'esercito".

Con il Congresso Anarchico Italiano di Roma, giugno 1907, sia attraverso la mozione presentata dal Gruppo socialista anarchico "Costantino Quaglieri", sia attraverso la mozione votata, furono operate le necessarie distinzioni di almeno tre modi di intendere l'antimilitarismo: umanitario pacifista, politico contingente, anarchico. Nel denunciare l'insufficienza del primo e la strumentalità del secondo, si riconfermò la necessità di collegare la battaglia contro il militarismo con quella antiautoritaria e per l'uguaglianza sociale. La mozione approvata dallo stesso congresso rivendicò "all'Internazionale bakuninista la paternità dell'antimilitarismo cosiddetto herveista" deliberando che "per antimilitarismo secondo gli anarchici si intenda soltanto quello basato sull'antiautoritarismo e sull'antipatriottismo", fece propria l'idea dello sciopero dei coscritti e dello sciopero generale in caso di guerra nelle nazioni belligeranti; ci si riallacciò inoltre ai deliberati del congresso costitutivo della Associazione Internazionale Antimilitarista del 1904.

Sul piano del movimento operaio internazionale intanto ci sono da segnalare due risoluzioni diversificate sulla questione antimilitarista prese rispettivamente nel VII congresso della Seconda Internazionale a Stoccarda, e nel congresso internazionale di Amsterdam, sempre nel 1907. Mentre nella prima (voluta da Lenin e Rosa Luxemburg, con la partecipazione di Gustave Hervé e Andrea Costa), si affermò la necessità di "sfruttare con tutte le forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per scuotere gli strati più profondi della popolazione e accelerare la caduta del dominio capitalistico", nella seconda (presentata da Domela Nieuwenhuis, Malatesta e altri) si diede l'esplicita indicazione della "rivolta individuale, il rifiuto isolato o collettivo del servizio militare, la disobbedienza passiva e attiva, lo sciopero militare per la distruzione radicale degli strumenti di dominazione". Come ben si vede non si tratta soltanto di due diverse tattiche, ma di due strategie completamente divaricate che avrebbero portato, solo sette anni più tardi, rispettivamente al crollo della Seconda Internazionale socialista e, in Italia, allo scontro frontale contro lo Stato concretizzatosi con la Settimana Rossa.

Il momento in cui gli schieramenti militarista e antimilitarista si delinearono abbastanza chiaramente fra le forze politiche fu comunque solo alla vigilia della guerra imperialista in Libia. E gli schieramenti si fronteggiarono anche nelle piazze, in tutto il paese. Anche il convegno anarchico nazionale di Roma del 24 settembre 1911, che pure era stato convocato per discutere la fondamentale questione della fondazione di un giornale da affidare a Malatesta, si espresse su questo tema. Oltre ad aprire la campagna per la liberazione dei soldati reclusi Beccari e Bassano, votò (Maria Rygier alla presidenza) questo ordine del giorno: "Il congresso anarchico, riaffermando i suoi principi di fratellanza, si dichiara contro la guerra per la questione di Tripoli e contro ogni politica espansionista dei governanti, dando la sua completa solidarietà al proletariato d'Italia, opponendosi a tutte le mene patriottarde nazionalistiche".

In questo clima la lotta antimilitarista ebbe un notevole salto qualitativo. All'alba del 30 ottobre il soldato Augusto Masetti, giovane muratore emiliano, al grido "Viva l'anarchia, abbasso la guerra!" sparò contro il suo colonnello che arringava la truppa in partenza per l'Africa in una caserma di Bologna. La stampa anarchica e antimilitarista rivendicò energicamente il gesto, dando inizio a quella vasta campagna "pro-Masetti" che sarà intensissima fino alla guerra mondiale.

Nei giorni 1 e 2 giugno 1912 si tenne a Spezia un convegno anarchico nazionale organizzato dalla redazione de "Il Libertario", presenti circa cento delegati in rappresentanza di 64 gruppi e federazioni, deliberò di appoggiare "la propaganda antimilitarista, tenendosi in relazione continua coi compagni diramati alle armi" e, nell'ambito della campagna astensionista per le elezioni politiche del 1913, di "prendere soprattutto di mira i candidati colpevoli di avere approvato la guerra italo-turca".

Nell'approssimarsi della conflagrazione mondiale ci si impegnò inoltre per una "azione decisiva al momento di una nuova dichiarazione di guerra, da parte di qualunque nazione d'Europa". Per il 7 giugno 1914 si organizzò una giornata di mobilitazione che vide, ad Ancona ai margini di una comizio tenuto da Malatesta e Nenni, l'uccisione proditoria di tre manifestanti. Il fatto provocò un'ondata di indignazione popolare in tutta Italia con scioperi e manifestazioni di carattere insurrezionale, dando avvio alla Settimana Rossa. Al grido di "Abbasso i fucilatori del popolo" i moti, dalle Marche e dalla Romagna, si propagarono in Toscana ed in altre parti d'Italia. Ma il 10 giugno, nel momento in cui anche il Sindacato Ferrovieri aveva aderito allo sciopero generale, la segreteria nazionale della Confederazione Generale del Lavoro telegrafò alle camere del lavoro ordinando di cessare la mobilitazione. E fu la rottura del fronte insurrezionale.

Il precipitare fatale degli eventi ebbe disastrose conseguenze nell'ambito della sinistra rivoluzionaria ad appena due mesi da quel momento fortemente unitario che era stato invece la Settimana Rossa. La ripercussione più grave si ebbe nell'USI con la presa di posizione interventista di importanti dirigenti quali Alceste De Ambris, Tullio Masotti, Filippo Corridoni, Michele Bianchi, Livio Ciardi e altri. Le ragioni dell'interventismo furono confutate in sede di consiglio generale dell'Unione dall'anarchico Armando Borghi. Fu quindi approvata una mozione con la quale si riaffermava "l'avversione irriducibile alla guerra e al militarismo". Seguirono come conseguenza le dimissioni, subito accettate, di quei dirigenti e la nomina a segretario generale dello stesso Borghi.

Pur restando il movimento anarchico italiano nel suo complesso (a parte una piccola pattuglia di cosiddetti 'anarcointerventisti') fermo nei principi antimilitaristi, non si può certo negare, in un momento di profonda confusione, lo stato di disagio originato dalla presa di posizione filo-intesista di un personaggio come Kropotkin. Errico Malatesta, profugo a Londra, in risposta a quanto pubblicato dall'esponente russo su "Freedom", argomentò sulle pagine dello stesso periodico: "...Io spero ch'egli si ravveda di questa sua erronea veduta, e si trovi di nuovo a fianco dei lavoratori contro tutti i governi e tutte le borghesie...".

A completa riprova del preponderante allineamento anarchico contro la guerra vi fu la coerente presa di posizione di tutta la stampa libertaria di lingua italiana. A Pisa il 24 gennaio 1915 si tiene, significativamente, un partecipato convegno nazionale anarchico contro la guerra. Ma anche dopo il "radioso maggio" vi fu una concreta attività di opposizione di classe promossa dai ranghi del movimento, sia con l'irriducibile antimilitarismo dei suoi aderenti, concretizzatosi in diserzioni, ammutinamenti singoli e di massa, sia con la partecipazione fattiva a tutte le manifestazioni di resistenza proletaria al massacro imperialista. Un episodio clamoroso, e fra i più conosciuti, fu la rivolta di Torino dell'agosto 1917. Per cinque giorni ci furono scontri tra operai e popolazione da una parte e polizia ed esercito dall'altra, con decine di vittime. Il movimento venne originato dalla proclamazione di uno sciopero generale di protesta contro il carovita e per la pace, per il pane e per il lavoro. Ed un ruolo decisivo vi ebbero i dirigenti anarchici del SFI, il sindacato dei ferrovieri che proprio in quei giorni teneva il suo VIII congresso nazionale nel capoluogo piemontese.

Giorgio Sacchetti

 

 

 

 

 

 


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