ceci n'est pas une pipe
(R. Magritte, Ceci n'est pas une pipe, 1926)

Editoriale

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Ceci n'est pas un journal...

di Aris Papathéodorou, Pierre Peronnet, Ludovic Prieur

Questo non è un giornale: è un'occupazione! Un presa di parola non autorizzata. Una superficie di carta da rotativa utilizzata per esprimere gli scricchiolii che percorrono attualmente il reale. Dal momento che occupare è diventata la maniera, per i precari e i disoccupati, di rendere partecipe lo spazio pubblico e far sentire la loro rivolta, bisogna che l'occupazione si estenda alla voce, alle parole, alle immagini, ai segni... è la nostra scommessa...

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La rivolta dei disoccupati e dei precari ha sorpreso tutti. Non solo perché nessuno, o quasi, si aspettava che quelli tagliati fuori dal nuovo corso dell'economia capitalista scuotessero il loro torpore e la loro sottomissione; ma soprattutto perché nessuno si aspettava che fosse posto in modo tanto virulento e radicale la questione del reddito, in altre parole, della ripartizione della ricchezza sociale.

Dalle occupazioni delle sedi dell'ASSEDIC ai blocchi ferroviari, dalle occupazioni di edifici simbolici alle manifestazioni o ai pic-nic negli ipermercati, la campagna di protesta si è trasformata in un vero movimento sociale. Attorno alla rivendicazione di un "Premio di Natale" per i disoccupati, della richiesta di rivalutazione dei minimi sociali e di quella per l'estensione del Rmi a coloro che ne sono esclusi (in particolare quelli di età inferiore a venticinque anni), un insieme eterogeneo di "soggetti sociali", di percorsi individuali e di destini collettivi, si sono cristallizzati per dare corpo a una rivolta non solo legittima, ma di un'incredibile modernità.

Operai licenziati nel corso delle grande ondate di ristrutturazione e oggi ridotti ai minimi sociali, giovani precari che non hanno mai conosciuto un contratto di lavoro superiore a sei mesi e che non hanno nessuna speranza (e forse nessuna voglia) di trovare un posto fisso, ex-quadri devoti, che spesso non avevano mai fatto sciopero nella loro vita, che sopravvivono ora con un Rmi, o anche lavoratori dipendenti delle piccole e medie imprese, "gratificati" dalla congiuntura economica e costretti a sbattersi nella giungla dei servizi sociali per ottenere qualche sussidio occasionale... Immagini retoriche, quasi sempliciste, ma alla fine così significative per descrivere le molteplici figure della precarietà che oggi si sono messe in movimento. Ciò che hanno in comune, è prima di tutto, la stanchezza di avere il "pane quotidiano relativamente settimanale", per riprendere la bella frase di Jacques Prévert, e anche il desiderio di ricevere la propria "quota" di una ricchezza sociale di cui sono espropriati e che si esibisce con indecenza nei miliardi regalati al Crédit Lyonnais per pareggiare le sue derive finanziarie o ancora i miliardi offerti al padronato contro il suo impegno dell'improbabile creazione di posti di lavoro... Ma anche colpire, attraverso il rifiuto di essere messi fuori gioco, una delle contraddizioni essenziali della nostra società: mentre il bisogno di lavoro si sta rarefacendo, questo ultimo rimane, malgrado tutto, il metro campione della cittadinanza.

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La scommessa di questa pubblicazione unica è, rispecchiando l'immagine di questo movimento, quella di socchiudere uno spazio di espressione e di confronto. Un luogo di incontro fra la voce quotidiana della lotta - quella che si esprime nei volantini, gli slogan, i comunicati, le dichiarazioni - e le parole, i concetti e le ipotesi di intellettuali e militanti. Uno strumento per cogliere questa intelligenza sociale che ha già percorso più di sette settimane di lotte...

"Questo non è un giornale: è un'occupazione!", dicevamo all'inizio. Forse bisognerebbe dire una prima occupazione. Cinquemila copie messe in circolazione nel movimento. Ma fra qualche giorno occuperemo anche il quotidiano italiano "Il Manifesto" per portare questa parola altrove nell'Europa di Maastricht. E nei prossimi giorni chi lo sa...