SONO passati quasi due mesi da quando il movimento dei disoccupati e precari in Francia ha assunto notorietà nazionale e poi europea. Si può tentare un bilancio di questa esperienza, anche alla luce dell'impasse che il movimento rischia per il diniego di Jospin alle principali richieste avanzate.
Da più parti in Italia, nella sinistra antagonista, viene ripetuto lo slogan: "fare come in Francia". Ma fare cosa?
Ricordiamo come il movimento degli "chomeurs" si è sviluppato nelle parole di J. Revel e di C. Aguiton, membri di Ac!: "I comitati dei disoccupati della Cgt della provincia di Marsiglia chiedono, come ogni anno, un 'Premio di Natale' recuperato sul residuo di fine d'anno dal budget del fondo sociale delle Assedic. Questo fondo sociale, riservato agli aiuti di emergenza per i disoccupati in difficoltà, non è mai stato utilizzato, ma nel luglio '97 l'Unedic ha deciso di smantellarlo". Privi di un fondo che era loro destinato, i disoccupati occupano tutte le sedi provinciali dell'Assedic. Un coordinamento di diverse associazioni di lotta contro la disoccupazione e le esclusioni, e di sindacati, lancia la prima iniziativa di una settimana d'azione chiamata "Emergenza sociale"... "Dopo sei mesi di immobilismo governativo sui diritti sociali, si impone la necessità di agire. I due movimenti convergono, di fatto, sulla rivendicazione centrale di un diritto al reddito per tutti. Sembra evidente che chiedere il pagamento di una 'tredicesima' ha senso solo nel contesto di una lotta globale sulle condizioni di vita durante tutto l'anno" (da Les Inrockuptibles).
La richiesta principale, motore del processo di ricomposizione delle diverse associazioni, dell'unità di intenti tra disoccupati e lavoratori precari, è il reddito, cioè il disporre di un potere d'acquisto che consenta una vita dignitosa. Prima ancora che il lavoro e/o la richiesta di maggior incisività nella lotta alla disoccupazione, si esige "un reddito incondizionato al livello del salario minimo mensile, allo scopo di conquistare nuove garanzie sociali che permettono di resistere alla precarietà del lavoro, di rifiutare lavori precari e part-time imposti".
In alcuni commenti, comparsi anche su questo giornale (ad es. Campetti), si è discusso del rischio che le richieste dei disoccupati e precari francesi cadessero nell'alveo del puro assistenzialismo e quindi della marginalità sociale. Niente di più errato, se si pensa al nuovo contesto socio-economico che le modalità d'organizzazione postfordiste hanno evidenziato e reso dominanti. Oggi il lavoro, di per sé, non è più fattore di inclusione sociale e godimento di diritti civili e di piena cittadinanza, come nell'epoca fordista. Sia perché il lavoro è oggi intermittente, reso sempre più subordinato in modo diretto e/o indiretto, manuale e/o (pseudo) intellettuale, alle esigenze della produzione e dell'impresa globale, sia perché la remunerazione del lavoro (salario, fattura, ecc.) è sempre più sganciata dalle modalità dell'accumulazione e della produzione, cioè è sempre più in modo generalizzato, "salario di sussistenza".
Oggi, la richiesta di un reddito di cittadinanza indipendente dalla prestazione lavorativa e dalla garanzia di godere dei servizi sociali primari diventa il canale privilegiato per acquisire la piena cittadinanza sociale e civile e per costruire la propria identità soggettiva, oltre che anello di congiunzione tra le diverse esigenze generazionali. Come afferma Rieser, oggi l'esercito industriale di riserva non è più ai margini della produzione materiale e immateriale delle merci, ma dentro il processo di accumulazione, esemplificato dalle figure precarie, di genere e razza differenziata: i "lavoratori intermittenti" francesi o i "working poor" anglosassoni o i "lavoratori autonomi di seconda generazione e/o atipici" in Italia.
Per questo il movimento degli "chomeurs" sviluppa un conflitto assolutamente moderno, tutto interno alla logica della produzione flessibile post-fordista, e scevro da rituali assistenzialisti.
"Fare come in Francia", dunque, significa partire dalla richiesta di una ridistribuzione sociale del reddito come fattore di ricomposizione sociale dei soggetti differenti che costituiscono il mercato precario del lavoro. E' un obiettivo che va oltre le divisioni di posizione della sinistra antagonista, condizione necessaria se non preliminare per sviluppare quell'attività conflittuale in grado di sostenere altri obiettivi fondamentali: la riduzione di orario a parità di salario e il mantenimento dei servizi sociali primari, quali istruzione, sanità, previdenza, casa.