Pubblicato in, "Les Inrockuptibles", numero 134, 14-20 gennaio 1998
L'anno '98 comincia con un gioioso casino: dappertutto in Francia, collettivi di disoccupati e precari occupano i luoghi di passaggio obbligatorio per le persone in cerca di lavoro e quelli che hanno diritto ai minimi sociali: Sedi dell'ASSEDIC, dell'ANPE, dei centri comunali dei servizi sociali, ... I disoccupati sono arrabbiati, il movimento sociale torna sulla scena e la stessa scena ne viene trasformata. Chi avrebbe immaginato che un ministro socialista dell'Economia avesse riconosciuto la capacità organizzativa e la determinazione dei disoccupati? Questo movimento, che alcuni hanno qualificato "minoritaro", segna tuttavia una svolta nella storia delle lotte sociali. Per la prima volta, assistiamo ad una mobilitazione forte, organizzata, viva, multiforme, di popolazioni atomizzate, sottomesse al controllo sociale, spesso trattate puerilmente dalle istituzioni da cui dipendono. I movimenti di disoccupati non sono alla loro prima campagna, né alla prima occupazione di sedi diversi. Però, mai la loro rabbia aveva conosciuto una tale eco. Dietro la simpatia che suscita questo movimento, c'è senza dubbio questa nuova immagine del disoccupato o precario, non più vergognoso, nascosto, "escluso" ma che rivendica con determinazione il suo dovuto: una parte tangibile della ricchezza sociale.
Non si tratta più del solo fondo sociale delle ASSEDIC, bensì di esigere una rivalutazione di 1.500 FF dei minimi sociali, la creazione di un diritto al reddito per i giovani di età inferiore a 25 anni, attualmente privi di RMI, e una riorganizzazione totale del sistema dei sussidi di disoccupazione, perché questo sistema di protezione sociale non corrisponde più, per nulla, alle realtà vissute dal numero crescente di quelli che ne dipendono.
Dal '92, i sussidi di disoccupazione sono digressivi; un disoccupato su due non prende nulla e la metà di quelli che ne hanno diritto prendono al mese meno di 3.000 FF. Quando ai minimi sociali, versati dallo Stato, non solo sono insufficienti per vivere, ma sottopongono i beneficiari ad un controllo molto pesante: visita al loro domicilio da parte di operatori sociali, obbligo di timbrare mensilmente all'ufficio comunale per l'inserimento, pressione per accettare posti di lavoro precari e minacce di sospensione del Rmi... Inoltre, questi minimi sociali non sono attribuiti individualmente, ma per unità abitativa (un Rmi per una coppia è inferiore a due Rmi), e ne sono detratti tutti i vantaggi in natura di cui si può beneficiare, come per esempio i sussidi per la casa.
Un tale parsimonia nell'attribuzione dei minimi sociali e il loro scarso valore è un fatto tanto rivoltante quanto allucinante per la quinta potenza economica mondiale.
Ma al di là di quelli che ne beneficiano, è l'insieme dei lavoratori le cui condizioni sono sempre più precarizzate che sono colpiti, perché la disoccupazione di massa che colpisce dall'inizio degli anni '80 ha visto non solo l'aumento considerevole dei disoccupati di lunga durata, ma anche la crescita senza precedenti dei lavori precari. Lavoratori precari e intermittenti del lavoro formano ormai una delle figure maggiori del salariato contemporaneo, senza che alcuna tangibile garanzia sociale assicuri ai precari la semplice possibilità di mantenere la loro disponibilità sul mercato del lavoro. Oggi giorno, l'80 percento delle assunzioni prendono la forma di contratto a termine, la cui durata media è di due mesi. I lavoratori salariati, giovani, donne e immigrati sono portati a circolare sul mercato del lavoro passando da un periodo di lavoro a un periodo di disoccupazione e di formazione. Spesso, non lavorano sufficientemente per aver diritto ai sussidi di disoccupazione e spesso, sono costretti di accettare lavori precari e part time per poter sopravvivere.
Esigere l'aumento sostanziale di minimi sociali e, come fa AC!, un reddito incondizionato al livello del salario minimo mensile, è anche provare a conquistare nuove garanzie sociali che permettono di resistere alla precarietà del lavoro, di rifiutare lavori precari e part time imposti. È la precarizzazione generale del lavoro e delle condizioni di vita che permette alle rivendicazioni dei disoccupati di avere una tale eco nell'insieme della società; è anche per questo che AC! ha scelto di essere un'associazione che raggruppa disoccupati, impiegati pubblici, lavoratori del settore privato, studenti, persone in stage di formazione, intermittenti, lavoratori interinali, e lavoratori con altri statuti ancora più confusi.
La natura stessa del nostro movimento dimostra fine a che punto queste "categorie" siano multiple, permeabili, senza frontiere stabilite.
Insieme, senza differenza fra i diversi statuti, lottiamo per una riduzione dell'orario di lavoro senza perdita di potere d'acquisto, né flessibilità, che crei in compenso nuovi posti di lavoro, per il diritto ad un reddito per tutti e per il diritto alla parola per tutti.
Perché è anche di questo che si tratta: i disoccupati e precari escono dal bosco. Come hanno fatto i sans papiers con l'occupazione della Chiesa di S.Ambroise in marzo '96, essi si mostrano così come sono, forti, determinati, mobili, imprevedibili. Nuove forme di lotte emergono, come avevano dimostrato la recente lotta dei camionisti o lo sciopero dei lavoratori del Crédit Foncier (istituto bancario in fallimento per colpa di investimenti azzardati): essere presenti laddove nessuno li aspetta, nei punti strategici, in piena luce, ecco la forza nuova del movimento sociale.
Niente da perdere, forse, ma soprattutto, tanto e tutto da vincere. E prima di tutto questo diritto a non essere più un numero di dossier o delle statistiche mensili ma uomini e donne che agiscono collettivamente agli occhi del mondo. Ciò che esprime questo movimento, è la volontà di vivere, e non solo sopravvivere, di spostarsi liberamente, di scegliere un lavoro o una formazione senza esserci costretto. Oggi giorno, L.Jospin, riceve le associazioni di disoccupati e precari mentre ad esse è sempre negato il diritto di affissione nelle sedi dell'ANPE e dell'ASSEDIC. Ma un movimento "minoritario" che ha l'adesione e la solidarietà di due terzi dei Francesi può lasciar perdere questo tipo di paradosso. Ha poca importanza. La prima vittoria di questo movimento di occupazioni, sarà stata il riconoscimento da parte delle istituzioni delle associazioni di lotta contro la disoccupazione, nelle quali si ritrovano e attorno delle quali si federano sindacati di lavoratori e gruppi eterogenei come Act Up, Scalp-Reflex, CNT o il Collettivo per i diritti delle donne. All'interno delle imprese, si sente già la voglia di agire. La ricomposizione del movimento sociale, cominciata nei primi anni '90, arriva a maturità, ed è solo l'inizio.